In ricordo di Sante Scaldaferri
Parlando con Sante Scaldaferri del suo amico, il regista brasiliano Glauber Rocha
Antonella Rita Roscilli
Credito: Dadà Jaques
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)



                                                                                                      NuoviPercorsiSarapegbe,  15 maggio 2025
Il 15 maggio 2016 a Salvador Bahia veniva a mancare Sante Scaldaferri, figlio di italiani di Trecchina (Basilicata) e nato nel Nordest del Brasile: un grande artista plastico, amico fraterno di Glauber Rocha, di Florisvaldo Mattos, Fernando da Rocha Peres e di tanti altri come Umberto Eco, Adriano Olivetti, Lina Bo Bardi ecc. La sua opera ha marcato un'epoca molto importante per la cultura e l'arte brasiliana. Ebbi l'onore della sua amicizia e quella della signora Marina, sua  cara moglie. Molte erano le conversazioni, molto ho appreso attraverso di lui, molti erano i documenti che mi inviava, molto ho scritto su di lui e ancora ho tanto da dire e da scriverne. Per tutto ciò, oggi rendo omaggio alla memoria di Sante Scaldaferri. Ripropongo questa intervista da me realizzata a Salvador Bahia nel novembre 2009 e che venne poi pubblicata in Italia. 

  
                                                                                
Nell’era contemporanea Sante Scaldaferri è considerato uno dei più importanti e rappresentativi tra gli artisti plastici brasiliani. Pittore, scenografo, attore e professore: Sante è tutto questo. Negli anni sono state realizzate tesi di laurea e programmi televisivi sulla sua arte pittorica. Come ama ricordare, Sante
è stato “fabbricato” in Italia ed è “sbarcato” a Salvador, capitale dello Stato brasiliano di Bahia, nel 1928, anno della sua nascita. Mi aspetta per l’intervista in una di quelle giornate luminose, tipiche a Salvador quando sta per arrivare l’estate. È sulla soglia della sua fantastica casa di Itapõa e insieme a lui sono ad attendermi gli amori della sua vita: Marina e l’ Arte. I suoi occhi brillano sempre quando mi parla di Marina e dell’ Arte. La sua pittura, arte erudita su radice popolare, riflette il dramma e la tragedia del popolo della regione dei “sertões” nordestini del Brasile. 
Dal 1957 Sante usa nella pittura l’ex-voto come segno-simbolo, in una trasfigurazione estetica, dando così un contributo all’identità culturale brasiliana e allo stesso tempo esprimendo il suo universo. Non è un regionalista provinciale, ma riesce a raggiungere una lettura universale, unendo un linguaggio contemporaneo a una tematica brasiliana di religiosità e cultura popolare. Contemporaneamente riesce a creare un linguaggio molto personale, creativo e inconfondibile realizzando lavori di grande forza visiva. Nella nuova fase che iniziò nel 1980 gli ex-voto assumono la condizione umana per esprimere le debolezze del carattere, i peccati, le allegrie, le tristezze, gli amori e gli odi. Da allora utilizza la tecnica dell’encaustica, ma oggi usa anche la tecnica dell’infogravura, sfruttando le enormi potenzialità del computer.
Sante Scaldaferri ha sempre rinnovato il suo stile facendo ricerca, cercando
espressioni nuove. Ha partecipato a movimenti all’avanguardia nel campo dell’architettura, della pittura, del cinema che tanto hanno influenzato lo sviluppo artistico del Brasile. Negli anni ’40 partecipa al movimento baiano della “Geração Mapa”. Nel 1957 si laurea all’ Escola de Belas Artes  dell’Università Federale di Bahia. Entra poi nella Scuola di Teatro della Ufba ove studia Scenografia con Gianni Ratto.
Insieme all’architetto Lina Bo Bardi, di cui è assistente dal 1958 al 1964, fonda il Museo de Arte Moderna di Bahia nel Solar da Unhão e negli anni ’50 partecipa alle iniziative pionieristiche di Glauber Rocha, padre del “Cinema Novo”, il movimento brasiliano che rivoluziona la cinematografia nel Paese, influenzato dal Neorealismo italiano e dalla Nouvelle Vague francese. Sante collabora con Glauber Rocha come scenografo e attore, ma soprattutto divide con lui una lunga amicizia che ricorderà nella nostra intervista.
 

Può raccontarci le origini della sua amicizia con Glauber Rocha?

Prima di tutto vorrei dire che su Glauber Rocha potrei parlare all’infinito perché la nostra amicizia è stata profonda ed è durata fino alla sua morte. La mia conoscenza con lui fu tumultuosa, come tutto nella sua vita. Ero ancora studente alla Escola de Belas Artes, nel centro storico di Salvador e ogni giorno, dopo la fine delle lezioni, andavo a Rua Chile che a quell’epoca era il punto di ritrovo della città. Varie volte mi accorsi che venivo osservato da un giovane con uno sguardo strano, che era accompagnato da più di due o tre ragazzi. Un giorno, quando meno me lo aspettavo, uno di loro, proprio Glauber, venne verso di me dicendo: «Tu sarai attore nel mio film». Così ebbe inizio una solida amicizia e molti progetti culturali. Molte riprese del film si dovevano svolgere nella zona del meretricio, ma in realtà quel film non venne mai girato, anche se la sceneggiatura esiste. Per quello che ricordo della storia, la madre di una prostituta moriva e il mio personaggio, innamorato della meretrice, entrava
nel corteo del funerale con dei fiori in mano. Però invece di collocarli sulla bara, li dava alla sua amata. Glauber aveva allora 18 anni.
 

E Glauber cosa faceva in quel periodo?

Era ancora studente di Diritto, ma faceva anche il giornalista. Iniziò subito con la cronaca, all’inaugurazione del “Jornal da Bahia”. Poi andò al “Diario de Noticias” dove scriveva una colonna di cinema sotto lo pseudonimo di De Sanctis. Poco tempo dopo collaborò al Supplemento Culturale che usciva la domenica, scrivendo articoli e traducendone altri di autori di diversi Paesi. Una notte, ritornando dall’appuntamento con la mia fidanzata Marina, che poi divenne ed è mia moglie, appena sceso dall’autobus, venni circondato da cinque ragazzi che con gesti e parole quasi mi aggredirono fisicamente. Pensavano che io, a causa della somiglianza del mio nome, ero l’autore della colonna firmata da Glauber sotto lo pseudonimo De Sanctis. In realtà giorni prima Glauber aveva scritto un testo criticando il film che sarebbe stato realizzato da quei ragazzi che mi aggredirono.
                                       

                João Ubaldo  Ribeiro-Glauber Rocha-Calasans Neto-Paulo Gil de A.Soares. Fondo S.Scaldaferri

Il “Cinema Novo” brasiliano nacque nella Stato di Bahia. Perché nacque qui? Cosa accadeva in quell’epoca a Salvador nel mondo artistico?

La nostra generazione ha conosciuto il cinema nel “Cinemaclube” di Bahia dove il critico Walter da Silveira, prima della proiezione dei film, faceva delle pre-lezioni, spiegando il significato del film. Parlava anche del regista, degli attori, il montaggio, i corti, il suono, l’illuminazione e altri temi appartenenti al linguaggio cinematografico. Avemmo così il privilegio di assistere a tutta la Nouvelle Vague, al Neorealismo italiano, gli westerns, i classici muti, i film di Sergej Ejzenstein, come “La corazzata Potemkin” e “Que viva Mexico”, di Akira Kurosawa, di John Huston e Jonh Ford che Glauber ammirava molto, di Charlie Chaplin, innumerevoli documentari e molti altri generi. Mi ricordo molto bene che io e Glauber assistemmo insieme a “I sette samurai”. Glauber si agitava molto, si alzava dalla poltrona in continuazione e gridava “Che genio! Che genio!”. Non so quante volte dovetti riacciuffarlo per la cintura e metterlo di nuovo a sedere, dicendo che dava fastidio agli altri spettatori.
 

Quando venne realizzato il primo lungometraggio a Bahia?

Il primo lungometraggio baiano, “Redenção” fu realizzato da Roberto Pires alla fine della decade degli anni ’50. Roberto Pires fu grande amico di Glauber e, siccome suo padre aveva un negozio di ottica, riuscì a fabbricare in laboratorio una lente cinemascopica. Vennero così realizzati altri film nella città come “Grande Feira” e “Tocaia no Asfalto”, ambedue di Roberto Pires e “Sol sobre a lama” di Alex Viany.
 

In cosa hanno contribuito per lo sviluppo culturale di Bahia, Glauber Rocha, lei e altri artisti dell’epoca?

A Bahia l’inizio dell’arte moderna, in tutti i linguaggi, avvenne nella decade degli anni ’40. Prima nella letteratura dove furono pubblicate le riviste “Arco e Flexa” e “Cadernos da Bahia”. La nostra generazione, oggi conosciuta come “Geração Mapa”, pubblicò una rivista con lo stesso nome che includeva tutti i linguaggi artistici. Ricordo che la sera eravamo soliti riunirci in una gelateria che esiste ancora oggi, chiamata “Cubana”. Si trova nel marciapiede vicino all’Elevador Lacerda, con una bellissima vista sulla Baia de Todos os Santos. Lì commentavamo i fatti culturali della città. Grazie alle nostre attività culturali divenimmo responsabili del consolidamento dell’arte moderna a Bahia
realizzando vari eventi, in maggior parte sorti dall’immaginazione di Glauber. Avemmo, per esempio, le “Jogralescas” che erano poesie moderne teatralizzate, la prima esposizione di poemi illustrati, una mia esposizione individuale, la pubblicazione della rivista di cultura MAPA e le Edizioni Macunaima, ideate da Fernando da Rocha Peres e dal pittore Calasans Neto che illustrava e stampava album e libri rifiniti in edizioni a tiratura limitata. Furono inoltre realizzate le prime esposizioni individuali di pittura di nuovi artisti plastici.
                                     

Deus e o Diabo na Terra do Sol-1995 - Exposto no Museu de Arte Moderna do Rio de Janeiro na Exposição comemorativa dos 100 anos do cinema
 
Può raccontarci qualche episodio su Glauber?

Ricordo che viaggiavamo varie volte con altri amici all’interno del Brasile sempre alla ricerca della nostra identità attraverso l’arte e la cultura popolare. Una volta arrivammo nella città storica di Cachoeira e la pensione in cui stavamo era un’enorme casa del secolo XIX, situata nella piazza principale. Il mattino dopo, quando ci svegliammo, ricordo che arrivò sulla soglia del balcone Glauber nudo e avvolto in un lenzuolo, dicendo che era un tribuno romano e proferì un eloquente discorso, davanti a una platea entusiasta. In quello stesso giorno facemmo una passeggiata in barca sul fiume Paraguaçu. Glauber allungava le braccia e, con il pollice e indice stesi, come fosse una telecamera, filmava nella sua immaginazione scene fantastiche che ci andava descrivendo. Glauber vedeva immagini cinematografiche in tutto. Qualsiasi episodio abituale, lui, immediatamente, lo trasformava in sceneggiatura. Viveva il cinema tutto il tempo. A quell’epoca Glauber mi diceva che stava apprendendo
molto col cinema di Nelson Pereira dos Santos che ammirava molto. Un altro cineasta che gli piaceva tanto era Paulo César Saraceni che all’epoca aveva girato “Porto das Caixas”. Un altro episodio con Glauber fu quando andammo ad assistere a “Rio 40 Graus” di Nelson Pereira dos Santos. Erano appena
stati lanciati i sandali alla giapponese e Glauber li portava ai piedi. Così quando stavamo per entrare, il portiere del cinema gli negò l’accesso dicendo a voce alta che poteva entrare solamente chi aveva calzature decenti. Allora Glauber cominciò a parlare gridando le sue ragioni e le persone che passavano assistettero attonite alle urla senza capire nulla di quello che Glauber diceva.
 

Quando e come iniziò la sua collaborazione nei film di Glauber?

Il primo film di Glauber fu il corto sperimentale “O Patio”, nel quale utilizzò il linguaggio del concretismo. Questo film fu di grande impatto tra i cineasti di Rio che all’inizio non capirono assolutamente nulla. Poi giunse l’incompiuto “A cruz na praça”, poi “Barravento”, “Deus e o Diabo na terra do sol”, “Terra em transe”, “O Dragão da Maldade contra o Santo Guerreiro”. Io ho partecipato a tutti questi film, eccetto “Terra em Transe”, ricoprendo vari ruoli. In “Deus e o Diabo na Terra do Sol”, realizzato nella città di Monte Santo, dove viaggiai con l’architetta Lina Bo Bardi, mi rifiutai di fare l’attore per non togliere lavoro ad un professionista, ma rimasi durante quasi tutte le riprese, aiutando in tutto. Già in “Dragão da Maldade contra o Santo Guerreiro” non riuscii a rifiutare: lavorai come attore e dipinsi i pannelli. Fu il primo film brasiliano con suono diretto. In questo insieme di film sorse il “Cinema Novo” poi esteso a tutto il Brasile non solo attraverso i film di Glauber, ma anche di altri cineasti.
 

Dove ritrovava il tratto geniale di Glauber nella vostra convivenza durante le riprese dei film?

Glauber possedeva un’intelligenza privilegiata, un raziocinio rapido e una loquacità con cui  perfezionava con incredibile velocità innumerevoli idee. Cito un esempio: durante le riprese di “Dragão…” il mio personaggio Batista doveva essere ucciso dal delegato, interpretato da Hugo Carvana. L’arma era caricata a salve. Prima della scena, Hugo volle sperimentare l’arma e sparò contro la parete. Con grande paura di tutti, si aprì nella parete un buco. Le munizioni erano fatte con pezzi di legno e avrebbero aperto un buco nella mia pancia! Glauber stava assistendo a questa scena, allora gridò portandosi le mani alla testa e disse: “Hugo, quando prendi l’arma dalla fondina punta verso il pavimento così quando arriverà nella pancia di Sante non ci sarà pericolo. Il pubblico non percepirà nulla a causa della velocità e del suono diretto”. Insomma, risolse il problema in pochi secondi! Poi Glauber andò via e divenne famoso in tutto il mondo.
 

Quando lo vide l’ultima volta?

Ricordo che quando venne per filmare “Idade da Terra”, Glauber mi cercò e disse che dovevo interpretare uno dei Re Magi. Accettai e combinammo che la produzione mi avrebbe avvisato. Nel giorno combinato mi venne una strana febbre alta e non potetti andare. Il giorno dopo non avevo più la febbre e mi sentivo bene. Così uscii e, mentre stavo comprando il giornale, incontrai Glauber che mi assalì con parolacce orribili. Così gli spiegai cosa mi fosse successo. Lui comprese e, con un gesto che ripeteva sempre, mi pose le mani sulla spalla dicendomi che aveva varie bobine vergini e voleva realizzare il vecchio progetto di filmare un documentario sulla mia pittura. Gli risposi che prima si doveva concentrare solo sulle riprese del suo film e dopo, allora sì, avremmo iniziato il documentario. Fu quella l’ultima volta che lo vidi.
 
Chi era veramente Glauber Rocha?
Le risponderò ricordando un episodio. Subito dopo la sua morte, Paulo Gil de Andrade Soares che fu un eccellente assistente di Glauber, venne a Salvador per un servizio della TV Globo. Mi pose questa domanda: «Secondo lei chi era Glauber Rocha?». Io risposi: «Un uomo alla ricerca di Dio». La mia risposta venne tagliata, ma venti anni dopo la sua morte uscirono i primi libri su di lui che, in varie maniere, affermavano ciò che avevo risposto io a quella famosa domanda.

                                                                                       Salvador Bahia (novembre 2009)
 
Pubblicato in origine su Patria Indipendente-ANPI (26/9/2010) p. 34-37
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TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

Homenagem à Memória de Sante Scaldaferri
Falando com Sante Scaldaferri sobre o amigo dele Glauber Rocha
por
Antonella Rita Roscilli


                                                         
                                                          Credito: Dadà Jaques
                                                                                                       NuoviPercorsiSarapegbe, 15 maggio 2025
Em 15 de maio de 2016, em Salvador Bahia, faleceu Sante Scaldaferri, grande artista plástico, filho de italianos de Trecchina (Basilicata) e nascido no Nordeste do Brasil. Foi amigo fraternal de Glauber Rocha, Florisvaldo Mattos, Fernando da Rocha Peres e muitos outros quais Umberto Eco, Adriano Olivetti, Lina Bo Bardi etc. A obra dele marcou uma época muito importante para a cultura e a arte brasileira. Eu tive a honra de ter a amizade dele, junto com a de dona Marina, querida esposa dele. Muitas eram as conversas, muito aprendi através dele, muitos eram os documentos que me enviava, muito tenho escrito e ainda tenho muito para dizer e para escrever sobre ele. Por tudo isso, hoje gostaria homenagear Sante Scaldaferri repropondo uma entrevista, por mim realizada em Salvador Bahia em novembro de 2009, e que foi publicada depois na Itália. 


                                                                                                                                                                                                         Salvador Bahia (novembro de 2009)
Na era contemporânea, Sante Scaldaferri é considerado um dos mais importantes e representativos entre os artistas plásticos do Brasil. Pintor, cenógrafo, ator e professor: Sante é tudo isso e muito mais. Ao longo dos anos, teses de graduação e programas de televisão foram escritos sobre sua arte pictórica. Como Sante gosta de lembrar foi “fabricado” na Itália e “desembarcou” no Brasil, em Salvador, capital do estado da Bahia, em 1928, ano de seu nascimento. Sante está me esperando para a entrevista, è um desses dias ensolarados e luminosos, típicos de Salvador, quando o verão está prestes a chegar. Chegando, vejo que ele està na porta da sua fantástica casa de Itapõa. Junto com ele, me aguardam os amores da vida dele: Marina e a Arte. Sempre, os olhos dele brilham, quando fala comigo de Marina e da Arte.
A sua pintura, uma arte erudita de raiz popular, reflete a drama e  a tragédia do povo sertanejo do nordeste brasileiro. Desde 1957, Sante utiliza o ex-voto em sua pintura como um signo-símbolo, numa transfiguração estética, contribuindo assim para a identidade cultural brasileira e, ao mesmo tempo, expressando seu universo. Ele não é um regionalista provinciano, mas consegue chegar a uma leitura universal, combinando uma linguagem contemporânea com uma temática brasileira de religiosidade e cultura popular.
Ao mesmo tempo ele consegue criar uma linguagem muito pessoal, criativa e inconfundível, criando obras de grande força visual. Na nova fase iniciada em 1980, os ex-votos assumem a condição humana para expressar as fragilidades de caráter, pecados, alegrias, tristezas, amores e ódios. Desde então ele utiliza a técnica da encáustica, mas hoje em dia também utiliza a técnica da infogravura, explorando o enorme potencial do computador. Sante Scaldaferri sempre renovou seu estilo pesquisando, buscando novas expressões. Participou de movimentos de vanguarda na arquitetura, pintura e cinema que influenciaram muito o desenvolvimento artístico do Brasil. Na década de 40 participou ao movimento baiano da “Geração Mapa”. Em 1957 formou-se pela Escola de Belas Artes da Universidade Federal da Bahia. Ingressou então na Escola de Teatro da UFBA onde estudou Cenografia com Gianni Ratto. Junto com a arquiteta Lina Bo Bardi, de quem foi assistente de 1958 a 1964, fundou o Museu de Arte Moderna da Bahia no Solar da Unhão e na década de 1950 participou das iniciativas pioneiras de Glauber Rocha, pai do “Cinema Novo”, movimento brasileiro que revolucionou a cinematografia no país, influenciado pelo Neorrealismo italiano e pela Nouvelle Vague francesa.
Sante colaborou com Glauber Rocha como cenógrafo e ator, mas acima de tudo compartilhou com ele uma longa amizade que muito relembrará na nossa entrevista.
 

Pode nos contar sobre as origens da sua amizade com Glauber Rocha?

Primeiramente gostaria de dizer que eu poderia falar sem parar sobre Glauber Rocha, pois nossa amizade foi profunda e durou até a morte dele. Minha convivência com ele foi tumultuada, como tudo na vida dele. Eu ainda era aluno da Escola de Belas Artes, no centro histórico de Salvador e todos os dias, após o término das aulas, ia até a Rua Chile que naquela época era o ponto de encontro da cidade. Várias vezes percebi que estava sendo observado por um jovem de olhar estranho, que estava acompanhado de mais de dois ou três rapazes. Um dia, quando eu menos esperava, um deles chamado Glauber chegou em mim e disse: “Você vai ser ator no meu filme”. Assim começou uma sólida amizade e muitos projetos culturais. Muitas das cenas do filme deveriam acontecer na área das prostitutas, mas na realidade esse filme nunca foi feito, mesmo que o roteiro exista. Até onde me lembro da história, a mãe de uma prostituta falecia e meu personagem, apaixonado pela prostituta, entrava no cortejo fúnebre com flores na mão. Mas em vez de colocá-los no caixão, ele os entregava para sua amada. Glauber tinha 18 anos na época.
 

E o que Glauber estava fazendo nesse período?

Ele ainda era estudante de Direito, mas também era jornalista. Começou logo com as notícias, na inauguração do “Jornal da Bahia”. Depois foi para o “Diario de Noticias” onde publicava uma coluna sobre cinema sob o pseudônimo De Sanctis. Pouco depois, colaborou com o Suplemento Cultural, que saía aos domingos, escrevendo artigos e traduzindo outros de autores de vários países. Certa noite, voltando de um encontro com minha namorada Marina, que depois se tornou e é minha esposa, assim que desci do ônibus, fui cercado por cinco garotos que quase me agrediram fisicamente com gestos e palavras. Pensaram que eu, pela semelhança do meu nome, era o autor da coluna assinada por Glauber sob o pseudônimo De Sanctis. De fato, alguns dias antes Glauber havia escrito um texto criticando um filme que supostamente foi feito por aqueles caras que me atacaram.
 

O “Cinema Novo” brasileiro nasceu no estado da Bahia. Por que ele nasceu aqui? O que estava acontecendo em aquela época em Salvador no mundo artístico?

Nossa geração conheceu o cinema no “Cinemaclube” da Bahia, onde o crítico Walter da Silveira, antes da exibição dos filmes, dava pré-aulas, explicando o significado do filme. Ele também falava sobre o diretor, os atores, a edição, os curtas-metragens, o som, a iluminação e outros temas pertencentes à linguagem cinematográfica. Tivemos o privilégio de assistir toda a Nouvelle Vague, o Neorrealismo italiano, os westerns, os clássicos mudos, os filmes de Sergei Eisenstein, como “O Encouraçado Potemkin” e “Que viva o México”, de Akira Kurosawa, de John Huston e John Ford que Glauber admirava muito, de Charlie Chaplin, inúmeros documentários e muitos outros gêneros. Eu me lembro bem que Glauber e eu assistimos "Os Sete Samurais" juntos. Glauber ficou muito agitado, levantava-se da sua poltrona sem parar e gritava: “Que gênio! Que gênio!”. Não sei quantas vezes tive que agarrá-lo pelo cinto e fazê-lo sentar novamente, dizendo que ele estava incomodando os outros espectadores.
                                             

                João Ubaldo  Ribeiro-Glauber Rocha-Calasans Neto-Paulo Gil de A.Soares. Fondo S.Scaldaferri
 
Quando foi feito o primeiro longa-metragem na Bahia?

O primeiro longa-metragem baiano, “Redenção” foi realizado por Roberto Pires no final da década dos anos 50. Roberto Pires era um grande amigo de Glauber e, como seu pai tinha uma loja óptica, ele conseguiu fabricar uma lente cinemascopica em laboratório. Outros filmes foram realizados na cidade como “Grande Feira” e “Tocaia no Asfalto”, ambos de Roberto Pires e “Sol sobre a lama” por Alex Viany.
 

Glauber Rocha, você e outros artistas da época em que contribuíram para o desenvolvimento cultural da Bahia?

Na Bahia, o início da arte moderna, em todas as suas linguagens, ocorreu na década de 1940. Primeiro no literatura, onde foram publicadas as revistas “Arco e Flexa” e “Cadernos da Bahia”. Nossa geração, hoje conhecida como “Geração Mapa”, publicou uma revista com o mesmo nome que incluía todas as linguagens artísticas. Lembro-me que à noite nos encontrávamos numa sorveteria que existe até hoje e se chama “Cubana”. Fica na calçada próxima ao Elevador Lacerda, com uma linda vista para a Baía de Todos os Santos. Lá comentávamos os acontecimentos culturais da cidade. Graças às nossas atividades culturais, nos tornamos responsáveis ​​pela consolidação da arte moderna na Bahia, realizando diversos eventos, muitos deles nascidos da imaginação de Glauber. Tivemos, por exemplo, as “Jogralescas” que eram poemas modernos teatralizadas, a primeira exposição de poemas ilustrados, uma minha exposição individual, a publicação da revista de cultura MAPA e as Edições Macunaíma, idealizadas por Fernando da Rocha Peres e o pintor Calasans Neto que ilustrou e imprimiu álbuns e livros em edições limitadas. Também foram realizadas as primeiras exposições individuais de pinturas de novos artistas plásticos.
 

Você pode nos contar algumas histórias sobre Glauber?

Lembro que viajamos várias vezes com outros amigos no interior do Brasil sempre em busca da nossa identidade através da arte e da cultura popular. Uma vez chegamos ao centro histórico de Cachoeira e a pousada onde estávamos hospedados era um enorme casarão do século XIX, localizada na praça principal. Na manhã seguinte, quando acordamos, lembro-me de Glauber chegando à soleira da varanda, nu e enrolado num lençol, dizendo que era um tribuno romano e fazendo um discurso eloquente, diante de uma plateia entusiasmada. No mesmo dia fizemos um passeio de barco pelo Rio Paraguaçu. Glauber esticava os braços e, com o polegar e o indicador estendidos, como se fossem uma câmera de vídeo, filmava em sua imaginação cenas fantásticas que ele nos descrevia. Glauber viu imagens cinematográfico em tudo. Qualquer episódio comum, ele imediatamente transformou em um roteiro. Ele vivia o cinema o tempo todo. Naquela época Glauber me disse que estava aprendendo muito com o cinema de Nelson Pereira dos Santos, que ele admirava muito. Outro cineasta de quem ele gostava tanto que Paulo César Saraceni havia filmado “Porto das Caixas” na época. Mais um episódio com Glauber, foi quando fomos assistir “Rio 40 Graus” de Nelson Pereira dos Santos. Acabam de sair à moda as sandálias japonesas e Glauber as usava naquele dia. Então, quando estávamos prestes a entrar, o porteiro do cinema negou-lhe a entrada, dizendo em voz alta que só quem tivesse calçado decente poderia entrar. Então Glauber começou a falar, gritando suas razões e as pessoas que passavam assistiram espantadas aos gritos sem entender nada do que Glauber dizia.
 
                                       

      Deus e o Diabo na Terra do Sol-1995 - Exposto no Museu de Arte Moderna do Rio de Janeiro na Exposição comemorativa dos 100 anos do cinema


Quando e como começou sua colaboração nos filmes de Glauber?

O primeiro filme de Glauber foi o curta experimental “O Pátio”, no qual utilizou a linguagem do concretismo. Este filme teve um grande impacto entre os cineastas do Rio que inicialmente não entenderam absolutamente nada. Depois veio o inacabado “A cruz na praça”, depois “Barravento”, “Deus e o Diabo na terra do sol”, “Terra em transe”, “O Dragão da Maldade contra o Santo Guerreiro”. Eu participei de todos esses filmes, exceto “Terra em Transe”, interpretando vários papéis. Em “Deus e o Diabo na Terra do Sol”, realizado na cidade de Monte Santo, para onde viajei com a arquiteta Lina Bo Bardi, recusei-me a fazer o ator para não tirar o trabalho de um profissional, mas fiquei durante quase todas as filmagens, ajudando em tudo. Já no “Dragão da Maldade contra o Santo Guerreiro” não pude me recusar: trabalhei como ator e pintei os painéis. Foi o primeiro filme brasileiro com som direto. Nesse grupo de filmes surgiu o “Cinema Novo” que depois se espalhou por todo o Brasil, não só através dos filmes de Glauber, mas também de
outros cineastas.
 

Em que você reconhecia a genialidade de Glauber durante vossa convivência para gravar os filmes?

Glauber possuía uma inteligência privilegiada, raciocínio rápido e uma loquacidade com que aperfeiçoava inúmeras ideias com incrível rapidez. Vou dar um exemplo: durante as filmagens de “Dragão…” meu personagem Batista deveria ser morto pelo delegado, interpretado por Hugo Carvana. A arma estava carregada com balas de festim. Antes da cena, Hugo quis testar a arma e atirou na parede. Para grande espanto de todos, um buraco se abriu na parede. A munição era feita de pedaços de madeira e teria aberto um buraco na minha barriga! Glauber presenciou a cena, então gritou, colocando as mãos na cabeça e disse: "Hugo, quando você tirar a arma do coldre, aponte-a para o chão, para que quando ela chegar na barriga do Sante não haja perigo. O público não vai perceber nada por causa da velocidade e do som direto”. Resumindo, ele resolveu o problema em poucos segundos! Então Glauber foi embora e ficou famoso no mundo inteiro.
 

Quando você o viu pela última vez?

Lembro que quando veio para filmar “Idade da Terra”, o Glauber me procurou e disse que eu tinha que interpretar um dos Reis Magos. Eu aceitei e combinamos que a produção me avisaria. No dia combinado, tive uma febre alta e estranha e não pude ir. No dia seguinte, eu não tinha mais febre e me sentia bem. Então saí e enquanto comprava o jornal, encontrei Glauber que me atacou com palavrões horríveis. Então expliquei a ele o que tinha acontecido comigo. Ele entendeu e, com um gesto que sempre repetia, colocou as mãos no meu ombro, dizendo que queria dar continuidade ao antigo projeto de filmar um documentário sobre minha pintura. Eu respondi que primeiro ele teria que se concentrar apenas em filmar o filme e depois, sim, começaríamos o documentário. Essa foi a última vez que o vi.

 
Quem foi realmente Glauber Rocha?

Vou lhe responder relembrando um episódio. Logo após sua morte, Paulo Gil de Andrade Soares que foi um excelente assistente do Glauber, veio a Salvador para uma reportagem da TV Globo. Ele me fez essa pergunta: "Quem você acha que foi Glauber Rocha?" Eu respondi: “Um homem em busca de Deus”. Minha a resposta foi cortada, mas vinte anos após sua morte, surgiram os primeiros livros sobre ele, que, em várias maneiras, afirmavam o que eu havia respondido àquela famosa pergunta.


 
Publicado originalmente em 26/9/2010 no Pátria Indipendente-ANPI p. 34-37
Tradotto in portoghese da A.R.R.