Interculturalità
Roberto Carrasco,OMI
Foto di Edna Oliveira Viana Sateré-Mawé-Amazonas-Brasil
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)


Vorrei cominciare con una esperienza vissuta quando arrivai per la prima volta in un villaggio dell’etnia kichwa nell’Amazzonia peruviana. La prima cosa che feci fu presentarmi all’Apu – capo – della comunità perché lui rappresentava e tutt’oggi rappresenta il ponte tra noi [ospiti] e la cultura indigena. Noi missionari saremo sempre ospiti in terra di missione.
 
Per un indigeno Naporuna [abitante del fiume Napo], vivere nella società significa che gli esseri umani e la natura fanno parte dello stesso territorio: tutto è correlato. Una volta, parlando con uno di loro mi disse che la ‘loro’ visione del mondo si basa sul fatto che c’è uno Spirito – SAMAY – una forza che cerca l’unione, ma c’è anche un’altra forza contraria che rompe, sconvolge e distrugge l’armonia di questo Spirito. Pertanto, la società umana deve essere organizzata secondo uno spirito, delle idee e dei pensieri comuni. Non c’è spazio per lo spirito di disuguaglianza. Tuttavia, secondo Naporuna, ciò che viene imposto nella società odierna è lo spirito di competizione.
 
L’esperienza dei popoli Kichwa con lo Spirito di Dio è un’esperienza di presenza, sia quando vanno a pescare che quando lavorano nei campi, oppure quando si riuniscono in comunità per risolvere un problema che mette a rischio l’unità della gente, ma soprattutto la pace.
 
Secondo Lazar T. Stanislaus e Martin Ueffing, per noi cristiani, l’esperienza di Dio è l’esperienza della sua presenza, della compagnia e dell’intervento nelle nostre vite.  Anche nei momenti di benessere o sofferenza. Questa è una presenza liberatoria e apre la comunità dei credenti al benessere di altre comunità di persone.
 
L’esperienza della creazione, l’incarnazione e l’esperienza della glorificazione – che abbiamo vissuto in questo tempo pasquale per 50 giorni- può essere riassunta nell’esperienza della comunicazione e della comunione. Le storie bibliche ci presentano momenti diversi in cui gli esseri umani sono chiamati e fortificati nel vivere in comunione con gli altri, sia con le persone che con la natura.
 
La comunicazione e la comunione sono state anche le esperienze fondamentali di Gesù e l’esperienza della Chiesa con lo Spirito Santo. Il compito dello Spirito Santo è di promuovere la comunicazione e motivare a costruire la comunione, così, come noi Oblati, siamo chiamati a costruire la comunità.
 
È lo Spirito che crea l’unità. “Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito… Vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti” (1Co 12, 4.6). Lo Spirito che fu inviato al Giordano per segnalare Gesù come il Figlio di Dio, è lo stesso Spirito del potere unificante nella nascita della Chiesa a Pentecoste.  Persone di diversa origini linguistica e culturale sono accomunate nella propria lingua. Le differenze delle madri lingue non sono un ostacolo per raggiungere una comprensione comune e per essere riunite come il Popolo di Dio: Gesù attrae da uno a uno il suo Regno.
 
La spiritualità cristiana non è altro che “la vita cristiana nello Spirito, seguendo Gesù ed essendo in comunione con Dio e con gli altri”. Sappiamo che la spiritualità non si riferisce solo alle preghiere o agli esercizi spirituali; è lo Spirito che motiva qualcuno e costituisce la struttura delle idee, dei valori e delle azioni.
 
La spiritualità cristiana ha il suo fondamento nella spiritualità trinitaria, che è quell’atteggiamento di base che è influenzato dalla fede in un Dio uno e trino. È uno stile di vita cristiano caratterizzato da dettagli ordinari e dalla routine quotidiana guidata dallo Spirito verso una maggiore comunione e comunicazione con Dio e con gli altri. Quindi cosa stiamo facendo ora? Quali sono i miei ritmi giornalieri dentro della comunità?
 
Una spiritualità trinitaria ha conseguenze pratiche per l’interculturalità. A proposito, noi nell’ultimo Capitolo Generale della Congregazione abbiamo sviluppato il tema dell’interculturalità come uno dei fondamenti della nostra vita e missione attuale.
 
L’interculturalità può essere definita come l’insieme di “relazioni reciproche e di scambio veramente profonde tra culture, sia a livello individuale che di comunità”.
 
È bene riconoscere che l’interculturalità non è un’uniformità delle culture, né l’atto di mescolare culture o lasciarle vivere fianco a fianco in pace. È un ‘dono’ dello Spirito , oggi.
 
Ecco perché la frase di Gesù ai suoi apostoli: “Ricevi lo Spirito Santo”, ha una grande forza che pone fine a quella paura e quindi in grado di aprire tutte le porte. Non aver paura delle manifestazioni dello Spirito.
 
Quindi, i frutti dello Spirito li potremo vedere come i frutti che ci spingono oggi a lavorare affinché le nostre relazioni testimonino la presenza viva dello Spirito Santo nella Chiesa, nella società e nella missione alla quale siamo inviati.
 
Rispettare l’individualità, promuovere la comunità, uscire per l’incontro con gli altri, crescere come comunità interculturale basata sull’uguaglianza dei suoi membri, sono i doni dello Spirito.
 
Oggi: é la Pentecoste nelle nostre vite; è la Pentecoste nella missione; è la Pentecoste nella Chiesa. Una Chiesa in cui le persone possono sentirsi a casa in una comunità e lavorare insieme se c’è un riconoscimento fondamentale di tutti, con un diverso background culturale. Tutti sono riconosciuti quali individui, persone che hanno gli stessi diritti e responsabilità.
 
In questa ricerca di nuove cammini lasciamo che lo Spirito faccia crescere in noi i doni della reciprocità, dell’ascolto, dello scambio, del rispetto, della crescita, ma soprattutto dell‘arricchimento dei doni e dell’incontro nella diversità.
 
 
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
 
Roberto Carrasco, OMI
Publicado originalmente em:  El Trochero https://robertocrblog.com/
-------------------------------------------------------------------------------


TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

INTERCULTURALIDADE
por
Roberto Carrasco - OMI


                                                       
                                                 Foto di Edna Oliveira Viana Sateré-Mawé-Amazonas-Brasil 

Gostaria de começar com uma experiência que tive quando cheguei a uma aldeia da etnia Kichwa na Amazônia peruana. A primeira coisa que fiz foi me apresentar ao Apu - chefe - da comunidade porque ele representou e ainda representa a ponte entre nós [hóspedes] e a cultura indígena. Nós missionários sempre seremos hóspedes em terra de missão.
 
Para um indígena Naporuna [morador do rio Napo], viver em sociedade significa que o ser humano e a natureza fazem parte de um mesmo território: tudo está inter-relacionado. Certa vez, conversando com um deles, ele me disse que 'sua' visão de mundo se baseia no fato de que existe um Espírito – SAMAY – uma força que busca a unidade, mas também existe uma outra força oposta que quebra, perturba e destrói a harmonia deste Espírito. Portanto, a sociedade humana deve ser organizada de acordo com um espírito, idéias e pensamentos comuns. Não há espaço para o espírito de desigualdade. Porém, segundo Naporuna, o que se impõe na sociedade atual é o espírito de competição.
 
A experiência dos povos Kichwa com o Espírito de Deus é uma experiência de presença, tanto quando vão pescar como quando trabalham no campo, ou quando se reúnem em comunidade para resolver um problema que ameaça a unidade do povo, mas especialmente a paz.
 
Segundo Lazar T. Stanislaus e Martin Ueffing, para nós, cristãos, a experiência de Deus é a experiência de sua presença, companhia e intervenção em nossas vidas. Mesmo em momentos de bem-estar ou sofrimento. Esta é uma presença libertadora e abre a comunidade dos crentes ao bem-estar de outras comunidades de pessoas.
 
A experiência da criação, da encarnação e da glorificação - que vivemos neste tempo pascal durante 50 dias - resume-se na experiência da comunicação e da comunhão. As histórias bíblicas nos apresentam diferentes momentos em que os seres humanos são chamados e fortalecidos a viver em comunhão uns com os outros, tanto com as pessoas quanto com a natureza.
 
A comunicação e a comunhão foram também as experiências fundamentais de Jesus e a experiência da Igreja com o Espírito Santo. A tarefa do Espírito Santo é promover a comunicação e motivar a construir comunhão, pois nós, Oblatos, somos chamados a construir comunidade.
 
É o Espírito que cria a unidade. "Depois há diversidade de carismas, mas um só é o Espírito... Há diversidade de operações, mas um só é Deus, que opera tudo em todos" (1Co 12, 4.6). O Espírito que foi enviado ao Jordão para assinalar Jesus como o Filho de Deus é o mesmo Espírito do poder unificador no nascimento da Igreja no Pentecostes. Pessoas de diferentes origens lingüísticas e culturais são reunidas em sua própria língua. As diferenças das línguas maternas não impedem a compreensão comum e a união como Povo de Deus: Jesus desenha o seu Reino de um para um.
 
A espiritualidade cristã nada mais é do que “a vida cristã no Espírito, seguindo Jesus e estando em comunhão com Deus e com os outros”. Sabemos que a espiritualidade não se refere apenas a orações ou exercícios espirituais; é o Espírito que motiva alguém e constitui a estrutura de idéias, valores e ações.
 
A espiritualidade cristã tem seu fundamento na espiritualidade trinitária, que é aquela atitude básica influenciada pela crença em um Deus trino. É um estilo de vida cristão caracterizado por detalhes comuns e a rotina diária guiada pelo Espírito para uma maior comunhão e comunicação com Deus e com os outros. Então, o que estamos fazendo agora? Quais são os meus ritmos diários dentro da comunidade?
 
Uma espiritualidade trinitária tem consequências práticas para a interculturalidade. A propósito, no último Capítulo Geral da Congregação desenvolvemos o tema da interculturalidade como um dos fundamentos de nossa vida e missão atuais.
 
A interculturalidade pode ser definida como o conjunto de "relações mútuas realmente profundas e trocas entre culturas, tanto no nível individual quanto comunitário".
 
É bom reconhecer que a interculturalidade não é uma uniformidade de culturas, nem o ato de misturar culturas ou deixá-las viver lado a lado em paz. É um 'dom' do Espírito, hoje.
 
É por isso que a frase de Jesus aos seus apóstolos: "Recebei o Espírito Santo", tem uma grande força que põe fim a esse medo e, portanto, capaz de abrir todas as portas. Não tenha medo das manifestações do Espírito.
 
Assim, poderemos ver os frutos do Espírito como os frutos que hoje nos impulsionam a trabalhar para que nossas relações testemunhem a presença viva do Espírito Santo na Igreja, na sociedade e na missão à qual estamos enviado.
 
Respeitar a individualidade, promover a comunidade, sair ao encontro dos outros, crescer como comunidade intercultural baseada na igualdade dos seus membros, são dons do Espírito.
 
Hoje: é Pentecostes em nossas vidas; é Pentecostes na missão; é Pentecostes na Igreja. Uma Igreja onde as pessoas se sintam em casa em comunidade e trabalhem juntas se houver um reconhecimento fundamental de todos, com uma bagagem cultural diferente. Todos são reconhecidos como indivíduos, pessoas com os mesmos direitos e responsabilidades.
 
Nesta busca de novos caminhos, deixemos que o Espírito faça crescer em nós os dons da reciprocidade, da escuta, da troca, do respeito, do crescimento, mas sobretudo do enriquecimento dos dons e do encontro na diversidade.


Publicado originalmente em:  El Trochero https://robertocrblog.com/
Roberto Carrasco - OMI