Svegliandosi in una maloca yanomami
Loretta Emiri
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)

Discretamente, i primi raggi di luce penetrano nella maloca addormentata. Silenziosamente, i cacciatori con arco, due o tre frecce e coltello vanno incontro alla foresta e all’abbondante cacciagione. In tono basso cominciano le conversazioni, per non incomodare chi dorme ancora. Un uomo, lentamente e con zelo, spazza il pavimento, mentre la moglie scalda il cibo che è avanzato dalla cena. Qualcuno mangia.

Qualcuno dolcemente nell’amaca si dondola. Una donna, seduta per terra, grattugia manioca già sbucciata e lavata. La vicina, tenendo il cestino fra le cosce, spreme manioca grattugiata. Un’altra, seduta nell’amaca, sventola il fuoco e cucina focacce sopra ad una piastra di metallo. Alcune donne escono per andare a raccogliere qualcosa nel campo: il figlio più piccolo in braccio; un altro figlioletto seduto sul cesto che pende sulle spalle e che sostengono attraverso una fascia vegetale appoggiata sulla testa; i figli più grandi dietro a loro, uno dietro l’altro, in fila.

Alcuni scapoli e giovani uomini decidono di tagliarsi i capelli; pazientemente, uno di loro taglia i capelli a tutti, fra battute e risate allegre. Gli scapoli si riuniscono poi nel luogo dove alcuni di loro stanno abitando e, seduti o dondolandosi nelle amache, si dipingono, si pettinano, si specchiano, lanciando ogni tanto un’esclamazione di allegria, amabilmente conversando fra di loro. All’improvviso, il grido di qualcuno avverte il gruppo del pericolo: “un colibrì è entrato nella maloca!”; è un vero grido di guerra: uomini, donne e bambini si armano di pali, scope, archi e frecce senza punte; nell’animazione crescente, perseguitano lo spaventato malcapitato e, inutilmente, cercano di scacciarlo; la guerra dura circa venti minuti; quando, infine, il colibrì raggiunge una delle porte della maloca e vola lontano, i guerrieri raggiungono le amache e, sudati, stanchi morti, senza fiato, implorano il giusto riposo.
                                                                   

Una donna, sdraiata nell’amaca a pancia in sotto, modella conchiglie sfregandole su di una pietra incassata al suolo; con esse abbellirà la sua tanga e quelle delle figliolette. Un uomo torna dal campo con foglie di agave; legando una estremità a un palo, con strattoni sicuri e rapidi le sfila; colloca poi le fibre vicino al fuoco, in alto, a seccare. La più vecchia del gruppo parla con la scimmietta addomesticata, mentre le lega una banana al palo su cui l’animaletto corre e si dondola il giorno intero. Un rumore che viene da lontano annuncia che la pioggia sta arrivando. Essa irrompe nel cortile interno della maloca dalla grande apertura del tetto. È l’occasione che fa fare ai bambini il gioco più animato e divertente: si rotolano per terra ed emergono infangati, corrono sotto la pioggia, che rapidamente li lava, e di nuovo si buttano nel fango, felici, contenti, ridendo, cantando.

C’è una donna che fila cotone. Un’altra, con fibra vegetale e mani agili, prepara un cestino che userà come piatto, per depositare cibo. Qualcuno sta tornando dalla raccolta nella foresta e dalla caccia. Grida di gioia accolgono le persone e i loro carichi. Voci mormorano “è tapiro!”, “è frutta!”, “è miele!”. Le donne che vogliono mangiare tapiro e le parenti di coloro che a loro volta vogliono mangiarne, si siedono vicino al luogo dove la carne viene spezzata, per avere, ognuna, diritto a un pezzo. Chi ha raccolto frutta o miele prepara varie porzioni e le distribuisce a parenti ed ospiti. Quando il giorno già sta per finire, un gruppo di donne va verso il campo per raccogliere legna; tornano cariche fino all’inverosimile; gettato a terra il pesantissimo cesto, alimentano i fuochi o li accendono andando a prendere un tizzone dal fuoco più vicino.

Quando già è buio, tutti sdraiati, i fuochi accesi, mentre qualcuno ancora mangia, iniziano le conversazioni: si commentano i fatti del giorno, ridendo di tutto ciò che di buffo è successo o si è detto; si programma l’indomani. Uno parla, l’altro ascolta, un altro interviene, la donna suggerisce al marito ciò che deve dire: ore di tenerezza e distensione. Quando la conversazione muore e il sonno comincia ad arrivare, lasciando così agli altri la libertà di ascoltare o no, uno degli anziani fa un lungo discorso: dà indicazioni, suggerimenti e informazioni; trasmette così ai più giovani le sue conoscenze, la sua saggezza, la sua filosofia, che già furono degli antenati. Quando tutto è silenzio, quando guardo verso la grande apertura del tetto e stelle brillanti contemplo, solo io bianca in mezzo ai rossi amici pagani, lontana da quelli che parlano di Dio, posso persino udire la voce di Dio.

                                                             
 
 
Maloca: grande casa comunitaria o villaggio indigeno.
“Svegliandosi in una maloca yanomami” è uno dei capitoli del libro Amazzonia portatile, Loretta Emiri,      Manni Editore, Lecce, 2003.

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Loretta Emiri. E' nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico "Yanomami para brasileiro ver", la raccolta poetica "Mulher entre três culturas", i volumi di racconti "Amazzonia portatile e Amazzone in tempo reale" (Premio Speciale della Giuria per la Saggistica del Premio Franz Kafka Italia 2013), il romanzo breve "Quando le amazzoni diventano nonne". È anche autrice dell’inedito "A passo di tartaruga", mentre del libro "Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più", anch’esso inedito, è la curatrice.


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TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

Acordando numa maloca yanomami *
por
Loretta Emiri
 

                                                                 
           
Discretamente os primeiros raios de luz penetram na maloca adormecida. Silenciosamente os caçadores, com arco, duas ou três flechas e faca, saem encontro ao mato a às fartas caças. Em tom baixo começam as conversas, para não incomodar quem dorme ainda. Um homem, devagarzinho e com cuidado, varre o chão, enquanto a mulher esquenta a comida que sobrou da janta. Alguém come. Alguém docemente na rede se balança.

Uma mulher, sentada no chão, rala a mandioca já descascada e lavada. A vizinha, segurando o tipiti entre as cochas, espreme massa ralada. Outra ainda, sentada na rede, abana o fogo e cozinha beiju em cima duma chapa de metal. Umas mulheres saem para ir recolher algo na roça: o filho menor no colo; outro filhinho sentado no paneiro que carregam nas costas, segurando-o com uma alça de envira passada na cabeça; os filhos maiores atrás delas, um atrás do outro, enfileirados.

Uns solteiros e jovens homens resolvem se cortar os cabelos. Pacientemente, um deles corta os cabelos de todos, entre piadas e risadas alegres. Os solteiros se reúnem em seguida no local onde uns deles estão morando e, sentados ou balançando nas redes, se pintam, se penteiam, se espelham, lançando de vez enquanto uma exclamação de alegria, amavelmente conversando entre si.

De repente o grito de alguém alerta o grupo contra o “perigo”: “Um beija-flor entrou na maloca!”. É um verdadeiro grito de guerra: homens, mulheres e crianças se armam de paus, vassouras, arcos e flechas sem pontas. Na animação crescente, o coitado espantado perseguem e, inutilmente, tentam afugentar. A guerra dura vinte minutos. Quando enfim o beija-flor alcança uma das portas da maloca e se manda, os guerreiros alcançam as redes e, suados, mortos de cansaço, sem fôlego, imploram o justo descanso.
                                                               

 Uma mulher, deitada na rede de barriga pra baixo, esfregando-as contra uma pedra encaixada no chão, amolda conchas com as quais enfeitará a tanga própria e as das filhinhas. Um homem volta da roça com folhas de curauá. Segurando uma extremidade a um pau, com puxadas seguras e rápidas as desfia. Coloca depois as fibras perto da fogueira, no alto, para secar. A mais velha do grupo conversa com o macaquinho de estimação, enquanto amarra para ele uma banana no pau onde o bichinho anda e se balança o dia inteiro.

Um barulho que vem de longe anuncia que a chuva está chegando. Ela irrompe no pátio central da maloca pela grande abertura do teto.   É a ocasião para os meninos fazerem o jogo mais animado e divertido: se rolam no chão e emergem barrentos, correm em baixo da chuva, que rapidamente os limpa, e de novo se jogam no lodo, felizes, contentes, rindo, cantando. Tem mulher que fia algodão; tem outra que, com cipó-titica e mãos ágeis, confecciona um cesto que usará como prato, para depósito de comida.
 
Alguém está voltando da coleta no mato e da caça. Gritos de alegria acolhem o pessoal e suas cargas. Vozes murmuram: “É anta!”. “É bacaba!”. “É mel!”. As mulheres que querem comer anta e as parentes dos que querem comê-la, sentam perto do local onde a carne está sendo espedaçada para, cada uma delas, ter direito a um pedaço. Quem recolheu fruta o mel, prepara várias porções e as distribui entre parentes e hospedes. Quando já o dia está para acabar, um grupo de mulheres vai até a roça para recolher lenha. Voltam carregadas até o incrível. Jogado no chão o pesadíssimo paneiro, alimentam as fogueiras ou as acendem indo buscar um tição da fogueira mais próxima.

Quando já é escuro, todo mundo deitado, os fogos acesos, alguém ainda comendo, começam as conversas: comentando os fatos do dia, planejando o dia de amanhã, rindo de tuto o que de engraçado se deu ou se falou. Um fala, o outro escuta, o outro intervém, a mulher sugerindo ao marido o que deve dizer: horas de ternura e descontração.

Quando a conversa morre e o sono começa a chegar, deixando assim aos outros a liberdade de escutar ou não, um dos anciões faz um longo discurso: dá dicas, sugestões e informações; ele transmite assim, para os mais novos, seus conhecimentos, sua sabedoria, sua filosofia, que já foram dos antepassados.
Quando tudo é silêncio, quando olho para a grande abertura do teto e estrelas brilhantes enxergo, só eu branca, no meio dos pagãos amigos vermelhos, longe dos que falam de Deus, posso até ouvir a voz de Deus.

                                                               
 
 
Publicado em Mulher entre três culturas, Loretta Emiri, EDICON, São Paulo, 1992.

Traduzione in portoghese di Loretta Emiri
Loretta Emiri. Nasceu na Itália, na região Umbria, em 1947. Em 1977 estabeleceu-se em Roraima onde conviveu por anos com os índios Yanomami. Em seguida, organizando cursos e encontros para professores indígenas, teve contatos com várias etnia e seus líderes. Publicou o "Dicionário Yãnomamè-Português", o livro etno-fotográfico "Yanomami para brasileiro ver", o livro de poemas "Mulher entre três culturas", os volumes de contos "Amazzonia portatile e Amazzone in tempo reale" (Prêmio Especial do Júri para os Ensaios do Prêmio Franz Kafka Itália 2013), o romance breve "Quando le amazzoni diventano nonne". Inedito è "A passo di tartaruga”, enquanto que do livro "Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più", inedito também, é a curadora.