Intervista allo scrittore brasiliano Paulo Scott. ESCLUSIVA
Antonella Rita Roscilli
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)

“Cromatismi” (ed. Tulemond, 2025) dello scrittore brasiliano Paulo Scott, tradotto in italiano da Giacomo Falconi,  è un romanzo che pone al centro la complessità della società brasiliana e i temi del razzismo strutturale, tuttora presente e vivo. Attraverso la storia di Federico, sociologo antirazzista, e del fratello Lourenço, vengono a galla le contraddizioni, le lotte contro le discriminazioni delle minoranze, in un intreccio tra passato e presente. Il libro (titolo originale “Marrom e Amarelo”) è stato finalista del Premio Jabuti  in Brasile. Nel 2022 la traduzione inglese, a cura di Daniel Hahn, ha raggiunto la Longlist dell’International Booker Prize, e nel 2023 ha vinto il Premio Jabuti come miglior titolo brasiliano pubblicato all’estero. In Italia è stato presentato  alla Biblioteca Amilcar Cabral di Bologna e alla libreria L'Ornitorinco di Firenze. Nella capitale italiana, invece, è stato presentato alla “Casa delle Traduzioni” (Istituzione Sistema delle Biblioteche Centri Culturali di Roma Capitale), in un dibattito con l’autore, la responsabile della “Casa delle Traduzioni” Gaia Seller, rappresentanti della casa editrice Tulemond, il traduttore italiano e la sottoscritta. E' stato seguito da un folto pubblico presente in sala. Ciò che segue è una nostra intervista allo scrittore Paulo Scott. 

Da dove nasce l'idea di questo romanzo che tocca temi così attuali e problematici?
 

Il romanzo nasce dalla percezione dell'enorme complessità insita nella gerarchia cromatica del colore della pelle e dei fenotipi nella società brasiliana, nella normalizzazione di questa lente che in ultima analisi permette, ad esempio, che l'azione della polizia sia sproporzionatamente più aggressiva e letale contro le persone povere e di pelle più scura. Oggi, in Brasile, esiste una sorta di rinnovato tacito permesso per la polizia di uccidere senza gravi conseguenze per chi uccide giovani, neri e poveri. Vivo a San Paolo, una delle città più ricche e organizzate del mondo, e ciò a cui assisto è una crescente mancanza di controllo sulla repressione statale, una realtà palese che dimostra solo che, se rimuoviamo la lente razzista naturalizzata nella nostra società brasiliana, il Brasile come lo conosciamo svanisce nel nulla. Occuparmi di una famiglia nera, una famiglia nera meticcia che resiste, pur essendo immersa in un ambiente socioeconomico che la costringe a uscire dall'umanità di prima classe, destinata solo alle persone di fenotipo ariano, penso che sia un modo per ampliare il linguaggio che eventualmente possa spiegare la nostra epoca e la nostra tragedia civilizzatrice, quella di di un paese che è stato colonia e che, a tutt'oggi, nonostante la sua enorme ricchezza, non è riuscito a liberarsi. Per creare un’opera di narrativa, attingo a idiosincrasie che conosco bene e che racchiudono mie peculiarità familiari. Ci tengo a precisare che il romanzo "Cromatismi" non è un’autofiction: non sono il protagonista (il protagonista ha una confusione esistenziale, un coraggio e anche una codardia che io non possiedo, in niente assomiglia), e la famiglia protagonista della storia non è la mia. Il romanzo nasce da una poesia che scrissi all’età di  18 anni. Parlava dell'angoscia di essere una persona nera che passava per bianca nel suo Paese e, quindi, non subiva la violenza istituzionale che subivano suo fratello, i suoi parenti e i suoi amici di fenotipo esplicitamente nero. Parlava del non sapere esattamente cosa fare di fronte a questa ingiustizia strutturale.
 
Da dove nasce la costruzione dei personaggi di Federico e Lourenço? Data la loro diversità, nel romanzo Lourenço viene percepito come se non provasse alcun disagio o forte reazione al razzismo che subisce anche lui. I due fratelli hanno avuto un'educazione simile, ma sembrano avere percezioni del mondo molto diverse. Cosa significa questa dicotomia?
 
In questa dicotomia, trova espressione il peso (e la sua ineluttabilità) che ha per una persona di pelle più scura, il fatto di essere semplicemente presente in un luogo di comando, un luogo socialmente rilevante, e convivere con l'élite bianca della sua città, questo è esattamente il caso di Lourenço. Tra le righe del racconto, penso che si riveli quanta più pressione sia esercitata sull'esistenza di Lourenço rispetto a quella di Federico, nonostante siano due uomini neri nati nella stessa famiglia. A causa del suo fenotipo, non gli viene offerta un'avventura e una via di fuga così facilmente articolabili, come quelle offerte al fratello dalla pelle più chiara, protagonista della storia. In questo universo in cui solo la verità letteraria riesce a stabilire una narrazione che raggiunga una determinata potenza immaginifica, la complessità dell'alterità si presenta con un'efficacia e una gamma di affetto che non sarebbero possibili, ad esempio, in un'opera accademica.
 
La costruzione dei personaggi della madre e del padre si rivela molto forte. Ce ne può parlare?
 
Il padre del protagonista, il protagonista e sua nipote, credo che siano elementi, variazioni temporali, della stessa soggettività; formano una sorta di soggettività composita che funziona bene in una costruzione narrativa come questa. Sia il padre che la nipote influenzano il protagonista nelle sue certezze e anche nella sua impetuosità. C'è una ricerca che si diffonde e determina lo spostamento di questi tre personaggi all'interno della narrazione, all'interno degli archi narrativi che si intersecano. Non è per altro motivo che il futuro di questa narrazione – un futuro che è un elemento sospeso e integrante del finale di qualsiasi storia – e il futuro del protagonista stesso siano così strettamente legati a sua nipote Roberta e al suo futuro.
 
Cosa l’ha condotta a lavorare sul tema della "gerarchia cromatica", o colorismo?
 
Cerco di evitare il termine “colorismo” quando mi occupo della realtà razziale in Brasile perché è un termine che, per noi brasiliani, è strettamente correlato alla realtà specifica degli Stati Uniti. Penso che “cromatismo razziale” o “gerarchia cromatica imposta” funzionino meglio. Questa “gerarchia cromatica” mi ha sempre dato fastidio. Non riesco ad accettarla, non riesco ad accettare il modo in cui il progetto di civilizzazione brasiliano, attraverso la gestione della paura e dei traumi, sostiene l'idea di una conciliazione sociale in cui questa gerarchia è una soluzione plausibile, un'etica funzionante, un'etica distorta, un'etica di violenza invasiva.
 
Leggendo il romanzo, ho trovato riduttivo dire che il libro parla di relazioni razziali nel Brasile contemporaneo, perché mi sembra che centra un problema insito nella struttura stessa della società brasiliana, da cui il nome di “razzismo strutturale”. Presenta la miriade di preoccupazioni interiori e problemi quotidiani causati dalla gerarchia cromatica. In altre parole, questa pluralità di sentimenti, la dicotomia delle personalità, apporta una distinzione necessaria affinché questo non sia "solo un altro libro sul razzismo"; piuttosto, è un libro sulle persone; è viscerale, tocca la carne di coloro che vivono questo problema quotidianamente. Noi qui in Italia siamo abituati a sentire parlare del Brasile come il paese dell'armonia razziale. Pertanto, un libro attuale come questo, a mio avviso, offre molto su cui riflettere e, soprattutto, per comprendere a fondo la cruda realtà: ad esempio, il fatto che in Brasile il diritto all’istruzione, peraltro sancito dalla Costituzione, ha iniziato a equilibrarsi solo nel 2012, con la Legge sulle Quote Razziali. Qual è la situazione attuale della lotta contro il razzismo strutturale? In un'intervista Lei ha affermato che il razzismo in Brasile sta vivendo un momento di "smascheramento delle ipocrisie". Può spiegarci meglio?
 
Le quote per studenti indigeni e neri nelle università hanno portato la più grande rivoluzione della storia dell'istruzione accademica in Brasile. La percezione della realtà nei dibattiti in generale è stata profondamente alterata; non si tornerà più a ciò che si aveva prima. Nuovi linguaggi, nuove prospettive e discorsi di confronto hanno preso piede e si sono ampliati sia tra gli studenti che tra i docenti. L'università è maturata ed è diventata un po' più etica e consistente  nelle sue critiche. La presenza di persone nere ha contribuito a questo; spero che questo spazio sarà maggiormente occupato anche da presenze indigene. Écambiata la lettura del Brasile, della normalità brasiliana.
Chiaramente questi sviluppi hanno prodotto reazioni che hanno incluso una rinascita del pensiero di estrema destra, fortemente influenzato dai movimenti suprematisti bianchi americani e dal neoliberismo finanziario, che è diventato ancora più aggressivo ed escludente. C'è una parte della popolazione che si sente minacciata, messa in discussione nei propri privilegi, dalla presenza di neri e indigeni in ambienti che un tempo erano riservati esclusivamente a loro. Il governo brasiliano deve raddoppiare la scommessam rafforzare le strutture e i benefici sociali finanziari ed educativi che permettono ai poveri, ai neri e agli indigeni di continuare a frequentare le università. Non è il momento di cedere alle pressioni neoliberiste che vedono un senso solo nel destinare fondi pubblici direttamente alle banche e a meno dello 0,5% delle persone più ricche del Paese. Purtroppo, le attuali decisioni di bilancio non sembrano andare in questa direzione.
 
Il suo romanzo presenta generali, poliziotti, eventi storici come la Rivoluzione di Farroupilha (1835), frasi razziste che si sentono o sguardi che parlano, rabbia, violenza, indifferenza, un'infinità di frasi su cui riflettere, e rende chiaro come tutto questo provenga da lontano, da un passato quasi cristallizzato rispetto ai principi di una società che solo pochi anni fa, anche nel campo degli studi, ha fatto passi da gigante, e qui si inserisce il discorso delle quote razziali. Fin dalla prima pagina, il lettore può capire, senza metafore o altro, in modo diretto e crudo, che il Brasile viene descritto come un "paese sonnambulo" e un "paese trappola". Mi è subito venuto in mente lo scrittore mozambicano Mia Couto che definisce la sua terra, il Mozambico, come "Terra sonnambula", da cui il titolo un suo importante libro. Perché Lei definisce il Brasile in questo modo?
 
Il Brasile è una nazione che, a causa della perversità della sua élite, si è assestata in un'inerzia di forte ispirazione coloniale, dove l'ambizione di superare strutturalmente le sue enormi disuguaglianze si dissolve in uno stato di flusso che non costituisce mai una rottura o un rinnovamento strutturale, si perde in una conciliazione sonnambulica che non sprofonda nell'incoscienza totale, ma neppure si risveglia. In questo momento, questo sonnambulismo è più forte che mai perché sta guadagnando forza l'idea di saccheggiare risorse di bilancio che dovrebbero andare al popolo, di saccheggiare le casse pubbliche, la volontà di eliminare le politiche pubbliche a base sociale, come se ciò fosse qualcosa di normale, qualcosa di inevitabile. In questo contesto, le università pubbliche, e l'istruzione nel suo complesso, sono state nuovamente minacciate, e con esse il futuro delle quote come soluzione efficace per realizzare un paese più giusto.
 
Quando Federico parla con i suoi ricchi colleghi dell'Università Federale del Rio Grande do Sul (UFRGS), sembra chiaro che si concentrino esclusivamente sulla "cultura alta" e ignorino l'altra realtà che li circonda. Sembrano gruppi distinti e distanti. È davvero così che funziona in Brasile?
 
Purtroppo, è ancora così. Esistono molti divari che potranno essere superati solo riducendo le disuguaglianze materiali. In un paese schiavizzato dalle banche private (senza reazione delle banche pubbliche), non c'è altra via. È, in sostanza, una questione di bilancio e di distribuzione della ricchezza.
 
Il romanzo si concentra sul Brasile di oggi, ma alterna due momenti: il presente (2016), quando il protagonista partecipa alla commissione ministeriale a Brasilia per discutere i criteri di identificazione delle quote razziali nelle università pubbliche, e il passato (1984), durante la sua adolescenza nel quartiere Partenon di Porto Alegre, anno della sua formazione e acquisizione della coscienza razziale. In un'intervista Lei ha affermato: "Il passato è uno spazio in cui possiamo rimanere intrappolati per sempre". Eppure nel suo libro c'è un ritorno, un ritorno al passato. Come può questo ritorno contribuire a liberare il futuro della società brasiliana?
 
A seconda di chi legge, esiste una chiave quasi psicoanalitica in questa strategia narrativa. Dobbiamo svelare e comprendere ciò che è accaduto prima per trovare un linguaggio che rinnovi quello insufficiente del passato. Non aspirare a questo, e non riconoscere questo disagio e dolore, penso che significhi continuare a girare freneticamente attorno a qualcosa che è mitizzato, positivamente o negativamente, ma che non verrà mai compreso. Esiste una condizione agonistica che dipende dal dialogo non solo tra differenze, tra desideri e verità diverse, ma dall'ascolto sincero e spesso doloroso del passato. Nonostante l'onda generata dall'espansione del pensiero di estrema destra, il Brasile ha compreso meglio il proprio passato e, in questo processo, a volte, si è spaventato e, altre volte, ha progettato proposte etiche che non sarebbe stato possibile concepire e affermare in passato. La letteratura brasiliana contemporanea ha favorito questo processo.
 
La prima edizione di “Marrom e Amarelo” (titolo originale del libro) è uscita in Brasile nel 2019. La seconda edizione presenta un racconto inedito: Il libro di Roberta, presente anche nella edizione italiana del libro dal titolo “Cromatismi”. Il racconto parla della giovane figlia di Lourenço che da adulta non ha rinnegato i suoi valori. Mi è sembrato un esercizio letterario da un lato, ma dall'altro trasmette un messaggio. In esso, sembra che Lei sperimenta tre diversi modi di raccontare la storia: dire poco o dire molto. È nel terzo che, a mio parere, emerge la forza di agire; persino la nonna alla fine reagisce. Definisce la giovane Roberta come "un sole dentro la storia". Chi rappresenta Roberta da adulta, e perché ha deciso di inserirla ora nel romanzo?
 
In realtà, il racconto non fa parte del romanzo. Considerando che "Cromatismi" è anche un romanzo sul caos della mascolinità, penso che mettere insieme Roberta e sua nonna sia stato un modo per esercitare, in altre parole, le prossimità e le distanze familiari e identitarie che hanno formato la trama del romanzo. Ci sono molti possibili esiti per Roberta: non conoscere il suo futuro fa parte della forza che deve essere integrata in una narrazione come questa. Il racconto entra in questo contesto come mia risposta alle persone che mi hanno scritto chiedendomi di più su Roberta. Per essere intellettualmente onesto con l'intenzione che mi ha spinto a scrivere il romanzo, avrei dovuto esercitare qualcosa che si svolgesse su un altro piano. Ed è quello che è successo. Penso che in nessuna di queste molteplici possibilità, Roberta rinnegherebbe mai i suoi valori. Ciò che emerge nel racconto è che il passato, sempre un inquietante abitante di impressioni, di tracce, quando meno ce lo aspettiamo, può tornare a destabilizzarci.
 
In un'intervista ha affermato che la letteratura brasiliana contemporanea "ha un potere senza precedenti nella storia del Brasile". Perché?
 
Le nuove generazioni portano sempre con sé una quantità di linguaggio che le generazioni precedenti non sono riuscite a raggiungere. I nuovi autori scrivono attraverso nuove lenti e spinti da nuove ambizioni, non solo estetiche. In questo senso, penso molto alla letteratura trans, che sta guadagnando terreno e ci insegna nuovi lessici, nuove connessioni etiche che consentono connessioni che prima non sarebbero state possibili; anche le donne autrici e gli autori indigeni fanno parte di questo rinnovamento della presenza, del loro riconoscimento.
 
 
Parlando della importanza della lettura nella Sua vita, compresa l'infanzia, quale libro o quali libri hanno risvegliato in Lei in modo particolare il desiderio di diventare uno scrittore?
 
Molti libri in prosa mi hanno fatto sognare di diventare uno scrittore di prosa. Uno dei primi fu "La nausea" di Sartre. Ma ciò che fece la vera differenza furono i libri di poesia, sia brasiliani che tradotti in portoghese. Questo universo, quello della poesia, fu ciò che mi fece dire: voglio viverci per sempre.
 
                                             



Traduzione dal portoghese di A.R.R.

© SARAPEGBE.                                                          
E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione 
-------------------------------------------------------------------------------


TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

Entrevista ao escritor brasileiro Paulo Scott
por
Antonella Rita Roscilli



                                                     
 
“Cromatismi” do escritor brasileiro Paulo Scott (ed Tulemond, 2025), traduzido para o italiano por Giacomo Falconi, é um romance que aborda a complexidade da sociedade brasileira e, particularmente, os temas do racismo estrutural, ainda presente e vivo hoje em dia. Através da história de Federico, um sociólogo antirracista, e de seu irmão Lourenço, os detalhes das contradições e da luta contra a discriminação das minorias vêm à tona, entrelaçando passado e presente. O livro (título original "Marrom e Amarelo") foi finalista do Prêmio Jabuti no Brasil. Em 2022, a tradução para o inglês, editada por Daniel Hahn, alcançou a lista final do International Booker Prize e, em 2023, ganhou o Prêmio Jabuti de melhor título brasileiro publicado no exterior. Na Itália, foi apresentado na Biblioteca Amílcar Cabral de Bolonha, e na livraria L'Ornitorinco de Florença. Na capital italiana, foi apresentado no dia 24 de junho na "Casa delle Traduzioni" (a Instituição do Sistema de Bibliotecas e Centros Culturais de Roma), em um debate com Paulo Scott, Gaia Seller, chefe da "Casa delle Traduzioni", representantes da editora Tulemond, o tradutor italiano e quem escreve. O debate foi acompanhado pelo público que estava presente na sala. A seguir uma nossa entrevista ao escritor Paulo Scott.
 

1- De onde surgiu a idéia para este romance que toca questões tão atuais e problemáticas?
 
O romance vem da percepção da enorme complexidade que há na hierarquização cromática da cor da pele e dos fenótipos na sociedade brasileira, na normalização desta lente que, no final das contas, permite, por exemplo, que a ação da polícia seja desproporcionalmente mais agressiva e letal contra pessoas pobres e de pele mais escuras. Hoje, no Brasil, há uma espécie de renovada permissão tácita para a polícia matar sem que haja maiores consequências para os policiais que matam jovens negros e pobres. Vivo em São Paulo, que é uma das cidades mais ricas e organizadas do mundo, e o que testemunho é um crescente descontrole da atuação repressiva estatal, uma realidade flagrante que apenas comprova que, se retirarmos a lente racista naturalizada em nossa sociedade brasileira, o Brasil como o conhecemos desaparece no ar. Tratar de uma família negra, uma família negra miscigenada, imersa em um ambiente socioeconômico que a pressiona para fora da humanidade de primeira classe destinada apenas às pessoas de fenótipo ariano e resiste é, eu penso, uma forma de ampliar a linguagem que eventualmente possa explicar nosso tempo e nossa tragédia civilizatória de país que foi colônia e até hoje, apesar da sua enorme riqueza, não conseguiu se libertar. Parto de idiossincrasias que conheço bem e que contemplam peculiaridades familiares minhas para criar uma ficção. Faço questão de dizer que o romance “Cromatismi” não è uma autoficção: o protagonista não sou eu (o protagonista tem uma confusão existencial e uma coragem, e também uma covardia, que eu não tenho, que em nada se assemelham às minhas) e a família que protagoniza a história não é a minha. O romance nasce de um poema que escrevi quando tinha 18 anos e falava da angústia de ser uma pessoa negra passável por branca em seu país e, por isso, não sofrer as violências institucionais que seu irmão, seus parentes e seus amigos de fenótipo explicitamente negro sofriam, falava sobre não saber exatamente o que fazer diante dessa injustiça estrutural.
 
2 - De onde saiu a construção das personagens de Federico e Lourenço? Porque são tão diferentes, no romance, não se percebe em Lourenço inquietação ou reação forte ao racismo que também vive. Os dois irmãos tiveram uma educação semelhante, mas parece com percepções muito diferenciadas do mundo. O que significa esta dicotomia?
 
Nessa dicotomia, ganha expressão o peso (e sua incontornabilidade) que há para uma pessoa negra de pele retinta o fato de ela simplesmente estar presente em um lugar de comando, um lugar socialmente relevante, e convivendo com a elite branca de sua cidade, o que é justamente o caso de Lourenço. Nas entrelinhas da história, penso, acaba se revelando o quanto é mais pressionada a existência de Lourenço do que a de Federico, embora se trate de dois homens negros nascidos na mesma família. Por conta de seu fenótipo, não se lhe possibilita uma aventura e uma fuga tão facilmente articulada como a que se deu para seu irmão de pele mais clara, o protagonista da história. Nesse universo em que só a verdade da Literatura consegue estabelecer uma narrativa que alcance determinada potência imagética, a complexidade da alteridade se apresenta com uma efetividade e um alcance de afeto que não seria possível, por exemplo, a um trabalho acadêmico.
 
3 – A construção da personagem da mãe e do pai é muito forte. Pode falar um pouco sobre isso?
 
O pai do protagonista, o protagonista e sua sobrinha, penso, são elementos, variações temporais, de uma mesma subjetividade; conformam uma espécie de subjetividade composta que funciona bem em uma construção ficcional como essa. Tanto o pai quanto a sobrinha afetam o protagonista em suas certezas e também em sua impetuosidade. Há uma busca que se espalha e determina o deslocamento dessas três personagens dentro da narrativa, dos arcos entrecruzados da narrativa. Não é por outra razão que o futuro dessa narrativa, futuro que é um elemento suspenso integrante de qualquer final de história, e o futuro do próprio protagonista estão tão atrelados à Roberta, sua sobrinha, ao seu devir.
 
4 – O que o levou a trabalhar com a questão da “hierarquia cromática”, ou colorismo?
 
Tento evitar o termo colorismo quando trato da realidade racial no Brasil porque é um termo que para nós brasileiros é muito relacionado à realidade específica dos Estados Unidos. Penso que cromatismo racial ou hierarquia cromática imposta funcionam melhor. Essa hierarquia cromática sempre me incomodou. Não consigo admiti-la, não consigo aceitar a maneira como o projeto civilizatório brasileiro, por meio do gerenciamento do medo, dos traumas, sustenta a ideia de uma conciliação social em que essa hierarquia é uma solução plausível, uma ética operante, uma ética torta, uma ética da violência invasora.
 
5 – Lendo o romance, achei redutivo dizer que o livro fala das relações raciais no Brasil contemporâneo, pois me parece que vai direto ao coração da questão que é um problema da própria estrutura da sociedade brasileira, daí o nome racismo estrutural. Apresenta as mil inquietações interiores, e os problemas do dia a dia devidos à hierarquia cromática que se encontra no Brasil. Ou seja: essa pluralidade de sentimentos, a dicotomia de personalidades, traz uma diferenciação necessária para que este não seja "só mais um livro sobre racismo"; mas um livro sobre pessoas, è visceral, toca a carne das pessoas que experimentam este problema no dia a dia. A gente aqui na Itália està mais acostumada a ouvir falar do Brasil como o País da harmonia racial. Portanto um livro atual como este, a meu ver, dà muito para poder refletir e, sobretudo, conhecer mais a realidade crua e verdadeira: por exemplo o fato que no Brasil somente com a Lei das cotas raciais em 2012 se começou a equilibrar o direito ao estudo, sancionado pela Constituição. Qual é o estágio atual do Brasil na luta contra o racismo estrutural? O senhor disse em uma entrevista que o racismo no Brasil vive hoje um momento de "descortinamento das hipocrisias”, pode explicar melhor?
 
As quotas para estudantes indígenas e negros nas universidades realizaram a maior revolução da história da educação acadêmica no Brasil. A percepção da realidade nos debates em geral foi alterada profundamente; não haverá retorno ao que se tinha antes. Novas linguagens, novas lentes e discursos de enfrentamento se instalaram e expandiram tanto no corpo discente quanto no corpo docente. A universidade amadureceu e se tornou um pouco mais ética e consistente em suas críticas. A presença de pessoas negras fez isso; espero que esse espaço seja também mais ocupado por presenças indígenas. A leitura do Brasil, da normalidade brasileira, mudou. E, claro, tais novidades produziram reações que contaram com o recrudescimento do pensamento de extrema-direita bastante influenciado pelos movimentos supremacistas brancos estadunidenses e pelo neoliberalismo financista que se tornou mais agressivo e excludente do que já era. Há uma parcela de pessoas que se sente ameaçada, confrontada em seus privilégios, com a presença de pessoas negras e indígenas em ambientes que eram exclusividades suas. O governo brasileiro precisa dobrar a aposta e fortalecer as estruturas e benefícios sociais financeiros e educacionais que permitem a permanência de pessoas pobres, negras e indígenas nas universidades. Não é hora de se entregar às pressões neoliberais que só enxergam sentido em destinar dinheiro público diretamente para os bancos e para o menos de 0,5% das pessoas mais ricas do país. Infelizmente as atuais decisões orçamentárias não parecem apontar nessa direção.
 
6 – No romance estão presentes generais, policiais, também fatos históricos como a Revolução Farroupilha (1835), frases racistas que se ouvem, ou olhares que falam, a raiva, a violência, a indiferença, uma infinitude de frases sobre as quais refletir, e deixa claro como tudo isso vem de longe, de um passado quase cristalizado no que diz respeito aos princípios de uma sociedade que só há alguns anos, inclusive no campo dos estudos, deu passos e aqui se insere o discurso das cotas raciais. Logo na primeira página, o leitor já pode entender, sem metáforas nem nada, direito, nu e cru, o Brasil é descrito como “país sonâmbulo” e “país-cilada”. Logo lembrei do autor moçambicano Mia Couto que define a terra dele, o Moçambique, “Terra Sonâmbula” que deu título a um importante livro dele. Porque o senhor define assim o Brasil?
 
O Brasil é uma nação que, por conta da perversidade de sua elite, se acomoda em uma inércia de forte inspiração colonial em que a ambição de superar estruturalmente as suas enormes desigualdades se dissolve em um estado de movimentação que nunca é ruptura e nunca é renovação estrutural, perde-se em uma conciliação sonâmbula que não se precipita na inconsciência total e, ao mesmo tempo, não desperta. Neste momento esse sonambulismo é mais forte do que nunca porque ganha força a ideia de saque dos recursos orçamentários que deveriam ir para o povo, saque dos cofres públicos, a vontade de eliminação das políticas públicas de fundo social, como algo normal, algo inevitável. Nessa conjuntura, a universidade pública e a educação como um todo voltaram a ser ameaçadas e com elas o futuro das cotas como saída exitosa de concretização de um país mais justo.

7 – Quando Federico conversa com seus colegas abastados da Universidade Federal do Rio Grande do Sul (UFRGS), parece evidente que eles se atêm somente à “alta cultura” e ignoram a outra realidade que os cerca. Parecem grupos distintos e distantes entre eles. E’ assim mesmo que acontece no Brasil?

Infelizmente, ainda é. Há muitos abismos que somente serão superados com a redução das desigualdades materiais. Em um país escravizado pelos bancos privados (sem reação dos bancos públicos), não há outra maneira. Trata-se, no fundo, sim, de orçamento e de distribuição da riqueza. 

8 – O romance centra-se no Brasil atual, mas alterna dois momentos: o presente (2016) em que ele participa da comissão ministerial em Brasília que discute os critérios de identificação para cotas raciais em universidades públicas, e o passado (1984) durante a adolescência do narrador no bairro Partenon, em Porto Alegre, ano de formação e aquisição de consciência racial. Em uma entrevista você afirmou: “O passado é um espaço onde podemos ficar presos para sempre”. Mas nesta obra tem o retorno, o regresso no tempo passado. De que forma este regresso pode trabalhar em libertar o futuro da sociedade brasileira?
 
Há, dependendo de quem lê, uma chave quase psicanalítica nessa estratégia narrativa. Precisamos desvelar e entender o que passou para encontrarmos a linguagem que renove a linguagem insuficiente do passado. Não ambicionar isso e não assumir esse desconforto e essa dor, penso, é ficar rodando alucinadamente em torno de algo que se mitifica positiva ou negativamente e jamais será compreendido. Há uma condição agonística que depende do diálogo não apenas entre diferenças, entre diferentes desejos e verdades, mas da escuta sincera e muitas vezes dolorosa do passado. Apesar de toda a onda gerada pela expansão do pensamento de extrema-direita, o Brasil tem compreendido melhor o seu passado e, nesse processo, às vezes, se assustado e, em outras, projetado proposições éticas que não seriam possíveis de serem concebidas e afirmadas no passado. A literatura brasileira contemporânea tem auxiliado nesse processo.

9- A primeira edição de “Marrom e Amarelo” saiu no Brasil em 2019. A segunda edição traz um conto inédito: O livro de Roberta que se encontra também na edição italiana que saiu com titulo  “Cromatismi”. A jovem filha de Lourenço que adulta não negou seus valores. Me pareceu um exercício literário por um lado, mas por outro traz uma mensagem. Nele parece que o senhor  experimenta três formas diferentes para contar: dizer pouco ou muito. É na terceira que em minha opinião sai a Força de agir, até a avó finalmente reage. Define a jovem Roberta como “um sol dentro da história”. Quem representa Roberta adulta e por que decidiu incorporá-lo ao romance agora?
 
Na verdade, o conto não faz parte do romance. Tendo em conta que “Marrom e Amarelo” também é um romance sobre o caos da masculinidade, colocar as duas juntas, Roberta e sua avó, penso, foi uma forma de exercitar, em outros termos, as proximidades e distâncias, na família e na identidade, que compuseram a trama do romance a que se relaciona. Como expliquei, há muitos desdobramentos possíveis para Roberta, não saber de seu futuro é parte da força que precisa integrar uma narrativa como essa. O conto entra nesse contexto como uma resposta minha às pessoas que me escreveram pedindo mais sobre Roberta. Para ser honesto intelectualmente com a intenção que me fez escrever o romance, eu teria de exercitar algo que se desse em outro plano. Foi o que aconteceu. Acho que em qualquer dessas múltiplas possibilidades, Roberta jamais negaria seus valores. O que sobressai no conto é que o passado, sempre ocupante assombroso das impressões, dos vestígios, e quando menos esperamos, pode retornar para nos desestabilizar.
 
10- O senhor afirmou em uma entrevista que a literatura brasileira contemporânea "tem uma potência inédita na história do Brasil”, por quê?
 
As novas gerações sempre trazem um volume de linguagem que as gerações anteriores não puderam alcançar. As novas autoras e autores escrevem sob novas lentes e impulsionados por novas ambições não apenas estéticas. Nesse sentido, penso muito na literatura de autoria trans que tem ganhado espaço e nos ensinado novos léxicos, novas conexões éticas que possibilitam proximidades que antes não seriam factíveis; as autorias femininas e indígenas também estão nessa renovação de presenças, no seu reconhecimento.
 
11 - A importância da leitura em sua vida, inclusive na infância. Qual ou quais livros despertaram particularmente no senhor a vontade de ser escritor?
 
Muitos livros de prosa me fizeram sonhar ser escritor de prosa, um dos primeiros foi “A náusea”, do Sartre. Mas o que fizeram a verdadeira diferença foram os livros de poesia, os brasileiros e os traduzidos para o português. Esse universo, o da poesia, foi o que me fez dizer: eu quero viver nele para sempre.
 
                                         



© SARAPEGBE.                                                          
E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione