CAZUZA, L'ESAGERAZIONE E IL SUBLIME
Lidia Pena
Cazuza nel concerto "Exagerado"nel Teatro Ipanema di Rio de Janeiro. 1985. Gentilmente ceduta da Arquivo Sociedade Viva Cazuza.
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)

Esagerato, gettato ai tuoi piedi, io sono così esagerato, adoro un amore inventato”… Non a caso Cazuza scrisse questa frase in una delle sue canzoni di maggiore successo, intitolata Esagerado. Si, perché l’acquerello della sua vita venne sempre dipinto con colori forti, vibranti, sia nella gioia che nel dolore.

Cazuza cercava una ideologia per vivere e trovò nella musica la strada per gridare le sue proteste, parlare dei suoi dolori e onorare le sue passioni. E visse i suoi 32 anni in modo molto vibrante, oltrepassando barriere e superando qualsiasi limite fino a quando venne bloccato dall’Aids. I genitori non risparmiarono sforzi per ridurre la sua sofferenza.

Fu il primo personaggio famoso brasiliano a dichiarare pubblicamente di avere il virus HIV. La posizione assunta nei confronti della malattia, all’epoca considerata maledetta, fu molto coraggiosa e diede il via ad una importante attività che continua a portare avanti la madre, Lucinha Araújo, indiscutibilmente legata all’evoluzione del trattamento dell’AIDS  in Brasile. Oggi questa attività è diventata un riferimento per il mondo intero.

La morte prematura dell’artista, avvenuta il 7 luglio del 1990, sconvolse una intera generazione. Cazuza era sensibile, bello, complesso. Era un compositore e interprete di grande intensità, ha lasciato una produzione di circa 200 indimenticabili composizioni. Ventidue anni dopo le sue canzoni continuano ad essere attuali e vari artisti della Musica Popolare Brasiliana pubblicano nuove versioni dei suoi successi.

Cazuza scrisse 34 canzoni per altri interpreti, cosa che gli dava immenso piacere. Fu sempre il ragazzo generoso e di gran cuore descritto dagli amici. La tranquillità dell’infanzia del giovane di ceto medio, nato il giorno 4 aprile 1958 - molto amato e viziato come solitamente sono i figli unici, beniamino delle due nonne, cresciuto in riva al mare di Ipanema – non avrebbe mai lasciato supporre il vulcano che sarebbe esploso nell’adolescenza, facendo sbocciare il musicista tanto geniale quanto ribelle che si nascondeva in lui.

Cazuza si identificava totalmente con il suo nomignolo – che nel nord est del Brasile significa discolo - dato dal padre, João Araújo, prima che nascesse. Il suo nome di battesimo, Agenor, gli piacque soltanto quando scoprì che Cartola, il grande compositore del Morro da Mangueira (un quartiere favela di Rio de Janeiro n.d.t ) e uno dei suoi preferiti, portava lo stesso nome.

Il rocker appassionato di Jimi Hendrix, Janis Joplin e Rolling Stones studiò nel tradizionale Colégio Santo Inácio dei padri gesuiti. Si iscrisse alla facoltà di Comunicazione quando già la ribellione cominciava a dettare le regole nella sua vita. Abbandonò subito gli studi e si tuffò anima e corpo nella vita notturna della zona sud di Rio de Janeiro, specialmente nel basso Leblon, una delle roccaforti dei bohemiens della città.

La scelta di sesso e droghe divenne esplicita. L’irrefrenabile discolo , in tempi di nottate eterne, preoccupava i genitori che temevano per lui e agivano per evitargli la prigione. Nel dichiarare la sua bisessualità, la madre rimase sorpresa, ma dopo in lei trovò una sua alleata. Oggi, Lucinha Araújo presiede la Sociedade Viva Cazuza, da lei ideata e fondata 21 anni fa, che assiste bambini e adolescenti portatori del virus HIV. Si tratta di una forma generosa incontrata per attenuare il dolore peggiore che può sentire una madre. Così Lucinha rende omaggio al figlio, realizzando un bellissimo lavoro, riconosciuto e appoggiato dal tessuto sociale della città di Rio de Janeiro. 

La musica fu sempre un elemento naturale e costante nella vita di Cazuza, abituato a convivere fin da bambino con i musicisti che il padre produceva con la Som Livre, etichetta del quale era presidente, e che diventò, di conseguenza, il suo primo lavoro. Ma non fu così scontato il loro incontro. Dopo avere divulgato artisti di un’altra etichetta, la RGE, Cazuza fece un corso di fotografia all’Università di Berkeley, prima di trovare una risposta a quello che in realtà stava cercando.

Il destino di Cazuza era il palco e lo comprese durante un corso di teatro quando, al termine del corso, nello spettacolo intitolato “ Para-cadute del cuore”, ebbe l’opportunità di liberare la sua voce e definì il suo percorso. Una strada dove non c’era spazio per ostacoli visto che denunciava tutto  quello che lo disturbava.

“Non sono stato invitato a questa festa povera che gli uomini hanno montato per convincermi / Espiare senza vedere tutta questa  porcheria che è già stata creata prima che io nascessi”… Cosi, in tutta la canzone e con molta audacia, in uno dei successi più premiati intitolato Brasil, Cazuza urlava la sua rivolta verso il paese delle miserie e delle contraddizioni ereditato dalla dittatura militare, che si stava avviando alla fine negli anni ’80.

Una proficua collaborazione e una duratura amicizia a fianco del chitarrista Roberto Frejat, cominciarono  a dare i primi deliziosi frutti della sua genealogia musicale.  Cazuza trovò la sua identità e presentò i suoi testi come cantante del gruppo Barão Vermelho, a fianco del bassista Dè, il batterista Guto Goffi il tastierista Mauricio Barros. Il gruppo Barão Vermelho esplose nel  1981, con un repertorio proprio e di qualità elevata. Frejat creò l’arrangiamento di Poema, testo dell’amico, dopo la sua morte.   

Todo amor que houver nessa vida  (Tutto l’amore che c’è in questa vita) sarebbe stato il brano culminante  del disco d’esordio, nel 1982. I Barão Vermelho furono accolti con entusiasmo dall’ambiente artistico. Caetano Veloso, altro idolo di Cazuza, aggiunse questa bellissima canzone nella scaletta dei suoi show e criticò le radio che non trasmettevano le canzoni del gruppo. La stessa canzone sarà interpretata  nel tempo anche da Gal Costa e altri.

Cazuza si identificava con il blues di Janis Joplin e era fan della cosddetta “músicas de fossa o dor-de-cotovelo”  (letteralmente musica di fossa o dolore di gomito, canzoni di contenuti tristi e malinconici, che si ama ascoltare quando si è molto giù di morale n.d.t.) di autori brasiliani come Lupiscínio Rodrigues, Dolores Duran e Maísa. Le sue straziate interpretazioni  parlano di amore, piacere o dolore e rivelano esplicitamente questa influenza.

Codinome  Bejia –Flor è uno dei miglior esempi di questi momenti  fossa. In un testo bellissimo che emozionava non solo la sua generazione, Cazuza diceva “ Ho custodito il tuo nome per amore in un nome in codice Bejia Flor, non rispondere mai per favore a uno qualsiasi per la strada Bejia Flor”. Fu reinterpretata da oltre 20 altri cantanti. Un altro esempio è la non meno bella “Faz parte do meu show”, che ai primi accordi faceva vibrare il pubblico di ogni spettacolo che cantava all’unisono con il cantante-compositore. “ Passo a prenderti a scuola e ti lusingo con tutto il mio amore. Ti porto alla festa e testo il tuo sesso con aria da professore”…

La poesia di Cazuza era senza fine e nascevano belle canzoni una dietro l’altra. Pro dia nascer feliz consoliderà la coppia Cazuza/Frejat e diventerà una hit in tutto il paese. Sarà la canzone di punta del secondo disco dei Barão Vermelho , lanciato nel 1983. Ed è stato anche un grande successo con la voce di Ney Matogrosso, la prima star della MPB (Musica Popolare Brasiliana) a registrarlo. Ney  è stato anche legato sentimentalmente a Cazuza.

Il cinema brasiliano, come si vede qui e si vedrà più avanti, condivise il cammino della cometa Cazuza. Bete Balanço, musica che diede il titolo al film di Lael Rodrigues, portò il rock brasiliano sugli schermi cinematografici e consacrò i Barão Vermelho. La canzone ebbe un successo esplosivo e integrò il loro terzo LP Maior Abandonado, considerato il migliore dalla critica specializzata. Valse al gruppo il Disco d’oro. Anche la canzone che dava il titolo all’album ebbe un successo schiacciante e in sei mesi arrivò a raggiungere il traguardo delle 100 mila copie vendute.

Il poeta con una ricca personalità, contrassegnata da energia, irriverenza e dichiarazioni coraggiose divenne l’idolo del rock brasiliano. Tali ingredienti erano perfetti  per amplificare un successo  che poteva solo crescere. Ma, nel 1985, poco tempo dopo il successo dei Barão nel famoso festival rock della città -  il Rock in Rio, l’irrequieto Cazuza lasciò il gruppo.

La brillante carriera da solista precedette il suo martirio. Il primo ricovero avvenne nel mese di luglio 1985 in un ospedale di Rio de Janeiro. In quel periodo gli esami  non erano ancora molto precisi e il risultato del test HIVdiede risultati negativi. Ma ad ottobre del 1987, arrivò la conferma. Cazuza venne portato dai genitori a Boston, dove trascorse quasi due mesi sottoponendosi ai trattamenti con AZT, allora l’unico farmaco disponibile per la cura.

“Non hai mai sognato di essere stuprato da animali, né hai fatto sesso con cadaveri? Non hai mai tradito il tuo migliore amico, né hai avuto voglia di fotterti  tua madre?”. La crudezza di questi versi portò la censura a proibire la canzone Só as mães são felizes, che avrebbe dovuto far parte del suo primo album da solista.

Curiosamente, la canzone darà il nome al libro che la madre pubblicherà sette anni dopo la sua morte; un clamoroso successo di vendite. In una intervista alla giornalista Regina Echeverria, Lucinha Araújo racconta le tappe fondamentali della sua vita con il suo unico figlio. Il film tratto dal libro, con il titolo “Cazuza- il tempo non si ferma”, è stato diretto da  Sandra Werneck e Walter Carvalho. Fra i tanti premi, nel 2005, venne scelto come miglior lungometraggio al Festival de Cinema Íbero americano LaCinemaFe a  New York.  Daniel de Oliveira che interpretò un Cazuza incredibilmente somigliante all’artista scomparso vinse il premio come miglior attore.

O Tempo não para fu il titolo di un altro libro di Lucinha, in una testimonianza, questa volta alla giornalista Christina Moreira da Costa, ove raccontò le giornate ricche e difficili della Sociedade Viva Cazuza. La “madre coraggio” come venne chiamata, riunì tutta la produzione del figlio, comprese canzoni inedite, in un altro libro intitolato Cazuza, ho bisogno di dirti che ti amo, di nuovo un riferimento alla canzone del figlio che diceva: “ ho bisogno di dirti che ti amo, averti o perderti senza inganno, ho bisogno di dirti che ti amo tanto”.

L’agrodolce Cazuza aveva tra i suoi riferimenti letterari lo scrittore beat Jack Kerouac,  a fianco della scrittrice brasiliana Clarice Lispector, il cui libro  La scoperta del mondo era il suo preferito. Kerouac ebbe una poesia trascritta nella contro copertina del disco Só se for a dois, a marzo del 1987, il cui brano O nosso amor a gente inventa (estória romântica) fu un grande successo.

Cazuza stava vivendo certamente il miglior momento della sua carriera quando, beffa del destino, ricevette la conferma che era portatore del virus HIV. Con molta grinta e dignità si ripropose di vivere ogni minuto che gli era ancora riservato. Di ritorno dagli Stati Uniti la consacrazione artistica lo attendeva. Con la salute stabilizzata, all’inizio del 1988, registrò “Ideologia”, disco che vendette mezzo milione di copie e divenne il suo show di maggior successo, diretto da Ney Matogrosso.

Ancora nel 1988 Cazuza ricevette il Premio Sharp di Musica come miglior cantante con Preciso dizer que te amo.. Il successo divenne uno show che girò il Brasile, divenne programma speciale per la TV Globo e disco. E non fu tutto. All’inizio del 1989, il nuovo lavoro:  Cazuza ao vivo – o tempo não para  vendette 560.000 copie. Ai suoi più grandi successi si aggiunse una nuova canzone che si può considerare la sua più perfetta traduzione: Vida louca vida  di Lobão e Bernardo Vilhena: ”vita pazza, vita breve/se io non ti posso tenere/voglio che sia tu a portarmi”. E “O tempo não para” di Cazuza e Arnaldo Brandão, si tradusse nell’inno della sua resistenza alla malattia.

Purtroppo il lavoro compulsivo non potè cambiare un destino già segnato. Già su una sedia a rotelle, registrò il doppio album Burguesia che sarebbe stato il suo ultimo lavoro. Nell’ottobre del 1989, Cazuza andò di nuovo negli Stati Uniti, dove rimase ricoverato fino a marzo dell’anno seguente. Morì quattro mesi dopo.

Cazuza continua comunque ad essere sempre presente. Lo scorso anno, il Prêmio Musique, del Grupo Estado de São Paulo, alla sua quinta edizione, ha avuto come vincitore il chitarrista Sérgio Bello, il più giovane collaboratore di Cazuza, che ha musicato i versi inediti di Qual a cor do amor?, ritrovata da Lucinha Araújo in un baule.

E Cazuza rimane vivo nei bambini della Sociedade Viva Cazuza e nella schiera dei suoi fans che scrivono per il suo sito ufficiale, comprano i Cd, vedono il film e visitano il Projeto Cazuza. Nello spazio dei locali della Sociedade, nel quartiere di Laranjeiras, a Rio, si trova tutta la collezione dell’artista. Foto, premi, chitarre, scarpe, occhiali, l’elegante vestito bianco, cappelli, t-shirt, cd e video. Nel cuore e nella memoria del pubblico brasiliano l’idolo non morirà mai!
 
Fonte: il sito ufficiale di Cazuza e il libro ““O tempo não para” di Lucinha Araújo/Editora Globo.
------------------------------------------------------------------------------
Lidia Pena, giornalista.Carioca, ha lavorato per i giornali Correio da Manhã, Última Hora e Tribuna da Imprensa,  Rio Gráfica e Editora e Revista Senhor. Come addetto stampa, ha operato in diverse campagne politiche del  Partido dos Trabalhadores (PT). E’ stata addetto stampa  dell’assessore e deputato Chico Alencar. E’ stata consigliere alla presidenza dell’Instituto de Arquitetos do Brasil - IAB/RJ e quella del Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social – BNDES. E’ autrice del testo su Círio de Nazaré (la più importante festa religiosa del Brasile che si tiene ogni anno a Belém do Pará) nell’ “Enciclopédia da Brasilidade”, organizzata dal professore ed economista Carlos Lessa, allora presidente del BNDES. E’ stata dirigente della Comunicação da Real Grandeza - Fundação de Previdência e Assistência Social de Furnas Centrais Elétricas e Eletronuclear. Attualmente lavora come redattore free lance e come addetto stampa per la campagna elettorale dell’ambientalista Rogério Rocco del Partido Verde (PV) candidato per il consiglio comunale della città di Rio de Janeiro.

Traduzione dal portoghese di Ornella Gaudio 

-------------------------------------------------------------------------------


TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

CAZUZA, O EXAGERO E O SUBLIME
LIDIA PENA

Exagerado, jogado aos teus pés, eu sou mesmo exagerado, adoro um amor inventado”...
Não por acaso, ele escreveu esta frase numa de suas músicas de maior sucesso, chamada “Exagerado”. Porque a aquarela da sua vida foi sempre pintada por cores fortes, vibrantes, na alegria ou na tristeza.

Cazuza buscava uma ideologia para viver e encontrou na música o caminho para fazer os seus protestos, falar das suas dores e homenagear os seus amores.  E de forma muito vibrante viveu os seus 32 anos de vida, ultrapassando barreiras e desrespeitando qualquer limite até ser detido pela AIDS, numa luta em que seus pais não mediram esforços para minimizar o seu sofrimento. Ele foi a primeira personalidade brasileira a reconhecer publicamente que estava com o vírus HIV.

Sua postura assumindo a doença, na época considerada maldita, foi de muita coragem e desencadeou o trabalho que sua mãe, Lucinha Araújo, passou a desenvolver e que está inquestionavelmente ligado à evolução do tratamento da AIDS no Brasil, hoje uma referência para o mundo.

A morte prematura do artista, em 7 de julho de 1990, deixou arrasada toda uma geração. Cazuza era sensível, era lindo, era múltiplo, compositor e intérprete de muita intensidade, que deixou uma obra considerável com cerca de 200 inesquecíveis composições. Vinte e dois anos depois de sua morte suas músicas continuam atuais e vários artistas da Música Popular Brasileira dão novas versões para seus sucessos. 

Cazuza escreveu 34 músicas para outros intérpretes, o que lhe dava imenso prazer. Sempre foi o cara generoso e de coração aberto descrito pelos amigos. A quietude da infância do menino de classe média, nascido no dia 4 de abril de 1958 - muito amado e mimado como costumam ser os filhos únicos, xodó das duas avós, criado à beira do mar de Ipanema, - jamais indicaria o vulcão que explodiria na adolescência fazendo desabrochar o músico tão genial quanto rebelde.

Cazuza tinha total identificação com o apelido - que no nordeste brasileiro quer dizer moleque - dado pelo pai, João Araújo, antes até do seu nascimento. Do nome de batismo, Agenor, ele só gostaria mesmo quando descobriu que Cartola, o belo compositor do Morro de Mangueira e um de seus prediletos, tinha o mesmo nome. 

O roqueiro, amante de Jimi Hendrix, Janis Joplin e Rolling Stones foi aluno do tradicional Colégio Santo Inácio, de padres jesuítas. Chegou a entrar na faculdade de Comunicação quando então a rebeldia passou a dar as cartas na sua vida. Largou o curso ainda no início e mergulhou de corpo e alma na noite da zona sul do Rio de Janeiro, especialmente no Baixo Leblon, um dos redutos de boêmios da cidade.

A opção pelo sexo e pelas drogas se tornou explícita. E o incontrolável “moleque”, em tempos de noitadas eternas, preocupava bastante seus pais que temiam e agiam para evitar a sua prisão. Ao assumir a sua bissexualidade, ele surpreendeu a mãe, mas ganhou uma aliada. Hoje, Lucinha Araújo preside a Sociedade Viva Cazuza, idealizada por ela há 21 anos, que atende crianças e adolescentes portadoras do vírus HIV.  Na forma generosa encontrada para atenuar a pior dor de qualquer mãe, ela presta uma homenagem ao filho e realiza um bonito trabalho, reconhecido e apoiado pela sociedade carioca.

A música foi sempre um elemento natural e permanente na vida de Cazuza, acostumado a conviver desde criança com os músicos que o pai produzia na Som Livre, gravadora da qual era presidente, e que veio a ser, consequentemente, o seu primeiro emprego. Mas não foi tão óbvio o seu encontro com ela.  Depois de fazer triagem em fitas e de divulgar artistas em outra gravadora, a RGE, ele ainda faria um curso de fotografia na Universidade de Berkeley, antes de achar a resposta ao que de fato buscava.

O destino de Cazuza era o palco e foi traçado num curso de teatro quando na conclusão do curso, na peça intitulada "Pára-quedas do coração", ele teve a oportunidade de soltar a voz e definiu o seu caminho. Uma estrada onde não cabiam obstáculos e tudo que o incomodava era denunciado.
“Não me convidaram pra essa festa pobre que os homens armaram pra me convencer/A pagar sem ver toda essa droga que já vem malhada antes de eu nascer”...  Assim, com todas as letras e muita ousadia, em um premiado sucesso chamado “Brasil”, Cazuza gritava a sua revolta com o país de misérias e contradições herdado da Ditadura Militar, que chegava ao fim, nos anos 1980.

Uma exitosa parceria - e duradoura amizade -, ao lado do guitarrista Roberto Frejat, começou a gerar os primeiros frutos deliciosos da sua genealogia musical. Como vocalista do grupo Barão Vermelho, ao lado também de Dé, baixista; Guto Goffi, baterista, e Maurício Barros, tecladista, Cazuza se identificou e revelou as letras que trazia guardadas.  Não deu outra: o Barão Vermelho explodiu, em 1981, com um repertório próprio da maior qualidade.  Frejat viria a colocar música em “Poema”, letra do amigo, depois de sua morte.

Todo amor que houver nessa vida” seria o destaque do disco de estreia, em 1982. O Barão Vermelho foi recebido entusiasticamente pelo meio artístico. E, ninguém menos que Caetano Veloso, outro ídolo de Cazuza, incluiu a bela composição no repertório de seu show e ainda criticou as rádios por não tocarem as músicas do grupo. Essa música seria interpretada mais tarde também por Gal Costa e outros.

Cazuza se identificava tanto com o blues de Janis Joplin como era fã das chamadas músicas de fossa ou dor-de-cotovelo de autores brasileiros como Lupiscínio Rodrigues, Dolores Duran e Maísa. Suas interpretações rasgadas falando de amor, prazer ou dor revelavam explicitamente essa influência.
“Codinome Beija-Flor” é um dos maiores exemplos desses momentos-fossa.

Numa letra belíssima que emocionava não só a sua geração, Cazuza dizia “eu protegi seu nome por amor em um codinome Beija Flor, não responda nunca por favor a qualquer um na rua Beija Flor”. Foi regravada por mais de 20 intérpretes. Outro exemplo é a não menos bela “Faz parte do meu show”, que aos primeiros acordes fazia vibrar o público em qualquer apresentação e era  cantada em uníssono com o cantor-compositor. “Te pego na escola e encho a tua bola com todo o meu amor. Te levo pra festa e testo teu sexo com ar de professor”...

A poesia de Cazuza era sem fim e surgia uma bela canção atrás da outra. “Pro dia nascer feliz” consolidaria a dupla Cazuza/Frejat, se tornaria um hit no país e seria o carro-chefe no segundo disco do Barão Vermelho, lançado em 1983. E ainda foi um imenso sucesso na voz de Ney Matogrosso, a primeira estrela da Música Popular Brasileira a gravá-los. Ney foi também uma bonita parceria sentimental na vida de Cazuza.

O cinema brasileiro, como se vê aqui e se verá mais à frente, também partilhou o trajeto do cometa Cazuza. "Bete Balanço", música que deu título ao filme de Lael Rodrigues, levou o rock brasileiro às telas de cinema e consagrou o Barão Vermelho. A música estourou e integrou o terceiro LP da banda, "Maior Abandonado", considerado o melhor pela crítica especializada e que lhe valeu o Disco de Ouro.  Também a música título do álbum foi outro sucesso avassalador e atingiu em seis meses a marca de 100 mil cópias vendidas.

O poeta cheio de personalidade, marcada por sua energia, irreverência e declarações ousadas virou ídolo do rock brasileiro. Tais ingredientes eram perfeitos para inflar um sucesso que só fazia crescer. Mas, em 1985, pouco tempo depois do sucesso do Barão no badalado festival de rock da cidade – o Rock in Rio, o irrequieto Cazuza deixou a banda.

A brilhante carreira solo do artista antecederia o seu martírio. A primeira internação aconteceu em julho de 1985 num hospital do Rio de Janeiro. Numa época em que os exames ainda não eram muito precisos, o resultado do teste HIV, que ele exigiu fazer, dera negativo. Já em outubro de 1987, viria a confirmação. Cazuza foi levado pelos pais para Boston, onde passou quase dois meses submetendo-se ao tratamento com AZT, o único remédio então disponível.

“Você nunca sonhou ser currada por animais, nem transou com cadáveres? Nunca traiu teu melhor amigo, nem quis comer a tua mãe?” A crueza desses versos fez a censura proibir a música “Só as mães são felizes", que viria no primeiro álbum da fase individual do artista chamado “Cazuza”.
Curiosamente, a música daria nome ao livro que sua mãe publicaria sete anos depois da sua morte; um estrondoso sucesso de vendas.

Num depoimento à jornalista Regina Echeverria, Lucinha Araújo relata os fatos marcantes de sua vida com seu único filho. O filme baseado na obra, com o título “Cazuza - o tempo não para”, foi dirigido por Sandra Werneck e Walter Carvalho. Entre muitos prêmios, em 2005, foi escolhido o melhor Longa no Festival de Cinema Íbero americano LaCinemaFe em Nova York. Daniel de Oliveira que fez um Cazuza incrivelmente semelhante ao artista também ganhou o prêmio de melhor ator.

“O tempo não para” foi nome de mais um livro de Lucinha, em depoimento, dessa vez à jornalista Christina Moreira da Costa, e narrou o cotidiano rico e árduo da Sociedade Viva Cazuza. A “mãe coragem”, como foi apelidada, ainda reuniu toda a obra do filho, incluindo músicas inéditas, em outro livro chamado “Cazuza, preciso dizer que te amo”, novamente uma referência à poesia do filho que dizia: “eu preciso dizer que te amo, te ganhar ou perder sem engano, eu preciso dizer que te amo tanto.”

O acri-doce Cazuza tinha entre suas referências literárias o escritor beat Jack Kerouac, ao lado da poetisa brasileira Clarice Lispector, cujo livro "A descoberta do mundo" era seu livro de cabeceira. Kerouac teve um poema transcrito na contracapa do disco, "Só se for a dois", em março de 1987, cuja faixa "O nosso amor a gente inventa (estória romântica)" foi mais um grande sucesso.

Cazuza vivia certamente o melhor momento da sua carreira quando numa artimanha do destino recebeu a confirmação de que era portador do HIV. Com muita garra e dignidade ele se propôs a sorver cada minuto que ainda lhe estivesse reservado. De volta dos EUA, a consagração artística o aguardava. Com a saúde estabilizada, no início de 1988, ele gravou "Ideologia", disco que vendeu meio milhão de cópias e se tornaria seu espetáculo mais bem-sucedido, dirigido por Ney Matogrosso.

Ainda em 1988 Cazuza recebeu o Prêmio Sharp de Música como melhor cantor com "Preciso dizer que te amo”.  O sucesso virou show que rodou o Brasil, virou programa especial da TV Globo e disco. Ainda não era tudo. No início de 1989, novo trabalho:"Cazuza ao vivo - o tempo não para" vendeu560 mil cópias. Aos maiores sucessos do artista somou-se uma música nova que pode ser considerada a sua mais perfeita tradução: "Vida louca vida", de Lobão e Bernardo Vilhena: “vida louca, vida breve/se eu não posso te levar/quero que você me leve”. E "O tempo não para", de Cazuza e Arnaldo Brandão, também se traduziria no hino da sua resistência à doença.

O trabalho compulsivo não tinha como alterar o destino selado. Já numa cadeira de rodas, ele gravou o álbum duplo "Burguesia", que seria seu último trabalho em vida. Em outubro de 1989, Cazuza viajaria novamente para os Estados Unidos, onde ficou internado até março do ano seguinte. Quatro meses depois ele partiu.

Cazuza, no entanto, está sempre presente. No ano passado, o Prêmio Musique, do Grupo Estado de São Paulo, em sua quinta edição, teve como vencedor o violonista Sérgio Bello, o mais novo parceiro musical de Cazuza, na letra inédita “Qual a cor do amor?”, encontrada por Lucinha Araújo num baú de guardados.

E Cazuza permanece vivo nas crianças da Sociedade Viva Cazuza e na legião de fãs que escrevem para o site oficial, compram os CDs, assistem ao filme e visitam o Projeto Cazuza. No espaço localizado dentro da Sociedade, no bairro de Laranjeiras, no Rio, se encontra todo o acervo do artista. Fotos, prêmios, violão, tênis, óculos, o charmoso terno branco, chapéus, camisetas, CDs e vídeos. No coração e na memória do público brasileiro o ídolo não morre jamais!


Fonte: Site oficial de Cazuza e livro “O tempo não para” de Lucinha Araújo/Editora Globo.
 
 
Cazuza e a mãe Lucinha Araújo. Gentilmente ceduta da Arquivo Sociedade Viva Cazuza.
Lidia Pena, jornalista. Carioca, trabalhou nos jornais Correio da Manhã, Última Hora e Tribuna da Imprensa; Rio Gráfica e Editora e Revista Senhor. Como assessora de imprensa, atuou em diversas campanhas políticas do Partido dos Trabalhadores (PT). Foi assessora de imprensa do vereador/deputado Chico Alencar. Assessorou a presidência do Instituto de Arquitetos do Brasil - IAB/RJ e a do Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social - BNDES. Autora do texto sobre o Círio de Nazaré (a maior festa religiosa do Brasil realizada anualmente em Belém do Pará) na “Enciclopédia da Brasilidade”, organizada pelo professor e economista Carlos Lessa, então presidente do Banco. Foi gerente de Comunicação da Real Grandeza - Fundação de Previdência e Assistência Social de Furnas Centrais Elétricas e Eletronuclear. Participou, em 2011, da equipe que elaborou o texto do livro sobre os 40 anos da Petros - Fundação Petrobras de Seguridade Social.Atualmente trabalha como redatora freelancer.