Roma 70
Paulo Ormindo de Azevedo
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)

 
Con la pubblicazione della Carta di Venezia nel 1964, nutrii l’interesse di conoscere l'esperienza italiana del restauro dei monumenti. Parlai con l'allora presidente dell'IPHAN, Renato Soeiro, che mi raccomandò il corso ICCROM/UNESCO e mi rilasciò una lettera di presentazione per ottenere una borsa di studio. In Brasile avanzava il colpo di stato, non ci si poteva fidare di nessuno, né uscire la sera e incontrarsi con gli amici. Questo aumentava la mia voglia di lasciare il Paese.

Ricevetti un piccolo contributo dal Ministero degli Affari Esteri italiano e arrivai a Roma alla fine del 1968. Il cinema neorealista italiano era già passato e l'immagine che avevo dell'Italia era di un paese decadente, dalle commedie di Totó e Aldo Fabrizi, o dai melodrammi di Hollywood con latin lover   e ragazze formose in lambretta. Alcuni amici mi chiesero perché non avevo scelto gli Stati Uniti o l’ Inghilterra. Ciò che mi attrasse dell'Italia fu proprio la teoria e pratica del restauro.

Fuori del Brasile, il mondo era in fiamme, con la rivoluzione libertaria dei giovani. In Europa, quell'anno, ci fu la Primavera di Praga e la rivelazione studentesca parigina del maggio 68. I Beatles erano scoppiati poco prima, rivoluzionando musica e costumi. In Francia c’era la Nouvelle Vague, con giovani registi come François Truffaut, Jean-Luc Godard, Alain Resnais, Agnes Varda, Claude Chabrol e Roger Vadin che innovarono il cinema. Negli Stati Uniti, il culmine del movimento hippie si ebbe nel Festival di Woodstock nel 1969, che riunì 400.000 giovani, che protestavano contro la guerra del Vietnam, e la società dei consumi, cullati da molta musica e droga. Il movimento hippie predicava la pace, l'amore libero, con la liberazione delle donne attraverso la pillola, e il ritorno alla natura, riassunti nella didascalia: Pace e Amore.

Tutto questo si era riflesso in Italia, e per me fu una sorpresa. Alla radio e alla televisione si ascoltava “C'era um ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones...” scritto da Franco Migliacci e interpretato da Gianni Morandi, che raccontava la storia di un ragazzo americano che sognava di andare in Europa e invece venne mandato in Vietnam, dove sentiva solo rattatatata... rattatatata..., e morì in combattimento. Gli hippyes invasero piazze, musei, treni e ostelli. C’erano stati anche alcuni scandali, come la bella britannica Jane Birkin e il brutto Serge Gainsbourg, sposati tra i 68 e gli anni 80, che cantavano “Je t'aime moi non plus” (1968), dove una coppia sospirava come se stessero facendo l'amore in modo non convenzionale. La canzone fu  censurata, ma successivamente venne pubblicata. La canzone era stata scritta da Gainsbourg da Brigitte Bardot, la sua ex amante, ma temeva lo scandalo.
 
Un'altra coppia che scandalizzò l'Italia fu la giovane Romina Power, che aveva posato nuda di schiena con un enorme fiocco di nastro sul sedere, e il cantante Albano Carrisi. Era la figlia di Tyrone Power e della messicana Linda Christian. In Italia ebbe successo senza polemiche un ebreo greco che viveva in Francia dal 1951; Georges Moustaki. Aveva avuto una relazione con Edith Piaf nel 1958. Era autore di Joseph, un'ode al falegname Giuseppe, suo vecchio amico - che avrebbe potuto scegliere Sara o Débora e non gli sarebbe successo niente - ma preferì la bella Maria, il cui figlio con strane idee fece piangere tanto Maria.
 
Quel viaggio per me fu anche un modo per liberarmi dai controlli familiari. Quando arrivai, mi sistemai  nella Pensione Lima pagando un supplemento per la doccia giornaliera, in via degli Zingari, vicino all'Istituto Centrale di Restauro di via Cavour, dove si sarebbe tenuta parte delle lezioni. Portavo con me delle lettere di presentazione, tra cui una di Jorge Amado per Murilo Mendes e un’altra del mio maestro Romano Galeffi della Scuola di Belle Arti, per la sua famiglia a Roma. Era la fine dell'anno e Murilo Mendes mi chiese di lasciar passare le vacanze per poterlo visitare. Provai altre due volte e poi vi rinunciai.

Quando telefonai alla famiglia Galeffi, mi risposero che lui stava a Roma e voleva davvero vedermi, perché aveva prenotato una stanza a casa di un'amica, dove c'erano tutti i borsisti baiani. Non c'era modo di liberarmi di quell'impegno, che non avevo richiesto. A 10.000 km di distanza non riuscivo a liberarmi di Bahia. Vi trascorsi alcune settimane, e poi riuscii a trasferirmi al CIVIS, un centro abitativo del Ministero degli Affari Esteri, con ottimi impianti sportivi e programmi culturali, a Ponte Milvio, vicino alla sua sede e al Villaggio Olimpico.

La maggior parte delle nostre classi erano al gelido pianterreno di Palazzo Venezia, nell'omonima piazza, dal cui balcone aveva tenuto i suoi discorsi Mussolini. Nello stesso edificio si trovava l'eccellente Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte, dove trascorrevo il il mio tempo libero per divertirmi. L'altra biblioteca che frequentavo era quella in Vaticano. In quel corso di specializzazione e nel dottorato alla Sapienza, ebbi come docenti i grandi restauratori italiani del secondo dopoguerra, un'esperienza che avrebbe consolidato la Teoria del Restauro Critico: Guglielmo De Angelis d'Ossat, Pietro Gazzola, Roberto Pane, Renato Bonelli, Carlo Cheschi, Giuseppe Zander. In quei corsi fui contemporaneo di Giovanni Carbonara, oggi uno dei più rinomati teorici del Restauro Critico.

Devo a Pietro Gazzola la mia ispirazione per realizzare l'Inventario per la Tutela della Collezione Culturale di Bahia, in sette volumi. Gazolla era un nobile, produttore di uno dei più famosi vini piacentini, e uno dei consulenti per il sollevamento e trasferimento di 200 m del gigantesco tempio di Abul Simbel in Egitto (1964-68), e il riempimento della diga di Aswan. Un'altra sua impresa fu la preparazione dell'esplosione del ponte antico romano Piedra, a Verona. Dopo infruttuose trattative con i generali tedeschi per impedirne l'esplosione, registrò e fotografò esaurientemente il ponte e ne numerò le pietre, il che permise di ricostruirlo nel 1957 in una delle più grandi operazioni di anastilosi conosciute.

Un altro professore che mi colpì molto fu l'archeologo Nino Lamboglia, che asseriva di dover ricoprire le fosse di esplorazione archeologica con la terra, dopo averle debitamente documentate. Le sue argomentazioni erano convincenti. Fu la stabilità termica e igroscopica della terra a preservare i mosaici romani per 2000 anni. Lui aveva ragione. Gli estesi mosaici romani di Villa del Casale, in Piazza Armerina, in Sicilia, hanno sofferto molto per l'irraggiamento solare e il cambiamento climatico, dopo essere stati portati alla luce e protetti da una copertura acrilica (1957-1963) progettata da un altro dei nostri professori, Franco Minissi, sotto la guida del “papa” del Restauro Critico: Cesare Brandi.

Visitai il luogo. Erano ingegnosi i camminamenti sopraelevati su ciò che restava delle mura dell'antica dimora ed era interessante la trasparenza dei capannoni che li proteggevano. Ma quel tetto presto si deteriorò, esponendo i mosaici alle intemperie. Ho sentito dire che sono state fatte nuove coperture, di cui non sono a conoscenza. Franco Minissi, che ha lavorato sempre a stretto contatto con Brandi, aveva progetti molto interessanti, ma il suo sperimentalismo subì alcune battute d'arresto, come nel teatro greco Eraclea Minoa del VI secolo aC ad Agrigento, in Sicilia. Lì modellò in acrilico rigido un gradino e lo riproduse per applicarlo all’intero teatro, già molto deteriorato. Il teatro potè tornare ad essere utilizzato per alcuni anni, ma gli studi dimostrarono che quando la pietra veniva rivestita, iniziava ad essere attaccata da licheni e funghi, e l'installazione venne smantellata.

Roma aveva una vita culturale e bohémien molto intensa, con mostre, concerti e rappresentazioni teatrali. Frequentai  importanti conferenze, come quelle dello storico e critico d'arte Giulio Carlo Argan, poi sindaco di Roma e senatore, e del progettista Tómas Maldonado, una delle roccaforti della Scuola di Ulm. Una volta vidi Jean-Paul Sartre in via del Corso, con le sue lenti a mozzicone, che passeggiava con amici intellettuali.

Sono un buon fisionomista, modestia a parte. Cinecittà era diventata la Hollywood del Tevere, con Sergio Leone che diffondeva film del genere spaghetti-western. In piazza Colonna, una locandina del suo film “C'era una volta il West” ricopriva l'intera facciata di un palazzo di quattro piani, con la bella Claudia Cardinale, Henry Fonda e Charles Bronson come attori. All'ombra di una delle ambasciate più ricche del mondo, Palazzo Doria Pamphili, in Brasile, in Piazza Navona, si potevano vedere i più grandi attori e dive del cinema americano sorseggiando e mangiando nei ristoranti circondati dai paparazzi.

La mia routine quotidiana era frequentare le lezioni, pranzare in uno dei piccoli ristoranti a conduzione familiare  nelle vicinanze, dove un pranzo con antipasto, piatto principale annaffiato con un quarto di buon vino e dessert di frutta o formaggio costava l'equivalente di un dollaro. Nel tardo pomeriggio andavo con i miei colleghi alla Birreria Peroni, in via Santissimi Apostoli, vicino a piazza Venezia, dove servivano vari tipi di birre e come pasto il gulasch ungherese. La sera andavo spesso al cinema-teatro Metropolitan, di proprietà della famiglia del regista Roberto Rossellini, in via del Corso, vicino a piazza del Populo, che d'estate apriva il tetto e faceva una pausa tra primo e secondo tempo della proiezione per far fumare gli spettatori mentre cambiavano  le bobine dei film.

Ebbe grande successo il bellissimo film Blow Up di Michelangelo Antonioni, con Jane Birkin, la storia di un fotografo che, sviluppando il suo film, scopre un assassino. Il film causò la moda delle macchine fotografiche Nikon. Comprai la mia prima ad un prezzo ragionevole, da Mr. Tonel, in via dei Cavalieri, che riceveva il materiale attraverso una via del Vaticano.

Infatti, nella monumentale Chiesa di San Pietro, la cui costruzione fu finanziata dalla vendita delle indulgenze plenarie, uno dei motivi della scissione luterana, mi sentivo come se stessi nella Roma Imperiale, guardando Paolo VI passare sulla sedia gestatoria ed essere salutato: Ave Papa!
Sentii più vicino l'impegno della Chiesa cattolica nei confronti del potere economico e delle famiglie nobili italiane quando visitai Frascati per degustare vini e salsicce e rimasi sorpreso nel vedere il gigantesco e lussuoso palazzo di Villa Aldobrandini, di proprietà dell'omonimo cardinale, costruito tra 1598 e 1602, su progetto dell'architetto Giacomo della Porta.

Nei fine settimana io e i miei colleghi noleggiavamo un'auto per visitare il resto dell’Italia. Sarebbe noioso riportare qui tutte queste esperienze. Mi concentrerò sulla visita a Venezia. soggiornai in un ostello all'isola della Giudecca, un antico quartiere ebraico, separato da un canale largo 300 m da Venezia, dove passavano enormi navi da crociera, ma servito dal vaporetto. L'impatto di questa prima visita fu enorme, non per la sorpresa per la bellezza di questa città medievale, clamorosamente condannata a morte perché costruita su pali di legno secolari e con condizioni ambientali avverse, ma per la sua modernità.

Sì, era la prima volta che vedevo una città con una separazione assoluta tra veicoli e pedoni. Fu un piacere indescrivibile passeggiare per quella città, saltare canali su graziosi ponti per raggiungere un'altra piazzetta, o campo, senza lo shock di essere investiti, o di dover aspettare che il semaforo si chiudesse per attraversare una strada. Pensai che in futuro tutte le città sarebbero state come Venezia.

Dopo sei mesi a Lisbona per completare la mia tesi di dottorato, rientrai a Roma ove condividevo un piccolo appartamento con un collega specialista e dottorando alla Sapienza, il peruviano Roberto Samanez, e una giovane matricola in architettura molto pazza di San Paolo. Lì ci preparammo per l'esame finale di dottorato. L'appartamento era un attico, o mansarda, su via del Gonfalone, vicino a via Giulia, da cui si vedevano emergere cupole e campanili delle chiese dal mare dai tetti vicini, con piccioni e rondini per compagnia. Di fronte a noi c'era l'Oratorio del Gonfalone, o Santa Maria Annunziata, sconsacrato nel 1933, dove ogni 15 giorni si tenevano concerti per un'associazione di amanti della musica classica.

Andavamo spesso a piedi alla Pizzeria del Baffetto, allora molto modesta ma con un menù delizioso, di proprietà del Sig. Valpetti, in Via del Governo Vecchio. In recenti viaggi ho scoperto che adesso, con due punti vendita, è la seconda pizzeria più famosa di Roma. Questi sono i miei ultimi e piacevoli ricordi di Roma, dove vissi per tre anni, facendo un'esperienza molto diversa dalle visite turistiche che ho fatto in seguito. L'immersione nella cultura italiana mi ha fatto rivedere l'immagine di pragmatica efficienza degli anglosassoni, e ha fatto nascere in me l’orgoglio di essere un latino, persone sensibili, umane e pazze, ma anche molto creative. Agli italiani si deve in particolare la rivoluzione della scienza, della politica e delle arti, dopo la lunga notte medievale, oltre alla creazione del mondo moderno, fondato sulla razionalità e sull'umanesimo. La modernità non ha soddisfatto tutte le aspirazioni dell'umanità, ma la postmodernità non ha finora offerto una valida alternativa, e minaccia di farci tornare all'oscurantismo e alla barbarie.
Viva l'Italia!

Paulo Ormindo de Azevedo. Brasiliano di Salvador Bahia. E’ laureato in Architettura presso l'Università Federale di Bahia, UFBA, e con dottorato presso l'Università di Roma, La Sapienza, Professore ordinario presso la UFBA, in pensione, occupa il Seggio n. 2 della ALB-Accademia di Lettere di Bahia. In qualità di consulente dell'UNESCO, ha svolto numerose missioni in America Latina, nei Caraibi e nell'Africa lusofona. È membro del Comitato Scientifico della Red de Patrimonio Histórico-Cultural Iberoamericano ed ex membro dei seguenti Consigli: Nacional de Política Cultural, Consultivo do IPHAN, Arquitetura e Urbanismo do Brasil e Cultura da Bahia. È stato presidente del Departamento da Bahia do Instituto de Arquitetos do Brasil e realizzatore dell’ Inventário de Proteção do Acervo Cultural da Bahia (7 v.). Giornalista, con una rubrica quindicinale di architettura e urbanistica, è autore di libri, articoli e progetti di restauro e architettura contemporanea. Ha ricevuto i Premi Rodrigo M.F. de Andrade e Mário de Andrade, dell' Instituto do Patrimônio Histórico e Artístico Nacional, e Edgar Graef, do Instituto de Arquitetos do Brasil.
 

 
 Traduzione dal portoghese di Antonella Rita Roscilli
 
 
© SARAPEGBE.                                                          
E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione
-------------------------------------------------------------------------------


TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

Roma 70
por
Paulo Ormindo de Azevedo



                                                         

Com a publicação da Carta de Veneza, em 1964, criei um grande interesse em conhecer a experiência italiana de restauração de monumentos. Falei com o então presidente do IPHAN, Renato Soeiro, que me indicou o curso do ICCROM/UNESCO e me deu carta de apresentação para obter uma bolsa. O golpe militar no Brasil avançava, não se podia confiar em ninguém, sair à noite e se reunir com amigos e isso aumentava o meu desejo de sair do país. Consegui uma pequena bolsa do Ministério de Relações Exteriores da Itália e cheguei a Roma no final de 1968.

O cinema neorrealista italiano já havia passado e a imagem que eu tinha da Itália era de um país decadente, das chanchadas de Totó e Aldo Fabrizi, ou dos melodramas hollywoodianos com latin lovers canastrões e moças peitudas em lambretas. Alguns amigos me perguntavam por que eu não preferia ir para os Estados Unidos ou Inglaterra. O que me atraia na Itália era apenas sua teoria e prática de restauração.

Fora do Brasil, o mundo pegava fogo, com a revolução libertária dos jovens. Na Europa, naquele ano, ocorreu a Primavera de Praga e a revelação estudantil parisiense do Maio de 68. Os Beatles haviam estourado pouco antes, revolucionando a música e os costumes. Na França ocorria a Nouvelle Vague, com diretores jovens, como François Truffaut, Jean-Luc Godard, Alain Resnais, Agnes Varda, Claude Chabrol e Roger Vadin inovando o cinema. Nos Estados Unidos ocorria o auge do movimento hippie no Festival de Woodstock, em 1969, que reuniu 400 mil jovens, protestando contra a guerra do Vietnã, e a sociedade do consumo, no embalo de muita música e drogas. O movimento hippie pregava a paz, o amor livre, com a libertação da mulher pela pílula, e a volta à natureza, resumido na legenda: Paz e Amor.

Tudo isso se refletia na Itália, e foi para mim uma surpresa. Ainda se tocava nas rádios e TV, C'era um ragazzo che come me amava i Beatles e i Roling Stones...escrito por Franco Migliacci e interpretado por Gianni Morandi, que contava a história de um rapaz americano que sonhava ir para a Europa e é mandado para ao Vietnã, onde só ouvia rattatatata... rattatatata...,e morre em combate. Os hippies invadiam as praças, museus, trens e albergues. Ouvia-se também contestações, como a bela britânica Jane Birkin e feiíssimo Serge Gainsbourg, casados entre 68 e 80, cantando “Je t’aime moi non plus” (1968), onde um casal suspirava como se estivessem fazendo amor não muito convencional. A música foi censurada, mas depois liberada. A canção havia sido composta por Gainsburg para Brigitte Bardot, sua ex-amante, mas ela temeu o escândalo.

Outro casal que escandalizava a Itália era a jovem Romina Power, que havia pousado nua de costa com um enorme laço de fita na bunda, e o cantor Albano Carrisi. Ela era filha de Tyrone Power e da mexicana Linda Christian. Fazia sucesso sem polêmica na Itália um judeu grego, morador na França desde 1951, Georges Moustaki, que teve um caso com Edith Piaf, em 1958. Ele era o autor de Joseph, uma ode ao carpinteiro José, seu velho amigo - que poderia ter escolhido Sara ou Débora e nada teria lhe acontecido - mas preferiu a bela Maria, cujo filho com estranhas ideias tanto fez chorar Maria.

A minha viagem era também uma forma de me desvencilhar dos controles familiares. Quando cheguei me instalei na pensão Lima pagando com um adicional para tomar banho diariamente, na Via degli Zingari (ciganos), perto do Istituto Centrale di Restauro, na Via Cavour, onde parte das aulas seriam dadas. Levava alguns cartões de apresentação, inclusive um de Jorge Amado para Murilo Mendes e outro do meu professor Romano Galeffi na Escola de Belas Artes para sua família em Roma. Era final de ano, e Murilo Mendes pediu para deixar passar as festas para eu visitá-lo. Tentei umas duas vezes novo contato e desisti.

Quando liguei para a família Galeffi fui informado que ele estava em Roma e queria muito me ver, pois havia reservado um quarto na casa de uma senhora amiga, onde ficavam todos os bolsistas baianos. Não houve jeito de eu me desvencilhar daquele compromisso, que não havia solicitado. A 10.000 km de distância, não conseguia me libertar da Bahia. Passei algumas semanas lá, e consegui me transferir para o CIVIS, um centro de hospedagem do Ministério de Relações Exteriores, com instalações esportivas e programas culturais ótimos, em Ponte Milvio, próximo de sua sede e da Vila Olímpica.

A maioria das nossas aulas era no gélido térreo do Palazzo Venezia, na praça homônima, de cujo balcão Mussolini fazia seus comícios. No mesmo prédio funcionava a excelente Biblioteca de Arqueologia e História da Arte, onde eu aproveitava minhas horas vagas para me divertir. A outra biblioteca que frequentava era a do Vaticano. Tive naquele curso de especialização e no doutorado em La Sapienza como professores os grandes restauradores italianos do segundo pós- guerra, experiência que consolidaria a Teoria do Restauro Crítico: Guglielmo De Angelis d'Ossat, Pietro Gazzola, Roberto Pane, Renato Bonelli, Carlo Cheschi, Giuseppe Zander. Naqueles cursos fui contemporâneo de Giovanni Carbonara, hoje um dos mais conceituados teóricos do Restauro Crítico.

Devo a Pietro Gazzola a inspiração de fazer o Inventário de Proteção do Acervo Cultural da Bahia, em sete volumes. Gazolla era um nobre, produtor de um dos vinhos mais famosos de Piacenza, e um dos consultores da elevação e translado de 200 m do gigantesco templo de Abul Simbel no Egito (1964-68), com o enchimento da represa de Aswan. Outra de suas façanhas foi a preparação da explosão da Ponte Piedra, romana, em Verona. Depois de infrutíferas negociações com os generais alemães para evitar sua explosão, ele cadastrou e fotografou exaustivamente a ponte e numerou suas pedras, o que permitiu remontá-la, em 1957, numa das maiores operações de anastilose conhecidas.

Outro professor que muito me impressionou foi o arqueólogo Nino Lamboglia, defensor de recobrir com terra as cavas de exploração arqueológicas, depois de devidamente documentadas. Seus argumentos eram convincentes. Foi a estabilidade térmica e higroscópica da terra que conservou mosaicos romanos por 2.000 anos. Ele tinha razão. Os extensos mosaicos romanos da Villa del Casale, em Piazza Armerina, na Sicília, têm sofrido muito com a radiação solar e mudanças climáticas, depois que foram desenterrados e protegidos por uma cobertura de acrílico (1957-1963) projetada por outro nosso professor, Franco Minissi, com orientação do papa do Restauro Crítico, Cesare Brandi.

Visitei o sítio naquela época. Eram muito engenhosas as passarelas de visitação elevadas sobre o que restou dos muros da antiga mansão e interessante a transparência dos barracões que as protegiam. Mas aquela cobertura em pouco tempo se deteriorou, expondo os mosaicos às intempéries. Soube que foram feitas novas coberturas, que não conheço. Franco Minissi, que sempre trabalhou em sintonia com Brandi, tem projetos muito interessantes, mas seu experimentalismo sofreu alguns reveses, como no teatro grego do século 6º aC, Eraclea Minoa, em Agrigento, Sicília. Ali ele moldou em acrílico rígido um degrau conservado do teatro e o reproduziu e aplicou em todo o teatro já muito deteriorado. O teatro voltou a ter uso social durante alguns anos, mas estudos mostraram que abafada a pedra começava a ser atacada por liquens e fungos e a instalação foi desmontada.

Roma tinha então uma vida cultural e boêmia muito intensa, com exposições, concertos e peças teatrais. Assisti notáveis conferências, como as do historiador e crítico de arte Giulio Carlo Argan, mais tarde prefeito e senador por Roma, e do designer Tómas Maldonado, um dos baluartes da Escola de Ulm. Uma vez vi na Via del Corso Jean-Paul Sartre, com suas lentes de fundo de garrafa, caminhando com intelectuais amigos. Sou bom fisionomista, modéstia à parte. Cinecittà havia se transformado na Hollywood do Tevere, com Sergio Leone difundindo o Spaghetti Western. Na Piazza Colonna um cartaz de seu “Era uma vez no Oeste” cobria toda a fachada de um edifício de quatro andares com a belíssima Claudia Cardinale, Henry Fonda e Charles Bronson como atores. À sombra de uma das embaixadas mais ricas do mundo, o Palazzo Doria Pamphili, do Brasil, na Piazza Navona, se podiam ver os maiores atores e divas do cinema americano bebericando e comendo em seus restaurantes cercados de paparazzi.

Meu cotidiano era assistir às aulas, almoçar num dos pequenos restaurantes familiares proximos, onde um almoço com entrada, prato principal regado por um quarto de bom vinho e sobremesa de fruta ou queijo custava o equivalente a um dólar. Nos fins de tarde ia com os colegas à Birreria Peroni, na via Santissimi Apostoli, perto da Piazza Venezia, onde se servia vários tipos de cervejas e como tira-gosto o goulash húngaro. À noite fui muitas vezes ao cine-teatro Metropolitan, da família do diretor Roberto Rossellini, na Via del Corso, perto da Piazza del Populo, que no verão abria o teto e parava no meio da exibição para os espectadores fumarem enquanto trocavam os rolos das películas.

Naquela época fazia grande sucesso o belo filme de Michelangelo Antonioni Blow up, com a mesma Jane Birkin, a história de um fotógrafo que ao revelar seu filme descobre um assassino. O filme provocou uma coqueluche pelas máquinas Nikon. Comprei a minha primeira, a preço módico, na loja do Sr. Tonel, na Via dei Cavalieri, que recebia o material através de um postigo do Vaticano. Aliás, na monumental igreja de São Pedro, cuja construção foi financiada pela venda de indulgências plenárias, uma das razões da cisão luterana, me sentia na própria Roma Imperial, vendo Paulo VI passar num andor e ser saudado: Ave Papa!

Senti mais próximo o compromisso da Igreja Católica com o poder econômico e famílias nobres italianas quando visitei Frascati para degustar vinhos e embutidos e me assustei ao ver o gigantesco e luxuoso palácio Villa Aldobrandini, de propriedade do cardeal homônimo, construído entre 1598 e 1602, sob projeto do arquiteto Giacomo della Porta.   

Nos fins de semana eu e colegas alugávamos um carro para conhecermos a Itália. Seria tedioso relatar aqui todas essas experiências. Vou me concentrar na visita a Veneza. Hospedei-me num hostal na ilha Giudecca, antigo bairro judeu, separado por um canal de 300 m de largura de Veneza, por onde passavam enormes navios de cruzeiro, mas servida pelo vaporeto. O impacto dessa primeira visita foi enorme, não pela surpresa da beleza dessa cidade medieval, tão alardeadamente condenada à morte porque construída sobre estacas centenárias de madeira e condições ambientais adversas, mas pela sua modernidade.

Sim, era a primeira vez que eu via uma cidade com a separação absoluta entre veículos e pedestres. Caminhar por aquela cidade, saltando canais por graciosas pontes para chegar a outra pequena praça, ou campo, sem o sobressalto de ser atropelado, ou ter que esperar o semáforo fechar para atravessar uma via, era um prazer indescritível. Cheguei a dizer: no futuro, todas as cidades serão como Veneza.

Depois de seis meses em Lisboa para complementar a minha tese de doutorado voltei a Roma e compartilhei um pequeno apartamento com um colega de especialização e doutorado em La Sapienza, o peruano Roberto Samanez, e um calouro de arquitetura paulistano, muito louco. Ali nos preparamos para o exame final de doutorado. O apartamento era um ático, ou água furtada, na Via del Gonfalone, perto da via Giulia, de onde se via cúpulas e torres de igrejas emergindo do mar de telhados vizinhos, tendo como companhia pombos e andorinhas.  Na nossa frente ficava o Oratorio del Gonfalone, ou de Santa Maria Annunziata, desconsagrado em 1933, onde se realizavam, a cada 15 dias, concertos para uma
associação de amantes da música clássica. 

Com frequência íamos caminhando a Pizzaria del Baffetto (bigodinho), então muito modesta mas de cardápio delicioso, do Sr. Valpetti, na Via del Governo Vecchio. Em viagens recentes descobri que é hoje, com duas lojas, a segunda mais famosa pizzaria de Roma.  Estas foram as minhas últimas e mais aprazíveis lembranças de Roma, onde morei durante três anos, uma experiência muito diferente das visitas turísticas que fiz depois. A imersão na cultura italiana me fez rever a imagem de eficiência pragmática dos anglo-saxões e criar orgulho de ser latino,  gente sensível, humana e louca, mas também muito criativa. A revolução da ciência, da política e das artes, depois da longa noite medieval, e a criação do mundo moderno, fundado na racionalidade e no humanismo, se deve em especial aos italianos. A Modernidade não atendeu a todos os anseios da humanidade, mas a Pós-Modernidade não ofereceu, até agora, uma alternativa válida, e nos ameaça com a volta ao obscurantismo e à barbárie.
Viva a Itália!


 
 
© SARAPEGBE.                                                          
E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione
Traduzione dal portoghese di A.R.R.
Paulo Ormindo de Azevedo. Brasileiro de Salvador Bahia. E’ arquiteto pela Universidade Federal da Bahia, UFBA, doutor pela Universidade de Roma, La Sapienza, Professor Titular da UFBA,aposentado, e ocupa a Cadeira 2 da Academia de Letras da Bahia. Como consultor da UNESCO realizou numerosas missões na América Latina, Caribe e África Lusófona. É membro do Comitê Científico da Red de Patrimonio Histórico-Cultural Iberoamericano e  antigo membro dos conselhos: Nacional de Política Cultural, Consultivo do IPHAN, Arquitetura e Urbanismo do Brasil e Cultura da Bahia. Foi presidente do Departamento da Bahia do Instituto de Arquitetos do Brasil e realizador do Inventário de Proteção do Acervo Cultural da Bahia (7 v.). É jornalista com coluna quinzenal sobre arquitetura e urbanismo e autor de livros, artigos e projetos de restauração e arquitetura contemporânea. Recebeu os prêmios Rodrigo M.F. de Andrade e Mário de Andrade, do Instituto do Patrimônio Histórico e Artístico Nacional, e Edgar Graef, do Instituto de Arquitetos do Brasil.