Academia dos Rebeldes – Il salto della modernità nella Bahia degli anni Trenta - PRIMA PARTE
Florisvaldo Mattos
Piazza Castro Alves nel 1930 (Salvador Bahia-Brasile)
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)

Quel movimento letterario che si sviluppò a Bahia dal 1928 al 1933, senza ombra di dubbio, inseguì un sogno di rinnovamento non solo nelle lettere e nelle arti, ma anche nella politica. Venne chiamato ironicamente  "Academia dos Rebeldes", per reagire a uno stato della cultura ritenuto ormai obsoleto dai giovani che integravano il movimento. Esponente baiano di punta fu un inflessibile adolescente di sedici anni di nome Jorge Amado. Dopo aver dato a sè stesso e ai compagni l' obiettivo di "spazzare via tutta la letteratura del passato",  in uno spiritoso bilancio di ciò che significò questo processo, sottolineò come risultato positivo il fatto di aver concorso " in modo decisivo, a rimuovere la retorica e la pomposità dalle lettere baiane" per sostiuirle con "contenuti nazionali e sociali ".

Jorge Amado affermò ciò nel 1992, esattamente sessantaquattro anni dopo che il gruppo di ragazzi si era riunito per la prima volta nell' allora già famoso Café das Meninas, all' angolo di via do Tira Chapéu con via da  Ajuda. Si riunivano anche nel vicino Bar Brunswick, nel centro della città, per diffondere le idee del movimento modernista e abbattere quel testardo conservatorismo che dominava la società e la cultura locale agli inizi del secolo XX. Volevano combattere in modo irregolare "le oligarchie dell' immutabile"e lo facevano con lo stesso ritmo ritardato del movimento che li aveva ispirati: la Semana de Arte Moderna. Questa era sorta a São Paulo quasi sette anni prima, ispirata, a sua volta, dalle avanguardie che erano esplose più di un decennio prima in Europa.

Parlo di ritardo a ragione, dal momento che, per rimanere in Sud America, tali inquietudini avevano attraversato le menti dei giovani intellettuali solo qualche anno prima. Fu il caso del Cile, con il manifesto Vicente Huidobro (Non serviam, 1914), secondo il quale già a quell' epoca "con tutta la forza dei suoi polmoni, una eco traduttrice e ottimista ripeteva in lontananza 'io non ti servirò". Risonanza che presto sarebbe sfociata in idee più audaci, come quelle del "Creacionismo" nel 1925, sempre dello stesso Huidobro. I sintomi di modernità si sarebbero manifestati anche in Argentina, con l' Ultraísmo, nella inquieta voce e scrittura di Jorge Luis Borges, nel 1921, sospinta dalle idee assorbite da Rafael Cansinos Asens, con il suo Movimento Ultraista in Spagna, a Siviglia. Asens definiva questo stato di spirito come "un orientamento volto a continue e ripetute evoluzioni, um proposito di perenne gioventù letteraria, un'anticipata accettazione di ogni modulo e ogni nuova idea", una volontà ad "andare avanti nel tempo "; insomma, un'ardente ricerca del futuro.

L'idealismo delle avanguardie, pertanto, non era più una novità per i vicini sudamericani. Se esistevano discrepanze di influenze in centri più avanzati del Brasile, come a São Paulo, a Bahia accadeva ancora
di più. I  giovani intellettuali baiani formarono un gruppo locale a cui si aggiunsero altri, oriundi degli stati nordestini, tutti morsi, secondo Jorge Amado, dal"microbo della letteratura". Si definivano  "moderni" come se la parola esprimesse qualcosa in più di "modernisti", alludendo ironicamente a ciò che era successo a São Paulo, e alle cui idee non volevano essere incatenati. Erano adolescenti ribelli e ricercavano orizzonti più vasti.

L' "Academia dos Rebeldes" ebbe come guida iniziale il poeta, giornalista, autore di pamphlet. Pinheiro Viegas, definito da Cid Seixas, un "corrosivo intellettuale che aveva distillato azioni e fiele tra i ragazzi della rivista Samba", un gruppo che condivideva gli stessi propositi combattivi con quello di Arco e Flexa,      anch' esso sorto nel 1928. Il nucleo centrale della "Academia dos Rebeldes" era composto dai seguenti nomi: Jorge Amado, Édison Carneiro, Dias da Costa, João Cordeiro, Alves Ribeiro, Áydano do Couto Ferraz, Sosígenes Costa, Clóvis Amorim, Da Costa Andrade, Guilherme Dias Gomes, fratello del celebre drammaturgo baiano, Alfredo Dias Gomes e Walter da Silveira; a coloro si aggiungevano, come collaboratori e partecipanti, José Bastos, Hosannah Oliveira, Octávio Moura e José Evangelista de Oliveira, che non lasciò traccia.

Il movimento dei cosidetti ribelli si inseriva nell'insieme di preoccupazioni e aspirazioni rilevanti durante il  periodo post-bellico, in cui già si preannunciava un altro conflitto mondiale. L' effervescenza culturale degli anni '20 e i disordini causati dalle avanguardie di inizio secolo, si sarebbero riflessi a Bahia con una lentezza maggiore di quella dei paulisti del 1922. La guida di Pinheiro Viegas, poeta più noto per i suoi panfletti che per le sue poesie, di limitata circolazione, spingeva i giovani baiani a riflessioni intellettuali di gran lunga più avanzate rispetto a ciò che caratterizzava l' ambiente urbano di allora che fluiva, come si diceva, "a ritmo di tram".

                                                             
                                                             Cabaret Bataclan - Ilhéus Bahia

In realtà, la Bahia, come si chiamava all'epoca, era una città statica, immersa in un'atmosfera orgogliosa e superba di provincia, dove non c'era posto per la macchina, l'elettricità e la velocità, nonostante l'ingenua audacia futurista di un poeta, il feirense Eurico Alves, aderente al gruppo della rivista  Samba, la cui delirante immaginazione intravedeva, nei suoi "Poemas Metálicos" (1926-1932), una città immersa nel piacere fumoso di locomotive, pulsazione magica di fabbriche con ardenti comignoli, imbarcazioni e navi da crociera nei porti, gru, auto, clacson, fischietti, sirene, strilli, viali lunghe, ampie strade e grattacieli, con il cielo grigio sopra enormi masse di cemento armato, affermazioni, titoli e brillanti distici - in breve, una festa di chiaro sogno futurista.

Eppure, nell'ambiente urbano esisteva già un clima di forte aspirazione ai cambiamenti, soprattutto per quanto riguarda il sistema tranviario. Il trasporto moderno che da oltre un decennio serviva gli abitanti, era  in fase di riformulazione accelerata, come risultato di riforme urbane intraprese dai governi Seabra (1912-1916 e 1920-1924). Questa prospettiva spingeva i giovani ribelli verso orizzonti d'avanguardia, contro tutte le forze dominanti, anche se essi rigettavano le "esplosioni" dei futuristi, viste come deliri. Pur pensando in questo modo, iniziarono a vedere la città di Salvador con occhi nuovi.

E c'erano tutte le ragioni per questo. Nel 1900 la città di Bahia, secondo le stime, aveva 85.000 abitanti, mentre al tempo della Academia dos Rebeldes ne vantava circa 250.000. In una delle sue testimonianze, Jorge Amado fornisce queste informazioni che sembrano indicare una svolta, dal momento che il censimento del 1940 mostrerà una popolazione di 290.433 abitanti, che si raddoppierà nei successivi venti anni, giungendo a 655.735 abitanti nel 1960. Agli occhi dei ribelli, la città degli anni '30 avanzava nel sogno di divenire una metropoli, in marcia per liberarsi dall' armatura che la ingessava poiché, coronando un processo iniziato tre anni prima, si sarebbe concluso nel 1929 il processo di fusione delle linee di tram, quando la Companhia Linha Circular de Carris da Bahia - popolarmente chiamata circolare - ottenne per contratto il diritto di gestire il servizio in tutta la città, espandendola, creando e avvicinando nuovi quartieri, combinandolo con il monopolio della distribuzione di energia elettrica.

Vale la pena ricordare qui un conflitto che segnò l'epoca. A causa del monopolio del trasporto via tram e della fornitura di energia elettrica nelle mani degli stranieri, già nel 1930 accadde il famoso "distruggi-tram", causato dalla cattiva manutenzione dei servizi, in realtà fu una conseguenza del movimento che si sviluppò  al sud del Paese, e che provocò la distruzione di 84 veicoli, pratiche di saccheggi e atti di vandalismo, culminati con la depredazione dell'edificio di nuova costruzione, sede del giornale "A Tarde", accusato di collusione con gli statunitensi che sfruttavano i due servizi. L'episodio si tasformò in una tragedia urbana, con molti feriti e la morte di um marinaio nel Largo do Teatro, oggi Praça Castro Alves. Oltre che tristi, questi traumi denotavano il fatto che iniziava timidamente a insinuarsi la modernità urbana, con l'espansione delle attività e occupazione di spazi. Si influenzava la mentalità di parte della popolazione che cominciava ad adottare nuove abitudini.

Fu notevole il consolidamento delle riforme urbane che mostravano segni evidenti di modernità. Si delineò uno scenario per cui la stampa si rivolse al governatore Seabra in forma enfatica e romantica, richiedendo che  "all'interno della vecchia città si creasse la gioia di vie ampie, moderne, in cui possa circolare libera e fruttuosa la vita felice di un popolo forte". Si spinse affinché la città delimitasse i suoi spazi e si  potessero quindi stabilire nuovi standard di comportamento.

Sicuramente, la città di Bahia cessava di essere una città di provincia, sperimentando situazioni prima solo immaginate, I ribelli dell'Academia pensavano ad una nuova atmosfera nel paesaggio urbano, ad un altro calore umano, grazie ad un più intenso movimento di persone e comportamenti. Si percepiva un improvviso  rafforzamento del commercio d'esportazione, stimoli per la nascita di negozi, uffici, hotels, bar, pasticcerie, angoli popolati, punti di incontro, casinò e bordelli (allora chiamati "castelli"), giornali disposti ad aprirsi al dibattito; un ambiente favorevole alla fruizione di un embrione di "flâneur", con la burocrazia che cedeva sempre più spazio, nonostante la resistenza. Per i ribelli della Academia iniziava a configurarsi un mondo moderno, in cui Octavio Paz vede "l'uomo o il suo fantasma, che vaga tra le cose e gli apparati" urbani. E così, in tale scenario, la città salì ad un altro livello, nel quale sembravano combinarsi le figure del bohémien e del "flâneur".

Girovagando tra caffè, casinò e bordelli, erano loro i personaggi dello scenario e godevano di tutte le seduzioni offerte da questo nuovo momento. Tra la folla per strada, o attraverso i vetri di un caffè, o le finestre di un ufficio o di un bordello, apprezzavano il passaggio del tram e delle persone, privilegio errante che, come abitanti della città, rivelava la loro ragione di esistere, in uno stato di felicità piena. In una strada, agli angoli, forse anche dal finestrino di un tram, a loro bastava il piacere di fissare persone passivamente rivolte a guardare altre, per minuti, perfino per ore, senza diriger loro neppure una parola. Insomma, si sentivano meglio in strada che in casa, in una fruizione ludica perfettamente simile al culto del "bohemien", una figura che si sviluppa proprio con l'accelerazione della vita urbana.

In questo contesto, è necessario aprire una finestra sulla vita nei caffè, nei casinò, nelle feste e nei bordelli. Jorge Amado rende testimonianza di ciò che è accaduto in questa città "molto piacevole da vivere".            "I 'castelli' erano di grande importanza. C'erano alcune donne francesi che si erano donate alla letteratura. Le nostre prostitute erano per lo più ignoranti, per lo più contadine. Fummo noi a dare importanza culturale ai 'castelli'. Davamo una certa connotazione letteraria", riferisce in una testimonianza del 1981, fornita al critico letterario Valdomiro Santana.

Ci sono due aspetti degni di considerazione: il ruolo dei caffè nella vita intellettuale e il ruolo degli intellettuali nei casinò e nei bordelli. Come nella riforma urbana, in entrambi i casi si è ripetuto lo stato d'animo di Rio de Janeiro, all'inizio del secolo, fedele imitazione dello spirito riformatore di Parigi alla fine del XIX secolo, sotto l'impulso di urbanizzazione rivoluzionario impresso dal barone di Haussmann. Anche a Bahia, ora, si copiava la Rio delle riforme di  Pereira Passos, così come era già accaduto, in forma pionieristica a Recife, dal 1910 al 1914.

Testo della conferenza pronunciata l' 8 novembre 2017 da Florisvaldo Mattos all'Academia de Letras da Bahia (ALB) nell' ambito del Curso Jorge Amado 2017 - VI Colóquio de Literatura Brasileira.

Traduzione dal portoghese di A.R.R.
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Florisvaldo Mattos
. Originario di Uruçuca, nel sud dello stato di Bahia (Brasile). E’ poeta e giornalista, professore in pensione della Università Federale di Bahia. Ha avuto incarichi in vari giornali, tra i quali quello di editore capo (“Diário de Notícias” e “A Tarde”, ambedue di  Salvador). E’ stato corrispondente e capo della succursale di bahia del “Jornal do Brasil” (RJ). Per più di dieci anni  si è occupato del supplemento settimanale “A Tarde Cultural”, premiato nel 1995 dalla Associação Paulista de Críticos de Arte (APCA), como Il migliore del Brasile nel punto della Divulgazione Culturale. Dal 1995, ocupa Il seggio nº 31, della Academia de Letras da Bahia. Dal 1987 e il 1989 occupò l’incarico della Presidenza della Fundação Cultural do Estado (Funceb), Opere pubblicate: Reverdor, 1965; Fábula Civil, 1975; A Caligrafia do Soluço & Poesia Anterior, 1996; Mares Anoitecidos, 2000; Galope Amarelo e Outros Poemas, 2001; Poesia Reunida e Inéditos,2011; Sonetos elementais – Uma antologia, 2012 (todos de poesia).Estação de Prosa & Diversos, 1997); A Comunicação Social na Revolução dos Alfaiates, 1998 e Travessia de oásis - A sensualidade na poesia de Sosígenes Costa, em 2004 (gli ultimi sono saggi) - Antologia Poética e Inéditos (Coletânea Mestres da Literatura Baiana),Assembleia Legislativa da Bahia e ALB, 2017.

Traduzione di A.R.R.


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TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

 
A Academia dos Rebeldes – O salto da modernidade na Bahia dos Anos 1930  
- Primeira Parte -
por
Florisvaldo Mattos

                                                           
                                                                 
                                                                  Praça Castro Alves em 1930 (Salvador Bahia)

Não há dúvida de que perseguia um pujante sonho de renovação, não só nas letras e nas artes, mas também nos costumes e práticas políticas, o movimento literário, que aparentemente irrompeu na Bahia em fins de 1928, para durar até talvez 1933, com o irônico rótulo de Academia dos Rebeldes, reagindo a um estado da cultura, então vigente, que os moços envolvidos julgavam caduco. Em um espirituoso balanço sobre o que significou esse processo, de que foi nome baiano de proa ainda apenas um irrequieto adolescente aos 16 anos de idade, Jorge Amado, depois de se atribuir e aos companheiros o propósito de “varrer com toda a literatura do passado”, aponta, como saldo positivo, terem eles concorrido, “de forma decisiva, para afastar as letras baianas da retórica, da oratória balofa, da literatice” e dar-lhe “conteúdo nacional e social”.

Jorge Amado dizia isso em 1992, sessenta e quatro anos após um grupo de jovens se reunirem no já então afamado Café das Meninas, na esquina da Rua do Tira Chapéu com a da Ajuda, e no ali próximo Bar Brunswick, no centro da cidade, no intuito de difundir as ideias informadoras do movimento modernista e derrubar renitentes muralhas de conservadorismo que dominava a sociedade baiana e sua cultura, desde inícios do século XX, isto é, para combater intermitentemente, como se dirá depois, “as oligarquias do imutável”, mas no mesmo ritmo de defasagem do bem mais amplo ímpeto que o inspirara, surgido em São Paulo, quase sete anos antes, a Semana de Arte Moderna, em relação às vanguardas europeias deflagradas há muito mais de um decênio.

Razões dão suporte ao lembrete desse atraso, desde que, só para ficar na América do Sul, tais inquietações já vinham percorrendo as mentes de jovens intelectuais alguns anos antes. Foi o caso do Chile, com o manifesto de Vicente Huidobro (Non serviam, de 1914), para quem, já nesse tempo, “com toda a força de seus pulmões, um eco tradutor e otimista, repetia nas distâncias: `Não te servirei´”, ressonância que logo desembocaria em ideias mais ousadas, tais como as do intitulado Creacionismo, em 1925, também do próprio Huidobro, sintomas de modernidade que haviam de se manifestar também na Argentina, com o Ultraísmo, nas inquietas voz e escrita de Jorge Luis Borges, em 1921, impelidas pelo que absorvera de Rafael Cansinos Asens, com o seu Movimento Ultraísta, em Sevilha, na Espanha, que definia esse estado de espírito como “uma orientação voltada para contínuas e reiteradas evoluções, um propósito de perene juventude literária, uma antecipada aceitação de todo módulo e de toda ideia nova”, uma vontade de “ir avançando com o tempo”; em síntese, uma ardorosa perseguição do futuro.
Portanto, para vizinhos sul-americanos, o idealismo das vanguardas já não era tão novidade assim. Se havia defasagem de influências, em centros mais adiantados do país, como São Paulo, quanto mais na Bahia. Os jovens intelectuais baianos formavam uma confraria local a que se agregavam outros oriundos de estados nordestinos, todos eles mordidos, conforme Jorge Amado, pelo “micróbio da literatura”, e se intitulavam “modernos” como algo mais que “modernistas”, numa alusão irônica ao que ocorrera em São Paulo, a cujas ideias não desejavam estar acorrentados. Pretendiam, no seu intento de adolescentes rebeldes, horizontes mais vastos.

Tendo como mentor inicial o poeta e jornalista panfletário Pinheiro Viegas, segundo Cid Seixas, um “corrosivo intelectual que também destilara seus feitos e seu fel entre os rapazes da revista Samba”, grupo que emparelhava com o de Arco e Flexa, também surgido em 1928, os mesmos combativos propósitos, porém menos estridentes, o núcleo central da Academia dos Rebeldes se compunha ainda dos seguintes nomes: Jorge Amado, Édison Carneiro, Dias da Costa, João Cordeiro, Alves Ribeiro, Áydano do Couto Ferraz, Sosígenes Costa, Clóvis Amorim, Da Costa Andrade, Guilherme Dias Gomes, irmão do célebre dramaturgo baiano, Alfredo Dias Gomes e Walter da Silveira; a esses se acrescentavam, como colaboradores e participantes, José Bastos, Hosannah Oliveira, Octávio Moura e José Evangelista de Oliveira, que não deixou rastros palpáveis.

O movimento dos chamados rebeldes se inseria no conjunto de preocupações e aspirações marcantes de um período de pós-guerra e prenúncios de outro conflito mundial, com os desdobramentos, na década de 1920, de toda a efervescência cultural e atropelos provocados pelas vanguardas do início do século, mas que se refletiria na Bahia com lentidão de passos maior ainda que a dos paulistas de 1922. A liderança de Pinheiro Viegas, poeta mais conhecido pelo instinto panfletário que por seus poemas de circulação restrita, impelia os jovens baianos a lucubrações intelectuais bem mais avançadas do que suportava o ambiente urbano de então, a fluir, como já se disse, “em ritmo de bonde”.

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                                                                    Cabaret Bataclan, Ilhéus. Bahia

Em verdade, a Bahia, como se chamava na época, era uma cidade estática, imersa em orgulhosa e soberba atmosfera provinciana, onde não havia lugar para endeusarem-se a máquina, a eletricidade e a velocidade, não obstante a ingênua ousadia futurista de um poeta, o feirense Eurico Alves, adepto do grupo da revista Samba, cuja delirante imaginação divisava, em seus Poemas Metálicos (1926-1932), uma cidade imersa na volúpia fumacenta de locomotivas, pulsação mágica de fábricas e suas ardentes chaminés, lanchas e transatlânticos nos portos, guindastes, automóveis, buzinas, apitos, sirenas, guinchos, longas avenidas, ruas largas e arranha-céus, com céu cinzento sobre massas enormes de cimento armado, reclamos, títulos e dísticos luminosos – enfim, uma festa de nítido sonho futurista.

Todavia, já se observava então no ambiente urbano um clima de forte aspiração por mudanças, principalmente no que dizia respeito ao sistema de bondes, o transporte moderno há bem mais de uma década servindo aos habitantes, mas na ocasião já em processo de acelerada reformulação, como decorrência das reformas urbanas empreendidas pelos governos Seabra (1912-1916 e 1920-1924), perspectiva que impelia os jovens rebeldes para horizontes vanguardistas, contra todas as forças dominantes, embora rejeitassem arrebatamentos futuristas, que viam como delírio. No entanto, se pensavam assim, por outro lado, viam a cidade do Salvador com olhos novos. 

E havia motivos para tanto. A cidade da Bahia, que em 1900 possuía, segundo registros, 85 mil habitantes, no tempo da Academia dos Rebeldes ostentava cerca de 250 mil. Em um de seus depoimentos, Jorge Amado dá essa informação, que parece indicar um avanço, desde que o censo de 1940 irá mostrar uma população de 290.433 habitantes, que mais que dobrará nos próximos vinte anos, com os seus 655.735 em 1960. Aos olhos dos rebeldes, a cidade dos anos 1930 avançava no sonho de se tornar metrópole, marchando para se desfazer da carapaça que a engessava, já que, coroando um processo iniciado três anos antes, iria concluir-se em 1929 o processo de fusão das linhas de bondes, quando a Companhia Linha Circular de Carris da Bahia – popularmente chamada Circular – obtém por contrato o direito de explorar o serviço em todo o município, expandindo a cidade, criando e aproximando novos bairros,  conjugando-o com o monopólio da distribuição de energia elétrica.

Cabe lembrar aqui um conflito que marcou a época. Em função de estar o monopólio do transporte por bondes e fornecimento de energia elétrica em mãos de estrangeiros, logo em 1930 ocorre o famoso “quebra-bondes”, inflado pela má manutenção dos serviços, mas na verdade uma consequência de movimento desencadeado no sul do País, que resultou em 84 veículos destruídos, práticas de saques e vandalismo, culminando com a depredação do edifício recém-construído do jornal A Tarde, acusado de conivência com os americanos que exploravam os dois serviços. O episódio alcançou a gravidade de tragédia urbana, com a ocorrência de muitos feridos e morte de um marinheiro no Largo do Teatro, hoje Praça Castro Alves. Mas, apesar de tristes, esses traumas denotavam indícios de que a modernidade urbana começava timidamente a se insinuar, com a expansão das atividades e ocupação dos espaços, influenciando a própria mentalidade de extratos da população que começava a adotar novos hábitos.

Vivia-se a consolidação de reformas urbanas que expunham evidentes sinais de modernidade. Começava a se configurar um cenário pelo qual antes a imprensa enfática e romanticamente clamara, dirigindo-se a Seabra, então governador: que houvesse “no seio da velha cidade a alegria nova das vias amplas, modernas, por onde possa circular livre e fecunda a vida feliz de um povo forte”. Requeria-se, desse modo, que a cidade demarcasse seus espaços para neles se assentarem novos padrões de comportamento.

Definitivamente, a cidade da Bahia estava deixando de ser um burgo provinciano, vivenciava situações apenas imaginadas, que faziam os rebeldes detectarem na paisagem urbana uma nova atmosfera, um outro calor humano, denunciado por um mais intenso trânsito de pessoas e de posturas. Percebia-se um súbito fortalecimento do comércio exportador, estímulos ao consumo e demanda de serviços pelo surgimento de lojas, escritórios, hotéis, cafés, pastelarias, esquinas povoadas, pontos de encontro, cassinos e bordéis (então apelidados de “castelos”), jornais dispostos a abrir-se ao debate; um ambiente propício às fruições de um embrião de flâneur, com a burocracia cada vez mais cedendo espaço, apesar das resistências. Começava para eles, os da Academia dos Rebeldes, a se configurar o mundo moderno, em que Octavio Paz divisa “o homem, ou seu fantasma, errante entre as coisas e os aparatos” urbanos. E assim, com este cenário, a cidade se alçava a um outro patamar, em que as figuras do boêmio e do flâneur pareciam combinar-se.

Peregrinando pelos cafés, cassinos e bordéis, eram eles personagens deste cenário, gozando de todas as seduções que lhes acenava esse novo momento. Inseridos na multidão, na rua ou através do vidro da janela ou fresta de um café, escritório ou bordel, apreciavam o trânsito de bondes e de pessoas, errático privilégio com que, na condição de habitantes, revelavam a sua mesma razão de ser, em estado de felicidade plena. Na rua, numa esquina, talvez até mesmo da janela de um bonde, bastava-lhes o gozo de fitar pessoas passivamente mirando outras, por minutos e até horas, sem lhes dirigir uma palavra sequer. Em resumo, esta figura se sente melhor na rua do que em casa, numa fruição lúdica perfeitamente assemelhada ao culto da boemia, atividade que em geral se desenvolve com a aceleração da vida urbana. 

Nesse contexto, é preciso também abrir uma janela para a vida nos cafés, nos cassinos, nos dancings e nos bordéis. Jorge Amado dá testemunho do que acontecia nesta cidade então, para ele, “muito agradável de se viver”. “Os castelos tinham uma grande importância. Havia algumas putas francesas, que eram dadas à literatura. As nossas prostitutas eram em geral ignorantes, meninas do campo em sua maioria. Nós é que fazíamos a importância cultural dos castelos. Dávamos uma certa conotação literária”, relata, em depoimento de 1981, fornecido ao crítico literário Valdomiro Santana.

Há dois aspectos a merecer consideração, o papel dos cafés na vida intelectual e a frequência de intelectuais nos cassinos e bordéis. Como na reforma urbana, em ambos os casos se repetia o estado de ânimo que se apossara do Rio de Janeiro no princípio do século, de fiel imitação do espírito reformista da Paris de fins do século XIX, sob o impulso da urbanização revolucionária que lhe imprimira o Barão de Haussmann. Na Bahia, agora, também, por tabela, copiava-se o Rio das reformas de Pereira Passos, tal como fora feito pioneiramente em Recife, de 1910 a 1914.

Texto de palestra pronunciada em 8 de novembro de 2017 por Florisvaldo Mattos na Academia de Letras da Bahia, no âmbito do Curso Jorge Amado 2017 - VI Colóquio de Literatura Brasileira,


© SARAPEGBE
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Florisvaldo Mattos. Natural de Uruçuca, no sul do estado da Bahia (Brasil), é poeta e jornalista, professor aposentado da Universidade Federal da Bahia; exerceu cargos em vários jornais, entre os quais os de editor-chefe (“Diário de Notícias” e “A Tarde”, ambos de Salvador). Foi correspondente e chefe de sucursal na Bahia do “Jornal do Brasil” (RJ). Por mais de uma década, editou o suplemento semanal “A Tarde Cultural”, premiado em 1995 pela Associação Paulista de Críticos de Arte (APCA), como o melhor do Brasil no quesito de Divulgação Cultural. Desde 1995, ocupa a Cadeira nº 31, da Academia de Letras da Bahia. Entre 1987-89 ocupou a presidência da Fundação Cultural do Estado (Funceb), Obras publicadas: Reverdor, 1965; Fábula Civil, 1975; A Caligrafia do Soluço & Poesia Anterior, 1996; Mares Anoitecidos, 2000; Galope Amarelo e Outros Poemas, 2001; Poesia Reunida e Inéditos,2011; Sonetos elementais – Uma antologia, 2012 (todos de poesia).Estação de Prosa & Diversos, 1997); A Comunicação Social na Revolução dos Alfaiates, 1998 e Travessia de oásis - A sensualidade na poesia de Sosígenes Costa, em 2004 (os últimos de ensaio) - Antologia Poética e Inéditos (Coletânea Mestres da Literatura Baiana),Assembleia Legislativa da Bahia e ALB, 2017.