E' L'ORA DEL RINASCIMENTO AFRICANO: INTERVISTA AL POETA, COMPOSITORE E PRESIDENTE DELL'AMAFRO JOSE' CARLOS CAPINAN - testo in italiano e in portoghese -
GABRIEL DE SA'
José Carlos Capinan
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)

Cosa amava fare da bambino a Esplanada, sua terra natale? Come è stata la sua infanzia?
Sono stato registrato a Esplanada da mio padre che mi definì come nato nella Fazenda Gavião dove non abbiamo mai abitato. Mia madre dona Judith mi ha partorito nel villaggio di São José, Estação de Pedras, Entre Rios, un municipio vicino a Esplanada. Mi piaceva andare in campagna, veder gli animali accoppiarsi e partorire, cogliere futta, andare a caccia, fare i bagni nel torrente, questa era la mia giornata. Quando c’era il mercato mi piaceva ascoltare le conversazioni tra i contadini e gli zingari. La notte cantare, ascoltare storie e guardare il cielo stellato.
 
Quando sono comparse le Lettere? Si ricorda del primo momento in cui scoprì di essere poeta?
Io ho frequentato il corso di Pedagogia nell’Instituto Normal da Bahia dove si insegnava Storia della Letteratura e allora provavo a fare versi. Era la fine degli anni ’50. Ma la grande fonte erano le canzoni popolari, autori come Luiz Gonzaga e canzoni “de roda” che si cantavano dopo cena nella mia famiglia composta da 13 fratelli. Mi ricordo i cordelistas (cantastorie), poeti di strada, soprattutto Cuica de Santo Amaro, un  cordelista che recitava i suoi cordeis all’entrata dell’Elevador Lacerda e nei treni del Leste Brasileiro. (Nel 1945 Cuica de Santo Amaro venne definito da Jorge Amado come “O Trovador da Bahia”. La sua fama si estese in tutto il Paese attraverso la pubblicazione di fotografie di Pierre Verger e dei testi di Odorico Tavares e Jorge Amado nella rivista “O Cruzeiro”. N.d.T).
 
Qual è stato l’impatto del suo trasferimento a Salvador a 19 anni? Com’è stato accolto dalla città?
Sono venuto a Salvador prima. A 18 anni terminai il corso di Pedagogia e la foto di quell’avvenimento è nelle mani di Gilberto Gil, si tratta della foto dell’LP "Tropicalia ou Panis ET Circensis”. Penso di essere giunto a Salvador all’età di 4 anni, provenendo di Taperoá, dove mi avevano portato i miei zii Afonso e Morena. Sono arrivato a Salvador facendo un viaggio in barca da Taperoá e la mia prima abitazione fu una casa davanti alla Feira de Água de Meninos. Questo primo soggiorno nella città è stato molto importante e viene mostrato nelle parole della canzone “Água de Meninos” che ho fatto con Gil dopo l’incendio del mercato. A quel tempo già abitavo a Rio de Janeiro.
 
Quando si incrocia la sua storia con quella di Gilberto Gil e Caetano Veloso?
Quando siamo entrati all’Università, tutti insieme. E ci incontrammo nel movimento culturale e politico che era intenso a quell’epoca, all’inizio degli anni ’60. La UFBA (Università Federale di Bahia.N.d.T.) era un centro di gruppi culturali e politici in cui gli studenti universitari davano continuità ai movimenti e mantenevano la città vitali con di agitazioni dirette da gruppi studenteschi che avevano una grande forza nel mobilitare. Reagivano ai fatti politici nella lotta contro l’instabilità istituzionale e anche per questioni come l’aumento dei trasporti, la campagna di “petrolio è nostro”, la riduzione di biglietti nei cinema ecc. Quando sono entrato all’Università nel ‘60 entrarono anche Gil, Caetano e Tom Zé. Eravamo emergenti in un ambiente culturale già mosso dalla Geração MAPA dove poeti come Florisvaldo Mattos, João Carlos Teixeira, Fernando Peres, Ildázio Tavares, Paulo Gil Soares, cineasti e scrittori come Glauber Rocha, João Ubaldo Ribeiro, Davi Sales, Noênio Spinola, Orlando Sena e Geraldo Sarno, già producevano film e pubblicavano nei supplementi letterari così come e principalmente nelle riviste del direttivo come nella Rivista “Angulos” del Centro Accademico Rui Barbosa, della Scuola di Diritto. Era una rivista di avanguardia politica e culturale dove pubblicai le mie prime poesie. Una sera conobbi Gil e Caetano e Tom Zé nel Centro Popolare di Cultura quando componemmo insieme una piéce dal titolo “Bumba-Meu Boi”.
 
A quale fonte bevevano i baiani quando introdussero tante innovazioni nella cultura brasiliana?
L’origine popolare di questi artisti, la sensibilità, le idee, nascevano immerse nel brodo culturale dell’interno baiano e l’impatto fu con l’entrata nell’Università, nella sua fase di approssimazione con le avanguardie del pianeta. Precedevano questo movimento le idee dell’educatore Anisio Teixeira, creatore della Escola Parque, dove si valorizzava l’arte nell’educazione, il club di cinema con Walter Lima a capo. Sorgevano nella nazione  l’arte di Dorival Caymmi e di Jorge Amado e la importazione che il rettore Edgar Santos fece delle avanguardie europee e brasiliane nella musica, nela danza e nel teatro, con la venuta di Martin Gonçalves, l’arrivo di João Augusto per creare il teatro dei Novi e Lina Bo Bardi. Il montaggio dell’”Opera da Tre Soldi” di Brecht, nel Teatro Castro Alves (che poi venne distrutto dal fuoco) marcano lo spirito rivoluzionario dell’epoca.
 
Nel campo sonoro è evidente il desiderio tropicalista di ribellarsi contro il passato. Come poeta, in che senso Lei pensa che il movimento innovò le parole?
La parola nella musica brasiliana è stata sempre forte. Speciale e popolare. Anche prima della Bossa Nova nella quale poeti come Vinicius de Moraes danno una qualità lirica differenziata, ma dove si manifesta già il desiderio da parte della poesia letteraria di diventare popolare, di acquistare le qualità delle canzoni di Noel Rosa, Luiz Gonzaga, che provenivano dalle cronache urbane e rurali, dalle narrative popolari del quotidiano brasiliano. Abbiamo innovato avvicinando queste due fonti, con una lirica critica forte e contemporanea. Usando versi liberi, narrative lunghe, temi contemporanei e reagendo al conservatorismo che minacciava di instaurare paradigni riduttori dell’arte brasiliana, senza chiedere scusa al formalismo accademico e non riconoscendo limiti per il linguaggio estetico. Essere poeta in Brasile è molto difficile. Abbiamo una forte tradizione letteraria, grandi poeti, nei libri e nelle canzoni, il che esige forza di invenzione perche possiamo occupare un luogo in questo territorio. Prima mi piaceva presentarmi come poeta e oggi penso a questo come a un’audacia in Brasile.
 
Il suo arrivo a São Paulo negli anni ‘60 sembra vicino ad un esilio in quanto si dovette  allontanare da Salvador a causa del golpe militare. Cosa successe?
Successe a causa della sovversione che veniva vista nei miei primi lavori al Centro Popolare di Cultura (CPC). Mi indiziarono per aver scritto e recitato nella piéce “Bumba Meu Boi”. Risposi a un interrogatorio poliziesco militare e poi mi salvai grazie all’intervento del mio professore di Diritto Raul Chaves. Mi ritrovai a São Paulo per sfuggire alla repressione e alla prigione.
 
La politica è un punto focale nella sua opera?
Il desiderio è il punto focale della mia opera, con una forte integrazione della visione politica del mondo e del mio tempo. Perchè io credo che la politica sia il campo nel quale è possibile pensare e agire per la liberazione del desiderio con la conseguenza piena della dissobedienza e dell’avvicinamento delle idee filosofiche che ci permettono di non considerare cosa sia l’ordine istituito dallo status quo. Navigare con altre cartografie l’esistenza. Essere brasiliano ci impone questo. E essere poeta è il risultato di questa insoddisfazione e insubordinazione formale e tematica.
 
Lei è giunto a studiare Diritto, ma alla fine si è laureato in Medicina. Como dialogano queste due con il suo lavoro artistico? Lei esercita la professione di medico?
Nell’ambiente della scuola di Diritto la mia testa mutò e perse alcune verginità mentali. Conobbi il marxismo, l’esistenzialismo, l’avanguardia. Anche nella scuola di teatro che contemporaneamente frequentavo, appresi tecniche di interpretazione che trasferii nell’atto della creazione della scrittura. Il trasferimento, la concentrazione, le qualità della struttura dell’oggetto estetico ecc. Erano le idee che circolavano. Il mio professore fu Luis Carlos Maciel che era giunto dagli Stati Uniti con informazioni nuove sui poeti beats: scriveva insieme a Glauber la sceneggiatura di “Deus e o Diabo na Terra do Sol” e i montaggi straordinari effettuati nella scuola di autori stranieri e nazionali, come “Morte e Vida Severina” de João Cabral de Melo Neto. Queste esperienze e contatti con i giovani emergenti usciti dall’interno di Bahia e giovani stranieri mi interessarono.
 
Come ha ricevuto l’assedio dei compositori che iniziarono a cercarLa per collaborazioni?
In modo molto tranquillo. Non ho problemi nè con le infedeltà nè con i giovani. Fu una cosa buona. La collaborazione è un intercambio di anime, universi, esperienze, con altre forme di vedere per dare nuovi significati al mondo. Le collaborazioni sono dialoghi di permute e mutamenti. E’ solo possibile con persone che si leggono reciprocamente, nelle collaborazioni accade sempre mutazione e scoperta. Forse io sono il paroliere più volubile in questione di collaborazioni. Adoro apprezzare la visione che aggiungono a ciò che io creo. La lettura, la rilettura dell’altro mi colpisce sempre.
 
Lei è l’autore dei versi di “Ponteio” in coautoria con Edu Lobo che vinse il terzo festival della Tv Record ed è considerata come uno dei pilastri della MPB tradizionale e nazionalista. Allo stesso tempo compose al lato di Gilberto Gil l’inno tropicalista “Soy loco por ti América”. Dove vede i punti comuni e in contrasto tra queste due correnti?
Questa è una buona provocazione. Quel momento fu uno spartiacque importante perchè stavano sul palco le correnti che avrebbero rappresentato l’una davanti all’altra la costruzione di nuovi paradigmi per la canzone brasiliana. In tutti i festivals anteriori al ‘67 aveva predominato la forma forte che aveva matrice nordestina. Fino ad allora le musiche vincitrici si rifacevano al nord, nordest che era la forma forte politicamente – sia nelle canzoni che nella letteratura e nel cinema, anche se non erano manifesti politici come “Arrastão”. Poi arrivò “Disparada” e alla fine per chiudere il ciclo “Ponteio”. Ma è importante osservare che io già facevo poesia senza chiusura o fedeltà a questa visione regionale. Il mio libro “Inquisitorial” è anteriore ai festivals e la sua tematica è universale. Inoltre già pensavo all’America Latina dai tempi dell’Università ero adepto delle idee di Santiago Dantas e entusiasta della Rivoluzione Cubana, soprattutto ascoltando Sartre nel suo ritorno da Cuba, in una conferenza nell’Antica Scuola di Diritto di Salvador. Le mie canzoni e poesie prima del Tropicalismo non erano conservatrici, nè come temi nè nella forma. Non avevo chitarre e non facevo arrangiamenti. Mi piace il nuovo, le cose fuori dell’ordine, ho una certa avversione all’istituito e alle norme. Sono nato in una casa senza libri e il desiderio di conoscere implicava invadere territori, principalmente quelli della conoscenza.
 
Possiamo dire che stava tra due gruppi e alla fine ha optato per i tropicalisti? Fino a che punto c’era veramente una rivalità? Trascendeva la musica?
Non le ho mai sentite come rivalità.  Le mie canzoni anteriori al tropicalismo non sono sdolcinate o conservatrici. Il mondo che esprimo fu sempre estraneo rispetto a ciò che predominava. “Viramundo”, “O tempo e o rio”, “Clarice”, “Água de Meninos” e “Soy loco por ti, América” solo per dare alcuni esempi sono anteriori a “Miserere nobis” e continuano con vitalità e sono esempio di una forma di narrativa non lineare, non accomodata e singolare.
 
Lei ha altre belle collaborazioni con Edu Lobo. Come vi incontraste?
Ci incontrammo a causa di connessioni comuniste. Con Edu l’approssimazione venne grazie al Teatro de Arena. Guarnieri, Boal e due amici paulisti stabilirono contatti con questi creatori e pensatori che stavano all’epoca montando “Arena conta Zumbi”. Fu quando conobbi anche due grandi amici, Paulo José e Dina Sfat. Dr. Uzeda e Fany Abramovitch mi presentarono al mondo paulista.
 
Ci racconta un pò dell’amicizia e le collaborazioni con Jards Macalé?
Abbiamo circa cinque canzoni insieme. Macalé è un ragazzo, un carioca molto e specialmente carioca, ma con trovate baiane. Esimio con la chitarra, se gli piacesse comporre di più sarebbe una gloria. Le nostre principali canzoni sono “Gothan City” e “Movimento dos barcos”, magistralmente interpretata da Maria Bethânia. Ma ci sono altre come “Farinha do Desprezo” e “Meu amor me agarra e geme e treme e chora e mata – ma non passa de um tigre de papel.”
 
Com’è oggi la sua relazione con i tropicalisti?
Relazioni tiepide, occasionali. Con Tom Zé il cuore ancora accelera. Con Caetano più distante. E con Gil ci guardiamo sempre con molto affetto e rispetto. Con un distinto sguardo di tempi più vicini, ma sempre intensamente. Il tempo non ha corretto l’emozione. E’ sempre latente e torna tutte le volte che ci incontriamo. Loro sono formidabili e le nostre esperienze hanno sempre alterato, con l’invenzione, le circostanze di tempo e luogo. La creazione è stata il nostro principale legame.
 
Com’è la sua vita attuale? Dove vive e cosa fa? E il compositore Capinan? E il poeta?
Vivo a Salvador. Possiedo una email come tutti. Parlo in Facebook. Faccio canzoni com Roberto Mendes e Geraldo Azevedo, non perdo la cucina santamarense di Jorge Portugal, mi diverto con i confratelli dell’Academia de Letras da Bahia quando la frequento, il che non avviene di frequente. Amo pienamente la vita e la sovversione e mi dedico pienamente all’installazione del MUNCAB, Museu Nacional da Cultura Afro-brasileira. Faccio il museo con lo stesso sentimento e azione di chi fece il CPC e la Tropicalia. Ma i momenti sono diseguali e le passioni sono minori. E il denaro rende tutto più difficile. Ma siccome credo nella forza premonitrice delle parole esorcizzo le parole della prima canzone che ho registrato, in collaborazine con Gil, l’interprete fu Nara Leão e si chiama “Ladainha”.
 
Salvador è il luogo ideale per far sorgere un museo sulla cultura afro-brasileira?
Il museo è importante perchè è il primo museo nazionale impiantato a Bahia e la sua tematica è importante per il dialogo, l’intercambio e la riflessione, a partire dalla simbiosi Memoria e Immaginazione (che sono le chiavi dell’azione museologica e la sua poetica) con la contemporaneità, a partire dall’inserimento dei neri e afrodiscendenti, dalla diaspora Afro-Atlantica fino a giungere al continente africano che ogni giorno di più è chiamato sulla scena come un attore importante nelle negoziazioni per un mondo migliore e più giusto. Il Rinascimento africano ha bisogno di essere osservato e accolto dal Brasile e dal mondo.
In verità lavoro per lo stato brasiliano dirigendo una Oscip (Organizzazione di Società Civile di Interesse Pubblico.N.d.T.) responsabile per il progetto del Museo: la AMAFRO (Società Amici della Cultura Afro-Brasiliana)
 
Quando dovrà uscire dalla carta il Museo?
Le difficoltà sono immense perchè ancora non abbiamo accertato i passi con il Ministero della Cultura/Ibram che sono i clienti del progetto. Ma credo che sia giunto il momento. Questo è il maggiore progetto culturale che il MinC (Ministero della Cultura. N.d.T) possiede a Bahia. Io mi occupo del Museo con lo stesso sentimento e azione di chi fece il CPC e Tropicália. Ma i momenti sono diversi. Le passioni sono inferiori e il denaro rende tutto più difficile fuori delle priorità di questo governo. Anche perchè sarà il principale fattore di recupero del centro storico di Salvador. E’ un grande centro di conoscenza e di ricerca, matrice culturale importante della civilizzazione brasiliana e della sua sua principale qualità: la diversità culturale. 
 
Ci parla un pò del suo lavoro con la poesia?
Ho pubblicato alcuni libri che rappresentano il mio lavoro. Il primo e più conosciuto si intitola “Inquisitorial”, poi c’è “Confissões de Narciso”, una esperienza con hai-kais “Balança, mas Hai-Kai” e contributi in riviste e antologie. Ma ho diversi progetti.
 
E l’ingresso all’Academia de Letras da Bahia?
E’ stato uma cospirazione di Guido Guerra e Florisvaldo Matos, due grandi scrittori baiani. Non ho la struttura che mi permette di essere un accademico. Sono un poeta popolare, mi piace la convivenza accademica, donne intelligentissime e uomini  brillanti. Io sono avverso ai titoli e conservo la modestia dei miei conterranei di Arraial de Pedras. Quando voglio essere universale contemplo le stelle.
 
Com’è il suo lavoro nel Museo Nacional da Cultura Afro-Brasileira? Salvador è il punto di partenza perchè la preservazione di questa cultura si intensifichi nel Paese intero?
Il mio lavoro è quotidiano, incessante, molto duro. Dormo e mi sveglio correndo alla ricerca di  finanziamenti, è una pazzia vissuta da 10 anni, senza mancare un solo giorno. Mi sono allontanato solo per una operazione. Il Museo è stato proposto dallo stesso Ministero della Cultura, nella gestione del ministro Francisco Weffort e la nostra entità, la AMAFRO, come ho già detto, è una Oscip (Organizzazione di Società Civile di Interesse Pubblico.N.d.T.) ed è responsabile per la creazione del Museo. L’idea era quella di inaugurare il museo in due anni. Sono quasi dieci anni. Ma stiamo recuperando due rovine, due palazzi importanti per la storia della città, creati nella grande riforma degli anni 20, realizzata dal Governo Seabra che creò a Salvador la Piazza Castro Alves, rua Chile e diede a Salvador un nuovo centro. Queste rovine sono oggi quasi totalmente restaurate e con la liberazione dei finanziamenti del Fondo Nazionale della Cultura (FNC) e l’appoggio delle imprese nazionali potremo finire il progetto del Museo nel 2013. La nostra Organizzazione paga un prezzo molto alto per mantenere vivo il progetto. Tra l’altro come Museo in processo già abbiamo fatto innumerevoli esposizioni, azioni educative insieme a scuole pubbliche. Senza fondi c’è una crisi grave che ci assilla. Il progetto merita un altro sguardo del Governo federale e dei governanti dello stato di Bahia e del Municipio. I parlamentari baiani che già sono rappresentati dalla senatrice Lidice da Matta sono convocati per riunirsi intorno alla creazione del museo. Quest è l'ora, habemus una ministra con energie nuove.
 
Qual è oggi la valutazione che fa di Tropicália?
Tropicália è rimasta e fa parte della storia. E’ un punto di riferimento e possiamo definirla una scuola.
 
Come uomo politicizzato Lei che bandiere difende?
Mi ritrovo con l’Umanesimo. E sono un repubblicano che vorrebbe restaurare la Repubblica.
 

 
Versione integrale dell'intervista pubblicata sul giornale brasiliano "Correio Braziliense" (16/9/2012,
p. 3)
Traduzione in italiano di Antonella Rita Roscilli

 
 
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TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

O que o menino Capinan gostava de fazer em sua terra natal, Esplanada? Como foi sua infância?
Meu registro de nascimento foi feito em Esplanada, por meu pai, dizendo como nascido na Fazenda Gavião, onde nunca moramos. D. Judith, minha mãe, me pariu no Arraial de S. José, Estação de Pedras, Entre Rios. Município limítrofe com Esplanada. Gostava de andar pelo mato, ver os bichos copular e parir, colher frutas, caçar, banhos no riacho, esse era o dia.  Quando havia feira, ouvir  conversa de matuto e cigano. À noite, cantar, ouvir história e olhar o céu estrelado.

Quando apareceram as letras? Você se lembra do primeiro momento em que vislumbrou ser poeta?
Fiz o curso pedagógico, no Instituto Normal da Bahia, onde se ensinava História da Literatura e, talvez, então ensaiasse alguns versos. No fim dos anos cinquenta. Mas a grande fonte eram as canções populares, de autores como Luiz Gonzaga, e as canções de  roda que a família de 13 irmãos cantava, após a janta. Os cordelistas, poetas de rua, sobretudo Cuica de Santo Amaro, que recitava seus cordéis na entrada do Elevador Lacerda e nos trens da Leste Brasileiro.

Qual foi o impacto de sua mudança para Salvador, aos 19 anos? Como você foi acolhido pela cidade grande?
Eu vim para Salvador bem mais cedo. Com 18 amos eu terminava o curso de Pedagogia, foto que está nas mãos de Gil, na capa do LP Tropicalia, Panis ET Circensis.  Devo ter chegado em Salvador com 4 anos de idade, vindo de Taperoá,  para onde me levaram meus tios Afonso e Morena. Vim de saveiro de Taperoá para Salvador e minha primeira morada foi um sobrado em frente à Feira de Água de Meninos. Essa primeira vivência da cidade foi muito forte, isso demonstra a letra da canção Água de Meninos, que fiz com Gil após o incêndio da mesma. Já morava no Rio.

Onde é que a sua história se cruza com a de seus parceiros Gilberto Gil e Caetano Veloso?
Quando entramos para a Universidade , todos ao mesmo tempo. E nos encontramos no movimento cultural e político, que era intenso nessa época, ínício dos anos 60. A UFBA era um centro de agitação cultural e política, nela os estudantes universitários davam continuidade aos movimentos que  dos secundaristas, que mantinham a cidade mobilizada por agitações lideradas pelos diretórios estudantis, que tinham grande força de mobilização, e reagiam a fatos políticos, na luta contra a instabilidade institucional e também por questões como o aumento dos transportes, pela campanha do petróleo é nosso, meia entrada nos cinemas, etc. Quando entrei na Universidade, em 60, Gil, Caetano e Tom Zé também entravam. Éramos emergentes num ambiente cultural já agitado pela geração Mapa, onde poetas como Florisvaldo Mattos, João Carlos Teixeira, Fernando Peres, Ildázio Tavares, Paulo Gil Soares, cineastas e escritores, como Glauber, João Ubaldo, Davi Sales, Noênio Spinola, Orlando Sena e Geraldo Sarno, já produziam filmes e escreviam nos suplementos literários, assim como e principalmente nas revistas dos Diretórios, como a Angulos, do Centro Acadêmico Rui Barrbosa, da Escola de Direito. Era uma revista de vanguarda política e cultujral, onde publiquei meus primeiros poemas. Gil e Caetano conheci na noite. E Tom Zé no Centro Popular de Cultura, quando compusemos juntos uma peça intitulada Bumba-Meu Boi.

O que, em sua opinião, fez da Bahia berço de diversos artistas que iriam propor novas concepções estéticas em diferentes áreas, do cinema à música? De que água o baiano bebe?
A origem popular desses artistas, sensibilidades e visões que nasciam imersos no caldo cultural do interior baiano, e o impacto da entrada na Universidade, em sua fase de aproximação com as vanguardas do planeta. Precediam esse movimento as ideias do educador Anísio Teixeira, criador da Escola Parque, onde se valoriza a arte na educação, o clube de cinema com Walter à frente, despontava nacionalmente a arte de Caymmi e Jorge Amado, e a importação que o Reitor Edgar Santos faz de vanguardistas europeus e brasileiros na música e , na dança, como também no teatro, com a vinda de Martim Gonçalves, a chegada de João Augusto para criar o teatro dos Novos e Lina Bo Bardi. A montagem da Ópera dos Três Vinténs, de Brecht, nos escombros do Teatro Castro Alves, destruído pelo fogo marca o espírito revolucionário da época.

No campo sonoro, é evidente o desejo tropicalista de se rebelar contra o passado. Como poeta, em que sentido você acha que o movimento inova em termos de letra?
A letra na música brasileira sempre foi forte. Especial e popular. Mesmo antes da Bossa Nova, onde poetas como Vinicius de Moraes dão uma qualidade lírica diferenciada, mas onde manifesta já um desejo que tem a poesia literária de se tornar popular, de adquirir as qualidades das canções de Noel, Luiz Gonzaga, que eram reis das crônicas urbanas e rurais, das narrativas populares do cotidiano brasileiro. Inovamos aproximando esses duas fontes, com uma lírica crítica forte e contemporânea. Usando versos livres, narrativas longas, temas contemporânos, e reagindo ao conservadorismo que ameaça instalar padrões  redutores da arte brasileira, sem pedir licença ao formalismo acadêmico e não reconhecendo limites para a linguagem estética. Ser poeta no Brasil é muito difícil. Temos uma forte tradição literária, grande poetas, nos livros e nas canções, o que exige força de invenção para que possamos ocupar um lugarzinho nesse território. Antes gostava de me apresentar como poeta, hoje eu penso como isso é uma ousadia no Brasil.

Sua chegada a São Paulo, nos anos 1960, tem um quê de exílio, já que você teve que se mudar de Salvador por conta do golpe militar. O que aconteceu?
Aconteceu pela subversão que era vista nos meus primeiros trabalhos no Centro Popular de Cultura. Fui indiciado por ter escrito e atuar na peça Bumba Meu Boi. Respondi a um Inquérito Policial Militar e depois fui salvo por um habeas corpus impetrado pelo meu professor de Direito Penal, Raul Chaves, para não ser julgado a revelia, pois já me encontrava em São Paulo, para escapar à repressão e prisão.

A política dá a tônica de sua obra?
O desejo é a tônica de minha obra, com forte integração da visão política do mundo e de meu tempo. Porque talvez eu acredite que a política é o campo em que é possível pensar e agir para a libertação do desejo, com a consequência plena da desobediência e da aproximação das ideias filosóficas que nos permitem desconsiderar o que seja a ordem instituída pelo status quo. Navegar com outras cartografias a existência. Ser brasileiro nos impõe isso. E ser poeta é o resultado dessa insatisfação e insubordinação formal e temática.

Você chegou a cursar Direito, mas acabou se graduando em Medicina. Como essas duas ocupações dialogam com seu trabalho artístico? Você exerce a medicina? O fez quando e por quanto tempo?
No ambiente da Escola de Direito minha cabeça mudou, perdeu algumas virgindades mentais. Conheci o marxismo, o existencialismo, a vanguarda, como também na Escola de Teatro que cursei simultâneamente, e aprendi técnicas de interpretação que transferi  para o ato da criação na escrita. A transferência, a concentração, qualidades d estrutura do objeto estético, etc. Idéias também que circulavam, meu professor de Direção foi Luis Carlos Maciel que chegara dos States, com informações novas sobre os poetas beats, assim como escrevia junto com Glauber Rocha o roteiro de Deu e o Diabo na Terra do Sol, assim como as montagens extraordinárias da Escola, de autores estrangeiros e nacionais, como Morte e Vida Severina, de João Cabral. Essas experiências, em contato, com jovens emergentes egressos do interior da Bahia e jovens estrangeiros etc. me despertaram.
 
Como você recebeu o assédio dos compositores que passaram a te procurar para parcerias?
Tranquilo. Não tenho quizilas com infidelidades nem com jovens. Foi bom. A parceria é um intercâmbio de almas, universos, experiências com outras formas de ver e resignificar o mundo. As parcerias são diálogos de permutas e mutações. E só é possível com pessoas que se leem reciprocamente, nas parcerias sempre acontece uma mutação e descobertas. Talvez eu seja o letrista mais volúvel na questão de parceria. Adoro apreciar a visão que acrescentam ao que eu crio. A leitura, releitura, do outro, do parceiro... sempre me impressiona .

 Você é o autor dos versos de Ponteio, em coautoria com Edu Lobo, que venceu o 3º Festival da TV Record e é considerada um dos pilares da MPB tradicional e nacionalista. Ao mesmo tempo, compôs, ao lado de Gilberto Gil, o hino tropicalista Soy loco por ti America. Onde você enxerga pontos comuns e contrastantes entre essas duas correntes?
Boa provocação. Esse momento é uma separatriz importante, pois estão no palco as correntes que então vão representar frente a frente a construção de novos paradigmas para a canção brasileira. Em todos os festivais anteriores a 67 predominou a forma forte, que tinha matriz nordestina. Até então as músicas vencedoras se reportavam ao norte, nordeste, que era a forma forte politicamente – tanto nas canções como na literatura e cinema, mesmo que não fossem manifestos políticos, como Arrastão. Depois Disparada e enfim, encerrando o ciclo, Ponteio. Mas é importante observar que eu já fazia poesia sem clausura ou fidelidade a essa visão regional. Meu livro inquisitorial é anterior aos festivais e sua temática é universal. Também já pensava na América Latina, desde a Universidade, era adepto das ideias de Santiago Dantas e entusiasta da Revolução Cubana, sobretudo ao ouvir Sartre – na sua volta de Cuba, em palestra na antiga Escola de Direito. Minhas canções e poemas antes do tropicalismo não eram conservadores, nem temática nem formalmente. Não tinha guitarras mas eu não fazia os arranjos. Gosto do novo, das coisas fora da ordem, tenho uma certa aversão ao instituído e as normas. Nasci numa casa sem livros, e o desejo de conhecer implicava em invadir territórios, principalmente os do conhecimento.

Podemos dizer que você estava entre os dois grupos e acabou pendendo para os tropicalistas? Até que ponto havia realmente uma rivalidade? Ela transcendia a música?
Nunca percebi como rivalidades. As minhas canções anteriores ao tropicalismo não são caretas nem conservadores. O mundo que eu expresso sempre foi estrangeiro ao que predominava. Viramundo, O tempo e o Rio, Clarice, Agua de Meninos e Soy Por Ti, America, só para dar alguns exemplos, são anteriores a Miserere Nobis, e continuam com vitalidade e marcas de uma forma de narrativa não linear, não acomodada e singular.

Você tem outras belas parcerias com o Edu Lobo. Como se deu o encontro entre vocês?
Através das conexões comunistas. Com Edu a aproximação veio através do Teatro de Arena. Guarnieri, Boal e dois amigos paulistas que fizeram a conexão com esses criadores e pensadores, que estavam na época montando Arena Conta Zumbi. Foi quando também dois grandes amigos, Paulo José e Dina Sfat. Quem me apresentou ao mundo paulista foi Dr Uzeda e Fany Abramovitch.

Conte um pouco sobre a amizade e a parceria com o Jards Macalé. Vocês têm quantas composições juntos? Quais são as principais? Como se conheceram e como mantiveram a amizade com o passar dos anos? Ainda se encontram?
Temos cerca de 5 canções. Macalé é um moleque, um menino, um carioca muito especialmente carioca, com surtos baianos. Exímio violão, se gostasse mais de compor seria a glória. Nossas principais canções são Gotham City e Movimentos dos Barcos, magistralmente interpretada por Maria Bethania. Mas há outras menos comportadas, como Farinha do Desejo, Meu amor me agarra e geme e treme e mata, mas não passa de um tigre de papel.

E como é a relação com os tropicalistas nos dias atuais? Com que você manteve mais contato?
Relações mornas, ocasionais. Com Tom Zé o coração ainda acelera. Com Caetano mais distante. E com Gil sempre nos olhamos com muito carinho e respeito. Com distinto olhar dos tempos mais próximos, mas sempre intensamente, ou tensamente, aliás com todos. O tempo não corrigiu a emoção, latente ela vem a tona toda vez que nos encontramos. Eles são formidáveis. E nossas vivências sempre alteraram pela invenção as circunstâncias de tempo e lugar. Nosso principal elo foi a criação.

Como é sua vida atualmente? Onde mora e o que faz? A quantas anda o compositor Capinan? E o poeta?
Eu moro em Salvador, na Bahia. Tenho email como todo mundo. Converso no face. Faço  canções com Roberto Mendes e Geraldo Azedo, não perco a cozinha santamarense da casa de Jorge Portugal, me divirto com confrades da Academia quando lá frequento, o que não é frequente, amando plenamente a vida e a subversão, e minha dedicação plena é a Instalação do Museu Nacional da Cultura Afro Brasileira. Faço o Museu com o mesmo sentimento e ação de quem fez o CPC e a Tropicália. Mas os momentos são desiguais. As paixões estão encolhidas. E a grana atrapalha. Como acredito da força premunitória das palavras, fico exorcizando as palavras da primeira canção que gravei, a parceria é com Gil, a intérprete foi Nara e se chama “Ladainha”.

Quando o museu deve sair do papel?
O museu é importante, porque é o primeiro museu nacional a ser implantado na Bahia e sua temática é importante para o diálogo, intercâmbio e reflexão, a partir da simbiose memória e imaginação (que são as chaves da ação museológica, a sua poética), com a contemporaneidade a partir da inserção dos negros e afro descendentes, desde a Diáspora Afro Atlântica até o continente africano, que cada dia mais é chamado à cena como um ator importante das negociações por um mundo melhor e mais justo. O Renascimento africano precisa ser observado e acolhido pelo Brasil e pelo mundo.
Na verdade trabalho para o estado brasileiro, dirigindo uma Oscip responsável pelo projeto a Amafro. E as dificuldades são imensas, porque ainda não acertamos os passos com o Ministério da Cultura/Ibram, que são os clientes do projeto. Mas acredito que o momento chegou. Esse é o maior projeto cultural que o MinC tem na Bahia. Ele não pode continuar fora das prioridades desse Governo. Até porque ele será o principal fator de recuperação do Centro Histórico de Salvador.  E um grande centro de conhecimento e pesquisa, assim como de intercâmbio com a Diáspora africana e os países africanos, matrizes culturais importantes da civilização brasileira e de sua principal qualidade: a diversidade cultural.

Fale um pouco sobre seu trabalho envolvendo apenas a poesia, sem se relacionar com música.
Tenho alguns livros editados que representam esse trabalho. O primeiro e mais conhecido, INQUISITORIAL, depois “Confissôes de Narciso”,  uma experiência com hai-kais – “Balança mas Hai-kai”, e contribuições dispersas em revistas e antologias. Alguns novos estão projetados.

E como se deu a entrada na Academia de Letras da Bahia?
Conspiração de Guido Guerra e Florisvaldo Mattos, dois grandes escritores baianos. Não tenho a estrutura que me permita ser de fato um acadêmico. Sou um poeta popular. Gosto da convivência acadêmica, mulheres inteligentíssimas e homens esclarecidos. Mas sou um estrangeiro.  E tudo é bem divertido. Sou avesso aos títulos, conservo a modéstia de meus conterrâneos do Arraial de Pedras. Quando quero ser universal, contemplo as estrelas.

Como é o seu trabalho à frente do Museu Nacional da Cultura Afro-Brasileira? Salvador é o ponto de partida para que a preservação desta cultura se intensifique pelo país?
Meu trabalho é diário, incessante, muito duro. Durmo e acordo correndo atrás de recursos, é uma loucura vivida há 10 anos, sem faltar um só dia. Só me afastei por uma cirurgia. O Museu foi proposto pelo próprio Ministério da Cultura, na gestão do Ministro Francisco Weffort,  e a nossa entidade, a Amafro, que é um Ossip, é responsável pela sua implantação. A idéia era inaugurar o museu em 2 anos. Lá se vão dez. Estamos recuperando duas ruínas, dois prédios  importante s para a história da cidade, criados na grande reforma dos anos 20, empreendida pelo Governo Seabra, que criou a Praça Castro alves, a Rua Chile, e deu a Salvador um  novo centro. Essas ruinas estão quase totalmente restauradas e a depender da liberação dos recursos do FNC e apoio de empresas nacionais, podemos finalizar o projeto em 2013. Nossa entidade paga um preço muito alto para manter vivo o projeto, inclusive como um museu em processo já fizemos inúmeras exposições, ações educativas junto as escolas públicas. Sem verbas de custeio há uma crise grave nos sitiando. O projeto merece outro olhar do governo federal e dos governantes do estado da Bahia e do município. Os parlamentares baianos que já  estão  representados pela senadora Lídice da Matta, estão convocados para se reunirem em torno da implantação o museu. A hora è essa, habemus ministra com energias novas.

Qual é a avaliação que você faz da Tropicália?
Ficou, virou história. É, como se diz, uma referência e, pode-se dizer, uma escola.

Como um homem politizado, que bandeiras você se mete a defender?
Estou metido no humanismo. E sou um republicano, que gostaria de restaurar a República.


Versao integral da entrevista de autoria de Gabriele De Sà publicada no jornal "Correio Braziliense" (16/9/2012, p. 3)
Il Museo Nazionale della Cultura Afrobrasiliana di Salvador Bahia in Brasile (MUNCAB)