SPECIALE CARLOS NELSON COUTINHO. Nazionale-Internazionale-Popolare: Carlos Nelson Coutinho
Giorgio Baratta
Carlos Nelson Coutinho
Carlos Nelson Coutinho è un marxista “classico””. “Classica” è anche la sua interpretazione di Gramsci: a tutto tondo. A differenza di Said, Hall e Balibar, Coutinho è uno studioso anche filologicamente impegnato su Gramsci, tanto che a lui si deve, insieme a Henriques e Nogueira, l’edizione completa portoghese in sei volumi dei “Quaderni” (appena ultimata). Alla sua monografia “Antonio Gramsci. Um estudo sobre seu pensamento politico[41] si aggiungono numerosi studi tra i quali fanno spicco “Il concetto di politica nei "Quaderni del carcere”[42] e “La società civile di Gramsci e il Brasile di oggi” [43].

Qui ci interessa los usos  che Coutinho fa di Gramsci per la comprensione della realtà brasiliana, tema sul quale egli è ritornato più volte, come più volte ha ripercorso la storia della fortuna di Gramsci in Brasile[44]. Nel capitolo IX della sua monografia egli sottolinea l’applicabilità, in particolare, di tre <<categorie di Gramsci>> in relazione alla <<realtà brasiliana>>: la <<rivoluzione passiva>>, <<il trasformismo>>, la <<teoria allargata dello Stato>>. La prima di queste applicazioni, soprattutto, si rivela estremamente ricca e complessa e travalica il circoscritto spazio che ad essa dedica la monografia.

Considerando altri testi dedicati alla questione, si osserva come Coutinho ripensi la gramsciana <<rivoluzione passiva>> come pendant alla leniniana <<via prussiana verso il capitalismo>>. Entrando in discussione con autori stranieri e brasiliani (è opportuno citare per lo meno Caio Prado Júnior) egli elabora, attorno alla sua interpretazione un autore assai meno “classico” – nella sua eredità marxista – di Coutinho, che si è “appropriato” in modo piuttosto creativo (o soggettivo), ma non per questo meno fecondo, della categoria di <<rivoluzione passiva>> per leggere il Brasile: Luiz Werneck Vianna[45].

Desidero qui solo aggiungere che Coutinho, nello sforzo di leggere la realtà storica alla luce di questa categoria, si trova a sottolineare forti affinità, analogie, concordanze tra aspetti rilevanti della storia d’Italia e del Brasile. Né si tratta solo di un confronto. C’è di più, cioè la dimostrazione pratica di una fondamentale dimensione transnazionale di categorie gramsciane che pure si dimostrano perfettamente adeguate allo studio di una realtà nazionale, a cominciare, come in questo caso, da quella italiana.

Quale studioso europeo, mi interessa particolarmente entrare in discussione con l’uso che Coutinho fa di una categoria oramai abbandonata o messa in soffitta da noi: il <<nazionale-popolare>>.
Se mi è consentito un divertissement, vorrei dire che la cultura europea vive una necessità antropofagia a rovescio[46] nei confronti della cultura (e della politica) brasiliana, come , più in generale, di tante culture “postcoloniali”.

Al di là della metafora, c’è un problema di sostanza, e cioè la necessità per noi di superare alcuni <<tabù>> (senza necessariamente…<<trasfigurarli in totem>>[47]). Mi riferisco ai concetti di “natura” e di “popolo”[48]. Coutinho ci può aiutare a riscoprire – attraverso e oltre l’attualità del <<nazionale-popolare>>, la verità del “popolo”.

Un paragrafo significativo del suo saggio “Cultura e società in Brasile” [49] si intitola “Il nazionale popolare come alternativa alla cultura intimista”. Occorre leggere queste pagine nel contesto generale del volume e in particolare nel nesso col primo capitolo – “Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura” – il quale proprio oggi può aiutarci a superare un altro tabù, circoscritto alla “famiglia” gramsciana: l’uso di <<intellettuale organico>>[50].

Coutinho si spinge sino a riprendere questa “classica” categoria gramsciana sottolineando come la storia brasiliana, al pari di quella italiana, sia caratterizzata strutturalmente dal distacco degli intellettuali dal popolo dal popolo-nazione e come sia quindi necessaria una lotta per la formazione di <<intellettuali organici>> delle correnti popolari[51]. Sarebbe estremamente interessante interrogare Coutinho, ma anche tutti noi sulla attualità o meno di una tale espressione, a venticinque anni dalla sua formulazione, nell’epoca in cui, nel cuore delle società occidentali, come sosteneva allora Cesare Cases[52], di <<intellettuali organici>> sembra potersi oramai parlare solo in riferimento agli intellettuali “borghesi”, che accettano e fanno proprie le regole del gioco, mentre vanno scomparendo, come sostiene oggi Said, gli intellettuali “critici”, rimasti solo negli interstizi della società civile (come gli intellettuali “nomadi” o “amatori” o “dilettanti”)[53].

Coniugando in modo assai produttivo apparato e metodo concettuale di Gramsci con quelli di Lukàcs, Coutinho ha il merito di riproporre l’espressione “nazionale-popolare” (in linea con le acquisizioni filologiche più rilevanti, come quelle ottenute da Maria Bianca Luporini[54]) in un’accezione e un arco storico molto ampi.

<<Nazionale-popolare>> è una dimensione culturale e politica- dice Coutinho – opposta a ogni forma di <<populismo-nazionalismo>> nel quale rende sempre ad arroccarsi una <<intellighentsia>> incapace o non desiderosa di cogliere l’articolazione complessa e contradditoria e l’evoluzione della società civile. Coutinho scrive nel 1979, in pieno regime militare, quando il potere va accentuando gli sforzi per promuovere o favorire il consolidamento di una cultura intimista, elitaria, ornamentale. La forza della sua argomentazione discende dalla capacità di analizzare i nodi strutturali permanenti di cultura e società in Brasile a partire dalla fine degli anni Cinquanta, quando cioè comincia ad affermarsi definitivamente l’ingresso del Brasile, con tutto il fardello delle sue incrostazioni parassitarie e il peso opprimente della miseria, nel nucleo degli Stati dei capitalismo maturo.

Coutinho individua una contraddizione profonda e in ultima analisi produttiva tra le dinamiche tradizionali della società e della politica brasiliane (la <<via prussiana>>, la <<rivoluzione passiva>>, il <<trasformismo>>, le <<trasformazioni dall’alto>>), aggravate e irrigidite dal regime militare, e l’emergere di alternative oggettivamente prodotte dall’incapacità del potere costituito di ottenere il consenso ed esercitare egemonia su ampi strati della società brasiliana, inclusi settori non indifferenti delle classi medie.

Coutinho riprende una fondamentale intuizione gramsciana poco valorizzata: il rapporto stretto e fondativo tra democrazia, intesa in senso non formalistico, e <<nazionale-popolare>>. Non si tratta di una teoria prescrittiva, ma analitica[55].  Coutinho la usa per sottolineare il fondamento nazionale-popolare della essenziale lotta per la democratizzazione della società e della politica brasiliane. Entrano qui in gioco due elementi specifici che esprimono la ricchezza e l’originalità della situazione qui descritta.

In primo luogo il fatto – che Coutinho ritrova alla base dell’intera storia del Brasile sin dalla sua origine e che affiora ora con ancor maggiore evidenza – che la necessità di una politica nazionale-popolare si coniuga con un’altra necessità, quella di non svendere agli stranieri, detentori del potere capitalistico, il patrimonio della “Terra” brasiliana (natura, società e cultura) in un’epoca di oggettiva e irreversibile internazionalizzazione dell’economia. In secondo luogo il fatto – connesso con il primo – che una politica e quindi una cultura “nazionale-popolare” richiedono uno sforzo consapevole, da parte degli intellettuali critici (gli <<intellettuali organici delle correnti popolari>>), per promuovere un equilibrio dinamico e produttivo tra modernità e tradizione, o se vogliamo tra “modernismo” e “tradizionalismo”, tra la capacità di attingere e partecipare al divenire della cultura mondiale e la volontà di tenersi ancorati alla realtà e ai valori della propria storia, che è in primo luogo una storia popolare.

Come si osserva dalle poche ma acute considerazioni sul “tropicalismo” nel citato saggio “Cultura e Società in Brasile”, Coutinho coglie pienamente la contraddizione risultante <<dal modo “prussiano” di instaurazione del capitalismo monopolistico di Stato in Brasile (coesistenza di un sofisticato capitalismo di consumo con la conservazione dell’arretratezza nei mezzi rurali e nelle periferie urbane)>>[56]. Espressione all’inizio – secondo Coutinho – di una cultura ancora <<intimista>>, il movimento tropicalista affronta consapevolmente questa contraddizione, sviluppandosi nel duplice senso di contrastare ogni ingenuo e oramai reazionario <<populismo>>, custode di una presunta inesistente <<purezza>> del popolo, e di superare le proprie stesse tentazioni di <<allegoria irrazionalistica>>, scendendo invece sul terreno concreto di una <<dura critica […] della quotidianità capitalistica moderna[57].

In una breve ma importante nota alla recente traduzione italiana del saggio, Coutinho vede accentuata, dopo le esperienze dei governi neoliberali, la capacità egemonica dell’industria culturale, capace non solo di <<cooptare intellettuali “tradizionali”>>, ma altresì di creare i <<propri intellettuali “organici”>>. Di fronte ai nuovi <<processi di democratizzazione politica>> in Brasile apparirebbero perciò <<ancora attuali anche le proposte di democratizzazione della cultura, abbozzate nell’ultima parte del saggio>>[58].

“Nazionale-internazionale-popolare”: nell’epoca della cosiddetta globalizzazione la categoria gramsciana conosce una sua oggettiva evoluzione e complicazione. Il lavoro di Coutinho testimonia e sottolinea come non solo la dinamica internazionale sia decisiva per le sorti di una nazione – di una grande nazione come il Brasile – ma come, viceversa, l’esito di queste sorti sia a sua volta destinato a modificare e, speriamo, ad arricchire positivamente <<il quadro della storia mondiale>>.
 
[41] Porto Alegre, 1981. Rio de Janeiro 1989 e 1992, poi Nova edição ampliada, Civilização Brasileira, Rio de Janeiro 1999
[42] “Critica marxista”, 2001, marzo-giugno, pp. 69-77 (relazione presentata al Seminario “Gramsci e il suo tempo” dell’Istituto Gramsci dell’Emilia Romagna, marzo 2001).
[43] “Critica Marxista”, 2000, maggio-agosto, pp. 67-80 (relazione presentata al Convegno di Studi gramsciani di Puebla, febbraio 2000).
[44] Cf. “Apéndice 3. A Recepçao de Gramsci no Brasil” ad “Antonio Gramsci. Um estudo”, cit. pp. 279-305: “In Brasile”, in Hobsbawm (a cura di), “Gramsci in Europa e in America”, cit. pp. 123-40
[45] L.W.Vianna. “A revolução passiva. Iberismo e americanismo no Brasil”. Revan, Rio de Janeiro 1997.
[46] Il “Manifesto antropofago” di Oswald de Andrade (1928), scritto nel vivo del movimento modernista, ha un valore fondativo per un’intera tradizione culturale e artistica brasiliana. Si vedano ad esempio le riflessioni critiche di Caetano Veloso in “Verità tropicale”, trad. it. Di M.S. de Oliveira Paes, Feltrinelli, Milano, 2003. Il testo del “Manifesto” insieme ad una ricca documentazione, si trova in E. Finazzi Agrò, M.C. Pincherle (a cura di), “La cultura cannibale. Oswald de Andrade: da Pão-Brasil al Manifesto antropofago”, Meltemi, Roma, 1999. Di notevole interesse, al termine del volume, “L’identità mangiata. Considerazioni sull’Antropofagia” di E. Finazzi Agrò, pp. 79-93.
[47] <<La trasfigurazione del Tabù in totem. Antropofagia>> è un passo dal “Manifesto antropofagico”. Cfr. supra, CAP. 2.
[48] Cfr. supra, CAP. 2
[49] Scritto nel 1977-79, il saggio è il secondo capitolo dell’omonimo libro “Cultura e Sociedade no Brasil. Ensaios sobre idria e formas”, DP&A, Rio de Janeiro 2000. Cfr. ora “Cultura e società in Brasile”, trad. it. Di A. Infranca, in “Rivista di studi portoghesi e brasiliani”, III, 2001, pp. 177-200
[50] In Europa ha provato a rimettere in circolazione questo concetto, anche in riferimento diretto al contesto europeo, prima Wolfgang Fritz Haug in “Pluraler Marxismus”, cit. più recentemente Etienne Balibar in “Nous, citoyens d’Europe?”, cit.
[51]Coutinho, “Cultura e Società in Brasile”, trad. it. Cit., p. 189
[52] Cfr. supra, PAR. 3.1 e nota 22 del CAP.7
[53] Cfr. E.W.Said, “Dire la verità. Gli intellettuali e il potere”, trad. in., Feltrinelli, Milano 1996
[54] Cfr. supra, PAR. 2-4
[55] Scrive Gramsci: <<La parola “democrazia” non deve essere assunta […] solo nel significato “laico” o “laicista” che si vuol dire, ma anche nel significato “cattolico”, anche reazionario, se si vuole; ciò che importa è il fatto che si ricerchi un legame col popolo, con la nazione, che si ritenga necessaria una unità non servile, dovuta all’obbedienza passiva, ma un’unità attiva, vivente, qualunque sia il contenuto di questa vita>> (Q 1740). Proprio perché non sono necessariamente “di sinistra”, democrazia e nazionale-popolare, prima ancora che “valori universali” sono un terreno difficile e complicato di lotta egemonica.
[56] Coutinho, “Cultura e società in Brasile”, cit. p. 196
[57] Ivi, p. 200.
[58] Ivi, p. 200
 
 
Si ringrazia l’editore Carocci per la gentile concessione alla riproduzione.
Contenuto in “Le rose e i quaderni: il pensiero dialogico di Antonio Gramsci” di Giorgio Baratta. Parte II. Roma, Ed. Carocci, c2003, p. 196-200. Una bella recensione a questo libro di Baratta, scritta da C.N. Coutinho si trova nella rivista italiana "Critica Marxista" (n. 6, nov.-dic. 2000, p. 74).  
 
Giorgio Baratta. Filosofo, studioso gramsciano, docente di Filosofia Morale all’Università di Urbino, è tra i fondatori della International Gramsci Society e presidente IGS-Italia. E’ scomparso nel 2010. Su Gramsci aveva realizzato due lavori cinematografici e uno teatrale.  Fondatore e presidente del network Immaginare l’Europa, da ultimo aveva collaborato a fondare e dirigere Terra Gramsci, nata in Sardegna in collegamento con la Igs Italia. Baratta ha insegnato a lungo filosofia nell’Università di Urbino, studiando la filosofia del Rinascimento e dell’illuminismo, Husserl, Sartre, il marxismo, arrivando infine alla “scoperta” di Gramsci, della cui figura e opera divenne instancabile diffusore, oltre che uno degli studiosi più apprezzati e conosciuti nel mondo.
Tra i suoi ultimi libri (tutti pubblicati da Carocci editore): Le rose e i quaderni (2000 e 2006), Antonio Gramsci in contrappunto (2007), Leonardo tra noi (2007). Ha collaborato al Dizionario gramsciano 1926-1937, scrivendo molte voci di vario argomento. Organizzatore culturale creativo e attivissimo e attraversato da una vena artistica che affondava le proprie radici nella sua stessa famiglia, Baratta è stato autore di ricerche e interventi su vari argomenti musicali (Leonardo e la musica; Verdi nella cultura italiana; poesia e musica nella bossa nova; il pensiero musicale di Adorno, ecc.) e ha prodotto e realizzato innumerevoli eventi culturali (molti dei quali dedicati al Brasile: Napoli-Bahia), convegni, rassegne, film (fu ideatore e soggettista di Gramsci l’ho visto così, regia di G. Amico; e realizzò New York e il mistero di Napoli. Viaggio nel mondo di Gramsci raccontato da Dario Fo). Collaborava con le Università di Napoli “L’Orientale” e “Federico II”.