Discorso della Ministra Sonia Guajajara al Seminario internazionale "Il Sapere dei Popoli Indigeni e le Scienze".
Con una introduzione di Antonella Rita Roscilli
Redazionale
Foto di A.R.R.
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)


                                                                                                                                                     NovitàSarapegbe, 16 marzo 2024 
Il Seminario internazionale Indigenous People’s Knowledge and the Sciences. Combining knowledge and science on vulnerabilities and solutions for resilience” (La conoscenza delle popolazioni indigene e le scienze. Combinare conoscenza e scienza su vulnerabilità e soluzioni per la resilienza) si è svolto il 14 e 15 marzo alla Casina Pio IV di Città del Vaticano. Le giornate di studio sono state promosse dalle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali per individuare le risposte che i saperi delle comunità indigene possono offrire al mondo scientifico. L’obiettivo è quello di poter costruire un dialogo tra i due sistemi di conoscenze per esplorare nuove opportunità di soluzione delle grandi sfide globali poste dai cambiamenti climatici, dalla perdita di biodiversità e dalle minacce alla sicurezza alimentare e alla salute. All’iniziativa hanno partecipato rappresentanti di comunità indigene di tutto il pianeta, ed esponenti autorevoli del mondo scientifico globale, che sono stati ricevuti in Udienza dal Santo Padre Papa Francesco prima dell’inizio dei lavori. Tra le altre, il Papa ha sottolineato che  nel dialogo tra saperi indigeni e scienza occorre avere ben chiaro e tenere sempre presente che tutto questo patrimonio di conoscenze va utilizzato per imparare a superare i conflitti in modo non violento e a contrastare la povertà e le nuove forme di schiavitù. Ha proseguito dicendo che siamo chiamati tutti anche “a una conversione ecologica, (cfr Enc.Laudato si’, 216-221), impegnati a salvare la nostra casa comune e a vivere una solidarietà intergenerazionale per salvaguardare la vita delle generazioni future, invece che dissipare le risorse e aumentare le disuguaglianze, lo sfruttamento e la distruzione. […]. Per questo è necessario che i progetti di ricerca scientifica, e dunque gli investimenti, siano orientati sempre più decisamente alla promozione della fratellanza umana, della giustizia e della pace”.

Tra i partecipanti al Seminario è stata presente Sonia Guajajara, Ministra dei Popoli Indigeni del Brasile.  Riportiamo qui il discorso integrale che ha pronunciato durante la prima giornata, nella Sessione 1: “Conoscenze e scienze dei Popoli Indigeni – Sfide e opportunità":
                                                           
                                                             Foto di A.R.R.

Sua Santità Papa Francesco, grazie mille per l'invito ad essere qui, e per le parole pronunciate durante l’Udienza. Cari parenti indigeni, colleghi e autorità presenti a questo Seminario, buongiorno. Ricordo l'ultima volta che siamo stati a Roma, ancora come rappresentanti del Movimento indigeno. Venimmo per assistere alla Messa. Fu emozionante, così come è grande l’emozione di poter essere per la prima volta in questa Accademia, poter partecipare e dialogare direttamente con Sua Santità e con tanti leaders.
 
Il tema di questo Seminario è importante: parlare delle conoscenze tradizionali dei popoli indigeni come partners e alleati della Scienza per combattere il cambiamento climatico. Con questo Seminario, il Vaticano ci porta anche per sederci davanti, nello stesso spazio di tanti scienziati e autorità di tutto il mondo.
 
E così vogliamo continuare, Papa Francesco. Quando ho assunto l’incarico come prima Ministra dei Popoli Indigeni del Brasile, il motto del mio discorso era: “Mai più un Brasile senza di noi”. Siamo qui, con il sostegno del Vaticano, per ribadire che il mondo ha bisogno delle conoscenze tradizionali indigene. Il mondo ha bisogno dello stile di vita indigeno, della sua spiritualità e del suo rapporto con la natura, come condizione necessaria per la tutela della Biodiversità.
 
Prima di procedere con questi temi e le centralità dei saperi e dello stile di vita indigeno, vorrei farmi avanti, come una delle prime relatrici, e proporre alcune indicazioni. Ricordo che questo argomento è in discussione in altri due forum globali che quest’anno dovrebbero approvare risoluzioni: l'Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale e la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica.
 
I contributi sistematizzati e sostenuti dal Vaticano e dai popoli indigeni possono avere un peso rilevante in questi spazi. Ne avranno ancora di più se ci sarà una presenza effettiva delle persone e delle loro organizzazioni. Vale anche la pena diffondere i contributi in altri spazi di organizzazioni indigene, come il Forum Permanente delle Nazioni Unite e la Piattaforma dei Popoli Indigeni e Comunità Locali della COP del Clima.
 
Parlando della COP del Clima, mi impegno a continuare questi dibattiti alla COP che noi ospiteremo nel 2025. A tal fine, creeremo una commissione internazionale per preparare la partecipazione qualitativa e quantitativa dei popoli indigeni alla COP 30.
 
Le conoscenze e gli stili di vita indigeni sono centrali per risolvere i problemi che colpiscono il Pianeta. Non è un caso che l’80% della Biodiversità protetta mondiale si trovi nei territori indigeni, perché noi sappiamo come fornire questa protezione. Sono sicura che diversi interventi che verranno dopo di me, andranno in questa direzione.
 
Ma questo dibattito è centrale anche perché siamo tra i paesi più colpiti dai cambiamenti climatici. E ne siamo colpiti in modi diversi. Alcuni cambiamenti sono più violenti e bruschi, e costringono addirittura le persone a spostarsi dai loro territori tradizionali. Siamo anche colpiti da azioni di mitigazione e transizione che non tengono conto degli aspetti centrali delle comunità. Nel tempo ne subiamo gli effetti, nella misura in cui i cambiamenti climatici influenzano i biomi, alterano il ciclo delle piogge, la fertilità del suolo, la presenza di specie animali e vegetali, influenzano il nostro modo di vivere e, in ultima analisi, la capacità di reazione delle popolazioni indigene. Dopotutto, le nostre conoscenze millenarie provengono da questa profonda conoscenza e dalla relazione spirituale con la natura, con ogni bioma. Ogni cambiamento nel Bioma, è come se fosse una malattia che si diffonde anche nei nostri corpi e nelle nostre comunità. Infatti, le donne indigene in Brasile tendono a riferirsi non a corpi, ma a corpi-territori, perché i nostri corpi  sono parte dei Biomi in cui viviamo.
 
La cura per questa malattia, che si diffonde nei nostri corpi-territori e che permea l’intero Pianeta, è abbastanza complessa. Essa coinvolge, dall’inizio alla fine, un cambiamento radicale nel modo di vivere dell’intera società. Ancora una volta, i popoli indigeni possono e devono essere anche esempi. Fino a quando non avverrà una riflessione più generale sui modi di vivere, dobbiamo stare attenti e tentare di alterare altre situazioni.
 
La prima di esse è costituita dal nostro messaggio di sempre, ma occorre dirlo perché molti vogliono evitarlo, come abbiamo visto in Brasile, dove abbiamo sofferto molto negli ultimi anni. Non è possibile avanzare nei diritti degli indigeni, nella protezione della biodiversità e nella valorizzazione delle conoscenze tradizionali, senza capire che dobbiamo avanzare nel riconoscimento dei nostri territori tradizionali.
 
Il pieno possesso dei territori tradizionali. per le popolazioni indigene assume forme giuridiche diverse in ciascun Paese. Ma, senza portare avanti questo processo di regolarizzazione, diventa più difficile portare avanti ulteriori politiche pubbliche e, cosa ancora più importante, diventa più difficile per le comunità, minacciate da secoli, riuscire a mantenere le proprie tradizioni, il rapporto con la natura e le proprie conoscenze tradizionali.
 
La lotta contro il cambiamento climatico richiede l’aumento del riconoscimento formale e del diritto al pieno possesso dei territori da parte delle popolazioni indigene e delle comunità locali.
 
Su questa stessa linea, dobbiamo affrontare le sfide che esistono proprio in quei territori che hanno già fatto passi avanti nel loro riconoscimento giuridico. L’attività mineraria e il suo flusso privato rappresentano una ferita aperta da secoli nei nostri continenti. L’utilizzo di minerali strategici deve essere visto come una sfida sociale. Non possiamo permettere attività minerarie e di estrazione nei territori indigeni perché, come ha dimostrato la situazione dei popoli Yanomami, Munduruku, Kaiapó, tra gli altri, in Brasile, questo atteggiamento è distruttivo per la natura, la nostra salute e i nostri diritti. È distruttivo per la vita.
 
Un’altra sfida, ora più moderna, è anche la regolamentazione dei mercati dei credito del carbonio. Non è possibile permettere che i territori indigeni vengano controllati attraverso accordi mediati da terzi, che cercano risorse presso aziende e governi inquinanti.
 
Si noti che ciò è diverso dal finanziamento diretto, che proviene da organizzazioni internazionali e fondi per il clima, che dialogano a partire da obiettivi globali di protezione della biodiversità e che interessano anche le comunità stesse. Questo tipo di finanziamento è necessario e deve essere incoraggiato di più. La logica del credito del carbonio, come minimo, necessita di regolamentazione, per evitare che contratti abusivi interrompano il rapporto della protezione della biodiversità attraverso le conoscenze tradizionali e i mezzi di sussistenza.
 
Tutte queste situazioni che ho citato portano ancora molte comunità indigene nel mondo a soffrire con conseguenze drastiche: espulsione dai loro territori, violenze, suicidi, difficoltà di accesso alle politiche pubbliche e fame. Quei popoli che possiedono conoscenze millenarie, forme di preservazione della natura e produzione del proprio cibo, vengono espulsi e sono affamati. Questo è inaccettabile. Per questo motivo, oggi, in occasione di questo evento, annunciamo l'adesione del Brasile alla Coalizione dei Sistemi Alimentari Indigeni della FAO.
 
Il Governo brasiliano ha lanciato un nuovo paniere alimentare di base che valorizza i sistemi alimentari locali e si allontana dagli alimenti processati. Inoltre, all'interno del G20, è a capo della Coalizione Globale contro la Fame e la Povertà. Comprendiamo che questa Coalizione si deve collegare, aiutare a finanziare i sistemi alimentari indigeni e sostenere la loro produzione. Spesso, nelle comunità più aggredite e violentate, il modo migliore per mantenere vivi i saperi tradizionali è garantire cibo e sostegno alla produzione, nel rispetto di questi saperi.
 
Tutto ciò rimanda ad altri due dibattiti che devono essere al centro dell’agenda mondiale. Uno di questi è che dobbiamo unire le agende dell’Ambiente e dei Diritti Umani. Dobbiamo dire che essi camminano insieme, e presentare risoluzioni al riguardo in tutti i forum. Nelle tre convenzioni dell’Ambiente, nel Consiglio per i Diritti Umani dell’ ONU, nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, negli accordi commerciali, di proprietà intellettuale, insieme a organizzazioni filantropiche, organizzazioni internazionali e fondi per la gestione del clima, nonché su molti altri fronti.
 
Le COPs hanno fatto progressi in questo senso. I dibattiti sulla transizione giusta e sulle perdite e i danni, nella COP del Clima, o la prospettiva della COP della Convenzione sulla Biodiversità di trasformare il Gruppo 8J in un sottocomitato, sono segnali importanti. Ma è ancora poco.
                                                         
Il concetto di giustizia climatica sembra ancora più legato alle richieste delle popolazioni indigene e dei movimenti sociali che effettivamente incorporato nei grandi forum. Le resistenze sono molte e questo messaggio deve essere molto forte e chiaro. Non ci sarà soluzione climatica senza comprendere le richieste dei popoli colpiti. Non ci sarà soluzione climatica senza riconoscere le conoscenze tradizionali come parte integrante del processo. Senza riconoscere che i diritti umani e della natura devono andare di pari passo.
 
Abbiamo cercato di avanzare in qualche modo, in tutte le questioni citate, durante il primo anno del nostro Ministero – un ministero la cui creazione in Brasile era in ritardo di 5 secoli. Ci sono così tante urgenze che le politiche devono essere unite a quelle più emergenziali e quelle che daranno un ritorno in un periodo di tempo più lungo.
 
In questi cinque secoli, non solo in Brasile, ma in tutti i continenti, abbiamo subito attacchi che spesso si sono trasformati in genocidi di interi popoli. Quelli che hanno resistito, come i nostri popoli che qui stiamo rappresentando, non sono esenti da segni di violenza sofferta in qualche momento della Storia. Anche la stessa Chiesa cattolica è stata in passato agente di questa violenza e oggi siamo qui, Chiese e popoli indigeni, per andare avanti nel dibattito sui saperi tradizionali e per inviare  grandi messaggi al mondo.
 
Ecco perché l'ultimo messaggio che vorrei lasciare in questo Seminario deve essere un messaggio di pace. Non è possibile dire di affrontare la lotta al cambiamento climatico in un mondo in guerra. Fa direttamente male a noi, popoli indigeni, che abbiamo già sofferto così tanto a causa del genocidio, vedere processi simili verificarsi in Palestina. E si stanno verificando in tanti altri posti in tutto il mondo.
 
All’inizio del mio intervento ho detto che la cura per la malattia del cambiamento climatico è complessa. Esige un cambiamento radicale nei modi di vita della società. Le nostre culture, la nostra spiritualità, siano esse cattoliche, indigene e tante altre, sono culture di pace, che vogliono l'armonia dell’esssere umano con la natura, invece dell'avidità e dell'espropriazione dei territori. Che la disposizione a costruire questo mondo nuovo, con la valorizzazione delle culture e dei saperi, la preservazione dei diritti e della biodiversità e la promozione della pace e del rispetto in tante dimensioni, suggelli questa importante e fondamentale alleanza, a partire da questo Seminario.
Tante grazie.
                         
                                Foto di A.R.R.                          


Fonte: https://www.gov.br/povosindigenas/pt-br
 
Traduzione dal portoghese di A.R.R.

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TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

Discurso da Ministra Sonia Guajajara no Seminário internacional Indigenous People’s Knowledge and the Sciences

Com introdução de Antonella Rita Roscilli


                                                       
                                                          Foto di A.R.R:.
                                                                                                                                              NovitàSarapegbe, 16 marzo 2024

O Seminário internacional Indigenous People’s Knowledge and the Sciences. Combining knowledge and science on vulnerabilities and solutions for resilience” (Conhecimento dos Povos Indígenas e as Ciências. Combinar conhecimento e ciência sobre vulnerabilidades e soluções para resiliência) ocorreu nos dias 14 e 15 de março na Casina Pio IV na Città del Vaticano. As jornadas de estudo foram promovidas pelas Pontifícias Academias das Ciências e das Ciências Sociais para identificar as respostas que o conhecimento das comunidades indígenas pode oferecer ao mundo científico. O objetivo é construir um diálogo entre os dois sistemas de conhecimento para explorar novas oportunidades e, assim, poder enfrentar os grandes desafios globais causados pelas crise climáticas, a perda de biodiversidade e as ameaças à segurança alimentar e à saúde. A iniciativa contou com a presença de representantes de comunidades indígenas do planeta inteiro, e representantes de autoridade do mundo científico global. Antes do inicio dos trabalhos, foram recebidos em audiência pelo Santo Padre Papa Francisco. Entre outras, o Papa sublinhou que no diálogo entre o conhecimento indígena e o conhecimento das ciências é necessário manter sempre presente que toda esta riqueza de conhecimentos deve ser utilizada para aprender a superar os conflitos de forma não violenta, a combater a pobreza e novas formas de escravidão. Prosseguiu dizendo que também todos nós somos chamados “a uma conversão ecológica (ver Enc. Laudato si', 216-221), empenhados em salvar a nossa casa comum e em viver uma solidariedade intergeracional para salvaguardar a vida das gerações futuras, em vez de desperdiçar recursos e aumentar as desigualdades, a exploração e a destruição. […] Por isso é necessário que os projetos de investigação científica e, portanto, os investimentos, sejam cada vez mais orientados para a promoção da fraternidade humana, da justiça e da paz”.
                                                           
                                                             Foto di A.R.R.
Entre os participantes do Seminário estava Sonia Guajajara, Ministra dos Povos Indígenas do Brasil. 
Eis a íntegra do discurso que ela proferiu no primeiro dia do Seminário, Sessão 1: “Conhecimento e ciência dos Povos Indígenas – Desafios e oportunidades":

Sua Santidade Papa Francisco, muito obrigado pelo convite para estar aqui e pelas palavras em sua Audiência. Prezados parentes indígenas, demais colegas e autoridades neste Seminário, bom dia. Lembro-me da última vez em que estivemos em Roma, ainda como representantes do movimento indígena. Viemos assistir à missa. Foi emocionante, assim como é grande a emoção de poder estar nesta academia pela primeira vez, podendo participar e dialogar diretamente com Sua Santidade e com tantas lideranças.
 
O tema deste Seminário é importante. Falar do conhecimento tradicional dos povos indígenas como parceiros e aliados da ciência para o enfrentamento das mudanças climáticas. Com este Seminário, o Vaticano também nos traz pra sentar à frente, no mesmo espaço de tantos cientistas e autoridades do mundo.
 
E assim queremos seguir, Papa Francisco. Quando tomei posse como primeira Ministra dos Povos Indígenas do Brasil, o lema do meu discurso foi: Nunca Mais um Brasil sem nós. Estamos aqui, com o apoio do Vaticano, para reforçar que o mundo precisa dos conhecimentos tradicionais indígenas. O mundo precisa do modo de vida indígena, de sua espiritualidade e de sua relação com a natureza, como condição necessária para a proteção da Biodiversidade.
 
Antes de dar sequência sobre estes temas e as centralidades dos conhecimentos e do modo de vida indígena, gostaria de me antecipar, como uma das primeiras oradoras, e propor alguns encaminhamentos. Lembro que este tema está sendo discutido em outros dois fóruns globais que devem aprovar resoluções neste ano: a Organização Mundial de Propriedade Intelectual e a Conferência das Partes da Convenção sobre Diversidade Biológica.
 
As contribuições sistematizadas e apoiadas pelo Vaticano e pelos povos indígenas podem ter um peso relevante nestes espaços. Terão ainda mais se houver presença efetiva dos povos e de suas organizações. Vale também disseminar as contribuições em outros espaços de organização indígena, como o Fórum Permanente das Nações Unidas e a Plataforma dos Povos Indígenas e Comunidades Locais da COP do Clima.
 
Falando em COP do Clima, me comprometo a dar seguimento a estes debates por lá, na COP que sediaremos em 2025. Para isto, vamos criar uma comissão internacional para preparar a participação qualitativa e quantitativa dos povos indígenas na COP 30.
 
Os conhecimentos e os modos de vida indígena são centrais para a solução de problemas que afetam o Planeta. Não é por coincidência que 80% da Biodiversidade protegida no mundo está em territórios indígenas. É porque sabemos como fazer esta proteção. Estou certa que várias falas que virão depois de mim vão apontar neste sentido.
 
Mas este debate também é central porque estamos entre os mais atingidos pelas mudanças climáticas. E somos atingidos de diversas formas. Algumas mais violentas e abruptas, forçando inclusive povos a terem que se deslocar de seus territórios tradicionais. Também somos impactados por ações de mitigação e de transição que não levam em conta aspectos centrais das comunidades. E somos impactados ao longo do tempo, à medida que as mudanças climáticas afetam os biomas, alteram o ciclo das chuvas, a fertilidade do solo, a presença de espécies de animais e plantas, afetam o nosso meio de vida e, por fim, a própria capacidade dos povos indígenas de reagir. Afinal, nossos conhecimentos milenares vêm deste conhecimento profundo e da relação espiritual com a natureza, com cada bioma. A cada mudança no Bioma, é como se fosse uma doença que se alastrasse também por nossos corpos e  por nossas comunidades. Inclusive, as mulheres indígenas no Brasil costumam se referir não a corpos, mas a corpos- territórios, porque nossos corpos são parte dos Biomas onde vivemos.
 
A cura para esta doença que se alastra sobre nossos corpos-territórios e que perpassa todo o Planeta é bastante complexa. Ela envolve, ao fim e ao cabo, uma mudança radical nos modos de vida de toda a sociedade. Mais uma vez, os povos indígenas podem e devem ser também exemplos. Enquanto esta reflexão mais geral dos modos de vida não ocorre, precisamos estar atentos e tentar alterar outras situações.
 
A primeira delas é a nossa mensagem de sempre, mas que precisa ser dita porque muitos a querem evitar, como observamos no Brasil, onde sofremos bastante  nos últimos anos. Não é possível avançar em direitos indígenas, em proteção da biodiversidade e na valorização dos conhecimentos tradicionais, sem entender que precisamos avançar no reconhecimento de nossos territórios tradicionais.
 
A posse plena dos territórios tradicionais para os povos indígenas assume formas jurídicas distintas em cada país. Mas, sem avançar neste processo de regularização, fica mais difícil avançar com mais políticas públicas e, mais importante, fica mais difícil para as comunidades, há séculos ameaçadas, conseguirem manter suas tradições, sua relação com a natureza e seus conhecimentos tradicionais.
 
A luta contra as mudanças climáticas exige o aumento do reconhecimento formal e do direito à posse plena dos territórios pelos povos indígenas e comunidades locais.
 
Nesta mesma linha, precisamos enfrentar os desafios que existem mesmo naqueles territórios que já avançaram no seu reconhecimento jurídico. A mineração e seu escoamento privado é uma ferida aberta há séculos em nossos continentes. O uso de minérios estratégicos precisa ser encarado como um desafio social. Não podemos permitir a mineração e o garimpo em territórios indígenas pois, como tem mostrado a situação dos povos Yanomami, Munduruku, Kaiapós, dentre outros no Brasil, esta atitude é destruidora da natureza, da nossa saúde, de direitos. É destruidora da vida.
 
Outro desafio, agora mais moderno, é também regulamentar os mercados de crédito de carbono. Não é possível permitir que os territórios indígenas passem a ser controlados por acordos mediados por terceiros, que buscaram recursos junto a empresas e governos poluidores.
 
Vejam que isto é diferente do financiamento direto, que parte de organismos internacionais e fundos climáticos, que dialogam a partir de metas globais de proteção da biodiversidade e que também são de interesse das próprias comunidades. Este tipo de financiamento é necessário e precisa ser mais estimulado. Já a lógica do crédito de carbono precisa, no mínimo, de regulamentação, para evitar que contratos abusivos acabem com a relação da proteção da biodiversidade via conhecimentos tradicionais e meios de vida.   
 
Todas estas situações que citei levam a que muitas comunidades indígenas ainda no mundo sofram com consequências drásticas: a expulsão de seus territórios, violências, suicídios, a dificuldade de acesso a políticas públicas e a fome. Aqueles povos que possuem conhecimentos milenares, formas de preservação da natureza e produção dos seus próprios alimentos, estão sendo expulsos e passando fome. Isto é inaceitável. Por isto, anunciamos hoje, neste evento, a adesão do Brasil à Coalizão dos Sistemas Alimentares Indígenas da FAO.
 
O Governo brasileiro lançou uma nova cesta básica que valoriza os sistemas alimentares locais e afasta os alimentos processados. Também lidera, no âmbito do G20, a Coalizão Global contra a Fome e a Pobreza. Entendemos que esta Coalizão precisa se conectar e ajudar no financiamento dos sistemas alimentares indígenas e no apoio à sua produção. Muitas vezes, naquelas comunidades mais atacadas e violentadas, a melhor saída para manter vivos os conhecimentos tradicionais, é garantir alimentação e apoio à produção, conforme estes conhecimentos.
 
Tudo isto aponta para outros dois debates que precisam estar no centro da agenda mundial. Um deles é  o de que precisamos unir as pautas do Meio Ambiente e dos Direitos Humanos. Precisamos dizer que eles caminham juntos e apresentar resoluções neste sentido em todos os fóruns. Nas três convenções do Meio Ambiente, no Conselho de Direitos Humanos da ONU, na Assembleia Geral das Nações Unidas, nos acordos comerciais, de propriedade intelectual, junto às filantropias, aos organismos internacionais e aos fundos gestores do clima, assim como em tantas outras frentes.
 
As COPs tem avançando a respeito. Os debates sobre transição justa e perdas e danos, na COP do Clima, ou a perspectiva da COP da Convenção sobre Biodiversidade de transformar o Grupo 8J em um subcomitê, são importantes sinalizações. Mas ainda é pouco.
                                                                                     
O conceito de justiça climática ainda parece mais ligado às demandas dos povos indígenas e movimentos sociais do que realmente incorporado aos grandes fóruns. As resistências são muitas e esta mensagem precisa estar muito forte e clara. Não haverá solução climática sem compreender as demandas dos povos atingidos. Não haverá solução climática sem reconhecer os conhecimentos tradicionais como parte inerente do processo. Sem reconhecer que direitos humanos e da natureza precisam caminhar juntos.
 
Tentamos avançar de alguma forma, em todos os assuntos citados, no primeiro ano de nosso Ministério — um ministério cuja criação esteve atrasada há 5 séculos no Brasil. São tantas as urgências que as políticas precisam ser mescladas entre aquelas mais emergenciais e as que darão retorno em um prazo maior.
 
Nestes cinco séculos, não só no Brasil, mas em todos os continentes, sofremos ataques que muitas vezes se converteram em genocídios de povos inteiros. Aqueles que resistiram, como nossos povos que aqui representamos, não estão sem a marca da violência sofrida em algum momento. Inclusive a própria Igreja Católica foi agente desta violência no passado e hoje estamos aqui, Igrejas e povos indígenas, para avançar no debate sobre conhecimentos tradicionais e passar grandes mensagens ao mundo.
 
Por isto a última mensagem que gostaria de deixar neste seminário precisa ser uma mensagem de paz. Não é possível falar em enfrentamento à mudança climática em um mundo em guerra. Dói diretamente em nós, indígenas, que já sofremos tanto com o genocídio, ver processos semelhantes ocorrendo na Palestina. Ocorrendo em tantos outros lugares no mundo.
 
Falei no começo do discurso que a cura para a doença das mudanças climáticas é complexa. Que exige uma mudança radical nos modos de vida da sociedade. Nossas culturas, nossa espiritualidade, sejam elas católicas, indígenas e tantas outras, são culturas de paz, que querem a harmonia do ser humano com a natureza, ao invés da ganância e da expropriação dos territórios. Que a disposição em construir este novo mundo, com a valorização das culturas e dos conhecimentos, a preservação dos direitos e da biodiversidade e a promoção da paz e do respeito em tantas dimensões, sele esta aliança importante e fundamental, a partir deste Seminário.
Muito obrigada.
           
                                        Foto di A.R.R.
Fonte: https://www.gov.br/povosindigenas/pt-br