La scoperta del Brasile di Lina Bo Bardi
Paulo Ormindo de Azevedo
Lina Bo Bardi, Glauber Rocha (accovacciato), Sante Scaldaferri (secondo a destra), Geraldo Del Rey (a destra con la mano sul mento), Paulo Gil Soares, (primo a sinistra), e l'équipe tecnica del film brasiliano "Deus e o Diabo na Terra do Sol" a Monte Santo, Bahia, 1963. Archivio Personale di Sante Scaldaferri.
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)

All'inizio del 1958, l'architetta italiana Lina Bo Bardi si recò a Bahia per insegnare Teoria e Filosofia dell'Architettura, per partecipare al concorso per la Facoltà di Architettura dell'Università di São Paulo, FAU-USP, alla quale era iscritta[1]. Lina aveva perso il diploma e altri documenti a Milano, a causa del bombardamento degli Alleati nella II Guerra Mondiale. Bahia stava vivendo il boom del petrolio e un grande movimento culturale, che sarebbe stato istituzionalizzato dal rettore Edgar Santos della nuova Università Federale di Bahia, UFBA. Edgar Santos fondò i Seminari di Musica, coordinati dal tedesco Joachin Koellreutter, la Scuola di Danza diretta dalla polacca Yanka Rudzka, e la Scuola di Teatro guidata da Martin Gonçalves, dove nacque il “cinema novo” baiano[2]. Questi gruppi si esibivano anche nel sud del paese e all'epoca era la moda nazionale. Questo deve aver avuto un significato per Donna Lina (così veniva chiamata) nella scelta di fare una esperienza a Bahia.

La sua visita a Salvador venne organizzata da Odorico Tavares, Direttore dei Diários Associados na Bahia, di proprietà di Assis Chateaubriand, al quale lei e suo marito, Pietro Maria Bardi, erano legati nel progetto del Museo d'Arte di San Paolo, MASP. Realizzò due Lectiones Magistrales alla facoltà di Architettura della Scuola di Belle Arti della UFBA, davanti ad un folto pubblico di artisti e intellettuali, tra cui Martim Gonçalves e i giovani registi Glauber Rocha e Paulo Gil Soares, dal momento che era già nota per i suoi provocatori articoli sulla rivista Habitat e per il successo della sua residenza, la famosa Casa de Vidro, a Morumbi, San Paolo.

Per il concorso, oltre a Donna Lina, si erano iscritti Eduardo Corona, José Vicente Vicari, Luís Saia e Miguel Badra Jr., ma l’unica candidatura a non essere accettata fu quella di Donna Lina, motivandola col fatto che non aveva presentato il Diploma di Architettura, nonostante lei avesse allegato copia della sua iscrizione al Consiglio Regionale di Architettura e Ingegneria di San Paolo, CREA-SP. Lina ricorse alla Giustizia e il concorso fu temporaneamente sospeso per essere, infine, annullato, nel 1962[3]. In effetti, la sospensione avvenne perché Lina Bo Bardi e Luiz Saia erano nomi di sinistra, che potevano disturbare la quiete della Facoltà alla moda, nel quartiere chic di Higienópolis.

Dopo quella presentazione, il professor Diógenes Rebouças, probabilmente su richiesta di Odorico Tavares, suo amico, chiese alla direzione della Scuola di Belle Arti di assumerla come sua assistente in Teoria e Filosofia dell'Architettura, nel secondo semestre dello stesso anno. Insegnava quella disciplina a malincuore e le passò l'intero corso, senza frequentare nemmeno uno dei suoi corsi. Odorico Tavares non nascose il desiderio di creare un organismo come il MASP a Bahia, per promuovere gli artisti locali e la propria collezione. Lina stava attraversando una crisi matrimoniale e il suo trasferimento a Bahia fu anche un modo per uscire dall'ombra del MASP, identificato con lui e con Assis Chateaubriand, e per desiderio di affermazione professionale[4]. A quel tempo il suo biglietto da visita leggeva solo Lina Bo.

Ebbi il privilegio di essere uno dei suoi studenti in quel corso. Lina visse una grande trasformazione culturale negli anni in cui visse a Bahia. Fino ad allora, le sue opere furono fortemente influenzate dai modernisti, in particolare da Mies van der Rohe, che a sua volta si rispecchiava nella scuola idealista tedesca di Kant, Hegel e Schiling, con la sua estetica minimalista, le forme geometriche pure e la verità strutturale e materica. Nella sua tesi Contribuição Propedêutica ao Ensino da Teoria da Arquitetura [5] per la FAU-USP e nelle sue lezioni, elogiava il lavoro di Mies van der Rohe. Questa influenza è evidente nel progetto non costruito per il Museu à Beira do Oceano[6], sulla spiaggia di Itararé a São Vicente, nel 1951, nella sua Casa de Vidro [7], e nel nuovo MASP, i cui primi studi risalgono al 1957[8]. Nel design, questa influenza può essere ammirata nella famosa poltrona Bardi's Bowl a forma di perfetta conchiglia semisferica, del 1951.

Due anni prima di trasferirsi a Bahia, Lina era andata a Barcellona ​​con Pietro Bardi, ed era rimasta sorpresa dalla capacità di Gaudí di conciliare l'innovazione modernizzante con la tradizione e la cultura popolare, cose che erano tabù per i modernisti iconoclasti. Riportò dozzine di diapositive che ci mostrava commentandole. L'influenza dell'opera di Gaudí può essere vista nella Casa Valéria Cirell (1957) ricoperta di cocci di stoviglie, ciottoli e conchiglie, poi più esplicitamente nella Casa do Chame-Chame[9] a Salvador (1964) sviluppata attorno a un albero, e anche nei giardini del XIX secolo a Bahia. Una casa curiosamente appartenuta al professore e avvocato Rubens Nogueira, uno dei fondatori del Partito Integralista filofascista a Bahia.

In contatto con la cultura popolare baiana, Lina iniziò a rivedere il suo allineamento con i modernisti, adottando una visione dell'arte più gramsciana e impegnata, in contrasto con il formalismo modernista canonico. Una tendenza già delineata nella sua tesi per il concorso alla FAU-USP, nel 1957. In Italia, Lina aveva aderito al Partito Comunista nella lotta contro la dittatura fascista, il che non le aveva impedito di sposare Pietro Maria Bardi, un ricco mercante d'arte amico di Mussolini, e di accompagnarlo nella sua fuga in Sud America, portando con sé un tesoro dell'arte italiana, dopo la caduta del fascismo.

A San Paolo, Donna Lina viveva in un ambiente altamente borghese formato da immigrati italiani ricchi ma rozzi, e i Diários Associados di Assis Chateaubriand, che in Brasile aveva più potere del magnate della stampa americana William Randolph Hearst, protagonista del film Cidadão Kane di Orson Welles. Lina, bella e molto elegante, sfilava ai balli di beneficenza e di carnevale indossando abiti e gioielli costosissimi, come per esempio una collana con una enorme acquamarina, disegnata da lei stessa. Con ugual fascino posava per riviste di architettura, decorazione e moda.

Chateaubriand e i Bardi a San Paolo vennero presi di mira soprattutto dai maggiori giornali locali e dal commendatore Ciccillo Matarazzo, presidente del Museo d'Arte Moderna di San Paolo-MAM, che non voleva la concorrenza dei Diários Associados e del MASP, e i metodi di Chateaubriand di estorcere uomini d'affari locali per acquistare dipinti in Europa per il suo museo[10].  In un dibattito pubblico, Bardi fu definito in senso peggiorativo  un carcamano. Lina viveva isolata in una colonia italiana, cosa che non le piaceva, ma che in qualche modo la proteggeva.

A Salvador iniziò a vivere modestamente in una stanza dell'Hotel da Bahia, con lo stipendio di direttore di un museo statale, girando per mostre ed eventi tra Campo Grande, Passeio Público e Corredor da Vitória. Dieci anni dopo essere arrivata dall'Italia, Lina scoprì il Brasile a contatto con la cultura popolare baiana e del nordest. Se ne innamorò. Fu come tornare al suo passato e agli anni duri della seconda guerra mondiale. Lina venne accolta molto bene dagli artisti dell'élite baiana, che condividevano il progetto di Odorico Tavares di creare un museo/galleria d'arte a Bahia. Il gruppo era composto dallo scultore Mário Cravo Jr., dai pittori Carlos Bastos, Jenner Augusto e Sante Scaldaferri, dall'artista tessitore e tappezziere Genaro de Carvalho, dal disegnatore e incisore Carybé e dal fotografo Pierre Verger. In seguito, il gruppo ricevette il sostegno di Jorge Amado, più precisamente quando lui tornò dall'esilio e tornò ad abitare a Salvador.

Questo gruppo di artisti, con attività complementari, era molto unito e strutturato commercialmente. C'era il critico d'arte e collezionista, Odorico Tavares, direttore di due giornali, radio e televisione per i Diários Associados; la galleria d'arte Oxumaré, e il banchiere portoghese Antônio Celestino che finanziava la vendita delle sue opere. Emarginarono gli artisti più giovani, guidati dal professor Juarez Paraíso, perché quello che volevano, con una copia del MASP a Bahia, era la consacrazione delle loro opere.

Capitanati da Odorico Tavares e Mário Cravo Jr. andarono dal governatore Juracy Magalhães e gli chiesero di creare il Museo di Arte Moderna di Bahia: il MAMB. Mário Cravo Jr. aveva molta forza, poiché suo padre era un leader politico dell’interno dello stato di Bahia, amico intimo di Juracy Magalhães sin dalla dittatura di Vargas, e grande fazendeiro e industriale del Café Cravo.

Il MAMB venne quindi fondato nel luglio 1959. Il consiglio di amministrazione era formato da Donna Lavínia Magalhães, moglie del governatore e dal suo presidente, Odorico Tavares, Assis Chateaubriand, Mário Cravo Jr, Jorge Amado e il rettore dell'UFBA, Edgar Santos. Mário riuscì a collocare suo cognato, Renato Ferraz, in un posto chiave, come segretario esecutivo del Consiglio[11]. Proposero al governatore di assumere Lina Bo Bardi per dirigere il nuovo museo. Nella sua presentazione a Juracy Magalhães, avrebbe detto: "Ho il grande onore di incontrare non solo il governatore dello Stato di Bahia, ma soprattutto il coraggioso luogotenente della Rivoluzione degli anni '30". Così lei lo conquistò. In questa prima fase, Odorico, Mário e Renato aiutarono molto Donna Lina.

Lina in classe criticava le condizioni storiche e le implicazioni sociali dei movimenti artistici in Europa e Brasile, e il rapporto tra arte, design e architettura. Critica d'arte e design furono le sue prime attività in Italia, lavorava nello studio di Gio Ponti,nella rivista Domus e poi, con il collega Bruno Zevi, fondò la rivista A - Cultura della Vita[12]. A San Paolo riprodusse queste attività, fondò con il marito la rivista Habitat, e con Giancarlo Palanti, Verônica Piacentini Cirell e il marito lo Studio de Arte e Arquitetura Parma, dove lei e Giancarlo Palanti disegnavano e producevano sedie in compensato e pelle, commercializzate col “fai da te”.

Grazie alla passione per il design, fondò e diresse il Corso di Disegno Industriale presso l'Istituto de Arte Contemporânea, IAC (1951/53), braccio del MASP, che riuniva i principali designers, architetti e paesaggisti brasiliani. A Salvador ripeté sia la traiettoria professionale italiana che quella  di San Paolo. La sua attività critica proseguì con una rubrica domenicale sul quotidiano Diário de Notícias, dei Diários Associados, con il design nella produzione di mobili fatti a mano al MAMB e, successivamente, al Museu do Unhão.

A Lina fu affidato il compito di realizzare un museo che non aveva collezione, una piccola sede e un budget ridotto, ma strategicamente posizionato nel centro della città. In quel momento applicò  per la prima volta concetti che aveva imparato in Brasile, l’arte dell’arrangiarsi e l’improvvisazione. Non nel senso volgare del termine, come assenza di pianificazione, cosa che lei criticava, ma come accade nella musica, una variante o creazione spontanea durante l'esecuzione di un brano musicale, come nello chorinho, nel samba-de-breque e nel teatro. Con sede nel foyer del Teatro Castro Alves, TCA, uscito illeso dal sospetto incendio avvenuto un anno prima, creò un auditorium sulla rampa di accesso al pubblico, che era stato solo bruciacchiata. Le lezioni di Donna Lina erano teatrali, con diapositive colorate, rare all'epoca, caricature, dibattiti e provocazioni. Ero lo studente che più parlava con lei. Mostrava caricature sarcastiche dei costumi, dell'architettura e del design di Saul Steinberg, un ebreo rumeno in esilio, che studiava architettura al Politecnico di Milano, dove lei si era trasferita dopo la laurea. Steinberg diventò uno dei più grandi caricaturisti del 20° secolo, lavorando per riviste come il New Yorker, Life, Time e Harper's Bazaar, già in esilio negli USA con l'avanzata del fascismo italiano[13].

Ricordo bene una delle sue caricature che mostrava il lavoro di ingegneri con ricche decorazioni, come la Torre Eiffel, e di architetti che imitavano navi e macchine, come proposto dai futuristi e Le Corbusier, con la sua macchina vivente. Lina era una sua amica, tanto che nel 1952 promosse il viaggio di lui e della moglie a San Paolo per una mostra al MASP. Li ospitò e li accompagnò a San Paolo e a Rio de Janeiro.
Come compito di casa, Lina ci faceva commentare i testi da lei distribuiti, sollevare e segnare sedie, tavoli e armadi, per familiarizzare con le loro dimensioni e con le relazioni spaziali. Le devo l'osservazione sistematica dell'architettura su scala più ampia, del volume e degli spazi interni; media, scale e mobili; e micro, di dettagli[14]. Era disincantata dalle direzioni consumistiche che il design aveva preso. Derideva le auto zoomorfe americane dell'epoca, come la Cadillac con la coda di pesce e la Chevrolet con l'ala posteriore di un pipistrello.

Lei invece considerava perfetta la jeep da guerra americana, ovvero completamente spoglia. La rotondità del dopoguerra testimonia la decadenza del design. A proposito di quello che secondo lei il design dovrebbe essere oggi, nel 1980 scrisse l'articolo Tempos de grossura: o design no impasse, che diede il titolo a un'antologia di testi di diversi autori sull'argomento, pubblicata postuma nel 1994[15] .
Il suo intervento principale al TCA è stato il rivestimento e la chiusura della rampa di accesso al pubblico, trasformandola in un auditorium con file di sedie con struttura a travi segate e sedili e schienali in pelle grezza. Per la sua inaugurazione, Bardi venne a Salvador. Questa sarebbe stata la sua unica visita a Bahia e sua moglie in cinque anni. Il museo non disponeva di una collezione e così realizzava mostre didattiche con grandi pannelli di ritagli di riviste e libri d'arte, integrati da commenti a mano libera e illustrati con alcuni dipinti di collezioni private. Bardi inviò alcuni pezzi del MASP a queste mostre. Non avevano litigato, erano solo separati.

Viveva in una stanza d'albergo e si avvicinò allo studio di progettazione architettonica di Ronald Lago. Dopo alcuni mesi di lavoro, stanco di rifare più volte gli stessi disegni da lei richiesti, Ronald chiamò Alberto Hoisel, Guarany Araripe e Carlos Campos, suoi compagni studenti di architettura, i quali avevano uno studio dello stesso genere, e chiese loro se fossero disposti a disegnare i progetti di Donna Lina. Avrebbe sviluppato i suoi progetti nel loro studio, mentre viveva a Salvador[16].

Mentre Bardi era in un tour senza fine con la collezione MASP in Europa e negli Stati Uniti, la Diários Associados fece pressione sul MASP affinchè lasciasse la sua sede in Rua 7 de Abril, a San Paolo. Allora Lina cercò il Segretario ai Lavori della città, lo strutturalista João Carlos Figueiredo Ferraz, per individuare una via d'uscita. La soluzione consensuale fu l'area dell'ex Belvedere Trianon, sull'Avenida Paulista, demolita nel 1951, dove si era tenuta la Prima Bienal de Artes de São Paulo. Era un posto bellissimo, con vista sul centro città attraverso la valle dell'Anhangabaú e dall'altro lato sulla foresta del Parco Siqueira Campos. Per quel luogo era stato indetto un concorso privato, vinto da Affonso Eduardo Reidy, ma mai proseguito, e con progetto dello stesso comune.  Donna Lina perciò preparò un progetto preliminare per impiantare la sede del MASP proprio in quella località: L’audace struttura del suo progetto entusiasmò lo strutturalista e segretario comunale, pur confessando di non avere le risorse per realizzarlo.

Quando Bardi tornò dall'estero, disse che era solo il sogno di una donna. Quella delusione fu la goccia che fece traboccare il vaso nella loro relazione. Così Lina ripartì per Bahia, mentre Bardi trasferì la collezione MASP nella sede della Fundação Armando Álvares Penteado, FAAP, ancora in costruzione. Il sindaco e candidato alla Presidenza della Repubblica, Adhemar de Barros, desiderando l'appoggio dei Diários Associados, nell'aprile 1959 aprì una gara per la costruzione del MASP nel Trianon, ma senza un progetto definito. In disaccordo con la FAAP e la collezione MASP che subiva gli effetti dei lavori, Bardi decise di sostenere il progetto preliminare di Lina, che sarebbe stato approvato nel gennaio 1960 e nel luglio dello stesso anno iniziò la costruzione dei suoi quattro pilastri. Poco dopo, con la vittoria di Jânio Quadros alla presidenza, i lavori furono bloccati.

A quel tempo, Donna Lina era a Bahia a dirigere il MAMB e non voleva tornare a San Paolo. Questa sospensione fu provvidenziale. Il progetto esecutivo MASP venne attentamente sviluppato in tre anni nello studio di giovani architetti bahiani, con la consulenza in acustica, illuminazione e installazioni elettriche e idrauliche dell'ingegnere e architetto Olavo Fonseca[17]. I 74 m. di vano libero dei suoi due portici in cemento precompresso, calcolato da João Carlos Figueiredo Ferraz, erano dovuti non solo al fatto di voler preservare il belvedere, ma anche per evitare sovraccarichi nelle due gallerie dell'Avenida 9 luglio che passavano sotto. Il neo laureato architetto Alberto Hoisel dello studio PROURB si recò a San Paolo almeno due volte per rendere il progetto architettonico compatibile con il progetto strutturale e di condizionamento lì sviluppato. I lavori sarebbero ripresi solo nel 1965, quando Donna Lina era già tornata a San Paolo.

Il progetto originario era una scatola cieca, così com’era la concezione museologica dell'epoca, sospesa da due giganteschi portici[18]. Dona Lina salendo sul museo in costruzione, a otto metri di altezza rispetto all'Av. Paulista, rimase abbagliata dal paesaggio. Così decise di eliminare le pareti esterne in mattoni di cemento, e di sostituirle con pannelli di vetro in cornici malleabili per assorbire le oscillazioni del portico, inaugurando un nuovo concetto di museo d'arte integrato nel paesaggio urbano e senza divisioni interne[19].

Aveva già proposto una soluzione simile al Museu à Beira do Oceano, a São Vicente, e aveva sentito l'effetto positivo dell'integrazione di un museo d'arte con la vita urbana, quando il MAMB funzionava nel foyer vetrato del TCA. Cambiò anche la bella scala elicoidale del diametro di dieci metri, che doveva collegare il piano terra ai due piani superiori del MASP per motivi strutturali. Queste erano le improvvisazioni e arrangiamenti durante l'esecuzione, come avviene in alcuni brani musicali.
Donna Lina non potette continuare ad insegnare nel Corso di Architettura della Scuola di Belle Arti della UFBA a causa delle pressioni esercitate contro di lei da due professori conservatori, il filosofo italiano Romano Galeffi[20], professore di Estetica, ex studente e seguace di Benedetto Croce, il quale temeva che lei gli rubasse il posto nel concorso per libero docente cui intendeva candidarsi, e il professore di Storia dell'Architettura, l'ing. Américo Simas Filho, che non amava le donne che contestavano i “buoni costumi”[21]. Il direttore della scuola, il pittore Mendonça Filho, difese il prolungamento del contratto di
Lina, ma Rebouças, amico di Romano e Memeco, preferirono  non farsi coinvolgere nella rissa.

Di fronte al rifiuto dell'Escola de Belas Artes, Lina rafforzò il suo rapporto con la Scuola di Teatro, di proprietà di Martim Gonçalves, e mise in scena l'Opera da Tre Soldi di Bertold Brecht, sul palco bruciato del TCA. Per questo spettacolo, oltre alle scenografie, Donna Lina improvvisò una gradinata staccabile fatta di assi, come quella usata nei circhi. Su questo stesso palcoscenico, sei mesi dopo, disegnò l'architettura scenica dell'opera teatrale Caligola, di Albert Camus. Stava nascendo quello che poi avrebbe chiamato teatro e architettura povera.

Alla Scuola di Teatro, Lina si avvicinò ai giovani registi Glauber Rocha e Paulo Gil Soares interessati a registrare la cultura popolare nell'entroterra di Bahia. Con loro e con Mário Cravo Jr. visitò l'entroterra di tutto il Nordest e seguì le riprese del film “Deus e o Diabo na Terra do Sol”, di Glauber Rocha, nella caatinga[22] di Monte Santo.

Per mostrare all'élite intellettuale piccolo-borghese del Centro-Sud la forza e la diversità della cultura del sertão di Bahia, come aveva fatto Euclides da Cunha mezzo secolo prima, tenne la mostra “Bahia no Ibirapuera”, durante la V Biennale di San Paolo del 1959. Quattro anni dopo, ampliò questa mostra con l’esposizione “Nordeste”, al Solar do Unhão, di recente apertura. Nel 1969 ampliò ulteriormente questa visione con la mostra “A Mão do Povo Brasileiro”, al nuovo MASP.

Vivendo intensamente questo Brasile profondo, Lina rivide il suo modo di fare architettura e design nel sottosviluppo, assumendo come ideologia l'esperienza del teatro e dell'architettura povera. L'espressione più emblematica di questo disegno povero, che si ostinava a pubblicizzare, è la Cadeira à beira da estrada, del 1962, un treppiede fatto di bastoncini di cespuglio legati con corde di sisal[23], in netto contrasto con la Bardi's Bowl. Il suo equivalente architettonico è la Chiesa francescana di Espírito Santo do Cerrado, a Uberlândia, Minas Gerais, costruita passo dopo passo dalla comunità stessa, tra il 1976 e il 1982[24].

Con l'obiettivo di liberare le vite aride del Nordest, ideò il Museo Scuola di Arte Popolare di Bahia.  Convinse il governatore Juracy Magalhães ad espropriare il complesso agroindustriale abbandonato del XVIII secolo, Solar do Unhão, segnato dall’ IPHAN, ma minacciato di essere investito dall'Avenica de Contorno o dato alle fiamme dalle piccole officine e fabbriche che lo occupavano. Questo fu un altro progetto sviluppato da giovani architetti baiani dello studio PROURB. Tra la fine del 1962 e l'inizio del 1963, 150 operai realizzarono l’opera architettonica di buona lena perché il governatore Juracy Magalhães voleva inaugurarla prima della fine del suo governo, prevista nel mese di aprile.

A quell'epoca io svolgevo la mia professione di architetto presso l' IPHAN e venni incaricato di supervisionare la costruzione della casa padronale. Chiesi incontri con i suoi tecnici e maggiori studi sulla storia del monumento e dei suoi annessi, molti dei quali originali, ma Donna Lina non rispose, impaziente di inaugurare l’opera, e ordinò di proseguire i lavori, facendo demolire alcuni annessi senza previa udienza dell'IPHAN, al fine di creare una piazza sul mare[25].

Laureata nel 1939 presso la Facoltà di Architettura all'Università La Sapienza di Roma, Lina fu allieva di Gustavo Giovannoni che diresse quella Facoltà tra il 1927 e il 1935. Giovannoni, ministro di Mussolini e principale autore della Carta di Atene del 1931, difendeva il Restauro Scientifico, concepito come un ripristino con tecniche moderne, che Lina criticava perchè non teneva conto delle esigenze della società e della creatività del restauratore: Pertanto, se crediamo che tutto ciò che è vecchio debba essere preservato,la città diventerebbe un museo di rovine. In un intervento di restauro architettonico é necessario creare e fare una rigorosa selezione del passato. Il risultato è quello che chiamiamo presente storico. 6].

Nei primi anni Sessanta Lina fu precurtrice di interventi contemporanei sui monumenti storici. Il suo grande contributo al Solar do Unhão fu la scala elicoidale in legno, che venne ispirata dalla formula di Gaudí per il design d'avanguardia con tecniche tradizionali, in questo caso la falegnameria di presse per mandioca, carri trainati da buoi e zattere nel nord-est. Su questa scala ed alre avrebbe dichiarato:    
Le scale hanno sempre affascinato l'uomo. Le grandi scale delle città, le scale dei troni, dei templi [...] sono un elemento affascinante, e come architetto sono sempre stata affascinata dalle idee di una scala. Non ho mai preso una scala come elemento pratico, per salire da un livello all'altro.[27].
                                                         
                                                          Scala del MAMB-Salvador Bahia
Ma la sua scala scultorea e bella non era compatibile con il concetto di Restauro Scientifico allora in vigore all'IPHAN. Al culmine del suo prestigio professionale e politico presso il governatore, non avrebbe accettato le richieste di uno dei suoi ex studenti, anche se sostenute dall'IPHAN nazionale. Ciò generò tensione tra l' IPHAN e l'architetta. La carta bianca inviatale dal dr. Lucio Costa fu come “pioggia sul bagnato”, dopo il fatto compiuto. Era il modo dell' IPHAN di riconciliarsi con la famosa architetta[28]. Il restauro dell’ Unhão fu esclusivamente opera di Donna Lina, senza interferenza alcuna dell’ IPHAN.

Nel 1961 i militari si adirarono con Donna Lina quando lei decise di collocare una grande scultura di Mário Cravo Jr. che rappresenta Antônio Conselheiro con le braccia alzate, mentre gridava al cielo contro il massacro di 5.000 dei suoi seguaci da parte dell'esercito brasiliano, a Canudos. Per vendetta, costruirono il Monumento agli Eroi di Canudos, nello spazio esterno del Forte de São Pedro, accanto al museo, e requisirono il foyer del TCA, sede del MAMB, per la solenne inaugurazione del Centro de Preparação dos Oficiais da Reserva, CPOR. Lina si appellò al governatore Juracy Magalhães che riusciì a dissuadere i suoi colleghi in uniforme, ma il rancore rimase.

Riaperto a metà del 1963, il Solar do Unhão doveva ospitare il MAMB e il nuovo Museo di Arte Popolare. Ma Donna Lina non volle chiudere la mostra d'arte nel foyer del TCA, a causa della sua grande accessibilità e visibilità. Il Museo d'Arte Popolare ebbe vita breve, praticamente vi fu solo una  mostra, la già citata “Nordest”. La sua collezione consisteva in pezzi che aveva raccolto nell'entroterra di Bahia, tra cui alcune carrancas[29] di barche sul Rio São Francisco, e pezzi acquisiti alle fiere popolari nel Ceará da Lívio Xavier, direttore del Museo d'Arte dell'Universidade Federal Cearense. Erano manufatti di valore più etnografico che artistico, che lei chiamava pre-artigianato, come amache, pestelli, abbeveratoi, torchi per mandioca, gabbiole, fifós[30], giocattoli di latta, caxixis[31], cesti e carte veline di pizzo che servivano da stampino per decorare torte alla cannella. Lina evitò il termine folklore, che letteralmente significa “sapere popolare”, perché all'epoca la parola aveva una connotazione peggiorativa di oggetti e riti adulterati dall'industria del turismo. Il suo progetto aveva obiettivi educativi e di sviluppo. Insieme al museo, volle creare il Centro de Estudos do Pré-Artesanato e sua Conversão em Desenho Industrial, in linea con la creazione della Soprintendenza allo Sviluppo del Nordest, SUDENE[32]. Ma il colpo di stato del marzo 1964 interruppe tutto.

Il gruppo di artisti guidato da Odorico Tavares e Mário Cravo Jr., che Donna Lina chiamava “la chiesetta”, non accettava che si occupasse sempre più dell'arte popolare, del teatro e del cinema, a discapito del progetto di un museo/galleria di Arte moderna. Iniziarono una campagna per il controllo del MAMB, che sarebbe esplosa con l'inaugurazione del Museo d'Arte Popolare[33]. Questo è il quadro delle ostilità che dovette affrontare da parte dell'élite culturale bahiana, e che vengono descritte nel suo famoso articolo “Cinco anos entre os brancos“[34].

Al momento del colpo di stato del 1964, i militari, con l'appoggio del nuovo governatore Lomanto Júnior, le inviarono nuovamente una lettera chiedendo di liberare il foyer del TCA, ancora occupato dal MAMB, per allestire la “Exposição da Subversão”. Senza avere l'appoggio del governatore e degli artisti baiani, mandò Sante Scaldaferri, suo assistente principale, a svuotare il foyer del TCA. Lui non solo rimosse la collezione MAMB, ma aiutò anche i militari a organizzare la “Exposição da Subversão”. Lina sapeva di non poter continuare a dirigere i due musei e si dimise, ma prima licenziò Sante Scaldaferri[35].

I militari rimossero la scultura di Antônio Conselheiro e occuparono il foyer del TCA con una ridicola mostra, con pubblicazioni del Centro Popular de Cultura, volantini della campagna di alfabetizzazione di Paulo Freire a Recife, ciclografi, pistole garruchas, spingarde e fucili. Mário Cravo Jr assunse la direzione del MAMB, già installato nel Solar do Unhão, smantellò la mostra permanente al Museo di Arte Popolare e due anni dopo nominò come suo successore suo cognato, Renato Ferraz. In seguito negò qualsiasi disputa con Donna Lina. Sante Scaldaferri disse che lei era stata ingrata con loro direbbe che è stata lei a essere loro ingrata[36]

Dopo aver lasciato Bahia, Lina andò in esilio in Italia temendo di essere arrestata per le sue posizioni di sinistra e i conflitti con i militari. Quando tornò non ebbe disagi, probabilmente dovuto all'interferenza dell'amico Gal. Juracy Magalhães era uno dei leader del colpo di stato del 1964 e in quel momento era ambasciatore del Brasile negli Stati Uniti. Ritornò alla Casa de Vidro di San Paolo, che era vuota perché Bardi era in Italia a preparare un libro.

In una lettera del 18 agosto 1964 Bardi le consigliava: Se posso darti un consiglio, non fare politica [...] La cultura è libera, Lina, non è impegnata. Il mondo deve essere trasformato poco a poco, non a scatti[37]. Lina si allontanò dall'attivismo politico/culturale, trascorrendo un "silenzio ossequioso" e una quarantena professionale di 13 anni, sebbene accompagnasse la costruzione della nuova sede del MASP, condizioni probabilmente negoziate con Gal. Juracy Magalhães per non essere deportata in Italia[38].
Ma, a quanto pare, Lina non rinunciò alla sua attività politica. Nel 1970, durante il periodo più duro della dittatura militare in Brasile, fu denunciata da un collega di sinistra, probabilmente sotto tortura, per aver nascosto nella sua abitazione, nel 1968, una riunione dei capi dei gruppi armati Aliança Libertadora Nacional, ALN , e Vanguarda Popular Revolucionaria, VPR, che comprendeva, tra gli altri, Carlos Marighella, ex deputato federale comunista costituente, guerrigliero, fondatore dell'ALN, che sarebbe stato ucciso dalla repressione l'anno successivo. Lina fuggì in Italia dove trascorse sette mesi come latitante, a causa del mandato d'arresto emesso nei suoi confronti dalla Polizia Federale.

Il 9 dicembre 1970 si presentò alla 2ª Armata accompagnata da un avvocato e diede una spiegazione poco convincente dell'episodio, dichiarando di aver risposto solo a una richiesta di una ex studentessa di Bardi al MASP, ma non sapeva chi erano le persone, né lei aveva partecipato a quella riunione iniziata alle ore 22.00 perché rimase in un’altra stanza ad ultimare i dettagli del progetto MASP, che doveva essere consegnato alle ore 08.00 della mattina seguente[39]. Una spiegazione che i militari avrebbero difficilmente accettato, se le non avesse avuto un padrino molto forte. Ancora una volta, Gal. Juracy Magalhães la salvò. Lei dovette rispondere ad un lungo processo, ma non venne mai arrestata, nè torturata, nè deportata. Riapparve in pubblico, non più come agitatrice culturale, ma solo come architetta, quando la dittatura cominciò a farsi sentire.

A partire dal 1986, durante l'amministrazione del sindaco Mário Kertész, Lina tornò a Salvador alcune volte, per realizzare un piano per il centro storico e altri progetti specifici, ma con una sua nuova equipe di San Paolo. Per riceverla ci fu una cerimonia all'Hotel de Bahia, dove visse per cinque anni, e ricevette l'onorificenza Dois de Julho. Non era presente nessuno degli artisti che avevano rotto con lei, incluso il suo collega architetto Diógenes Rebouças, che l'aveva formalmente invitata a insegnare la sua disciplina all'Escola de Belas Artes.

Come suo ex studente, io andai a salutarla e le presentai mia moglie, l'architetta Esterzilda Berenstein de Azevedo che, come  me, era una ammiratrice del suo lavoro. Lei rispose con un ampio sorriso. Era circondato da amministratori municipali di recente giuramento, amici di Bahia e nuovi collaboratori di San Paolo. Non era più l'elegante signora con i suoi abiti su misura e l'agitatrice culturale che avevo conosciuto negli anni '60. Solo i suoi occhi avevano lo stesso scintillio.

Ebbi l'onore di preparare il parere sulla quotazione da parte dell’ IPHAN della sua Casa de Vidro, attuale sede dell'Istituto Lina Bo e Pietro Maria Bardi, Processo 1511-T-03, che venne letto e approvato all'unanimità il 9 febbraio 2007, nella bella Chiesa di São Pedro dos Clérigos, a Recife. La casa con il suo giardino, la collezione d'arte colta e popolare e i nuovi annessi venne iscritta nel Livro do Tombo de Belas Artes e nel Livro do Tombo Arqueológico, Etnográfico e Paisagístico[40]. Per coincidenza, nella stessa riunione dell'IPHAN, venne approvata la registrazione del Frevo[41] come patrimonio immateriale del Brasile. Lassù in cielo Lina dovette aver vibrato.

Riassumendo, i progetti di Lina non erano chiusi, praticamente venivano tutti modificati durante la loro esecuzione. Quello della Casa do Chame-Chame venne cambiato numerose volte a causa dello sviluppo dell'opera e di una pianta di jaca[42] che finì per morire a causa dell'avvelenamento del terreno da parte del cemento. Il rivestimento di questa casa venne realizzata a mano con cocci di stoviglie e conchiglie da muratori e operai. Anche l'auditorium provvisorio del TCA, le gradinate e le scenografie teatrali furono improvvisazioni. Le facciate e la scala del MASP vennero modificate durante la costruzione. Il Teatro Oficina è un altro adattamento, un teatro totale in una casa stretta, che traboccava nello spazio pubblico.

Ad eccezione dei restauri quali Solar do Unhão, Teatro Politheama de Jundiaí (1985) e Palácio da Indústria (1990), a San Paolo, tutta l'architettura che ha realizzato, durante e dopo il suo soggiorno a Bahia, non rientra in nessuna degli interventi repressivi, pseudo-accademici. È una nuova architettura, con il metodo dell’adattamento e dell'improvvisazione basato sulle preesistenze, le aspirazioni comunitarie e la valorizzazione del lavoro locale.

La sua più importante opera post-baiana, il SESC Pompéia (1982) a San Paolo, è un altro ingegnoso allestimento, un normale magazzino per una fabbrica di botti, trasformato durante il suo intervento in un parco pubblico coperto, attraversato da un fiume, e completato da torri in cemento con campi sportivi ventilati da fori irregolari. Un'architettura senza pretese formali, ma semplice e bella come una jeep o una bicicletta[43]. Lina non era solo una designer, era una maestra che seguiva l'esecuzione di tutti i suoi lavori, apportando modifiche al progetto, discutendo con le maestranze e sfruttando la loro abilità artigianali. Criticava i colleghi che non facevano la stessa cosa. “L'architetto che progetta un edificio non convive con il muratore, il falegname o il fabbro […] L'operaio che esegue (l'opera) è avvilito dalla mancanza di soddisfazione etica del proprio lavoro”[44].

Un'altra caratteristica del suo lavoro era l'intima relazione tra architettura e design. Disegnava  mobili differenziati per tutte le sue opere. Il famoso cavalletto in cristallo del MASP, formato da una lastra di vetro temperato sorretta da un blocco di cemento, non era un disegno libero, ma era legato all'idea di un museo senza pareti e senza divisioni tematiche e temporali. “Il tempo non è lineare, è un meraviglioso groviglio da cui, in ogni momento, si possono scegliere punti e inventare soluzioni senza inizio né fine”, affermò[45].

Lina Bo Bardi fu un genio e, come tale, spiritoso e controverso. Fino alla fine della sua vita si definì stalinista. Riguardo al suo temperamento, uno dei suoi biografi, Zeuler R. Lima, disse che era ostile, solitaria e feroce[46]. Chi meglio ha caratterizzato le sue idiosincrasie è stato il collega e amico Bruno Zevi: “Lina era un'eretica in abiti aristocratici, un cencio elegante, una sovversiva in ambienti lussuosi”[47]. È stata questa diversità a renderla un personaggio sempre sorprendente e affascinante.
L'anno scorso, a 29 anni dalla sua scomparsa, la Biennale di Venezia, alla sua 17a Mostra Internazionale di Architettura, ha riconosciuto la grandezza del suo lavoro, tutto made in Brazil, dove lei diceva di essere rinata per scelta, onorandola con il Leone d’Oro alla memoria.
Saravá Donna Lina Bo Bardi!

Note.
Per la versione italiana alcune note esplicative sono a cura della traduttrice.


[1]La sua Tesi Contribuição Propedêutica para o Ensino da Arquitetura, sarebbe stata pubblicata postuma dall’ Instituto Lina Bo e P.M. Bardi, em 1994.
[2] RISÉRIO, Antonio. Avant garde na Bahia. São Paulo: Instituto Lina Bo e P.M. Bardi, 1995
[3] PERROTTA-BOSCH, Francesco. Lina, uma biografia . S.Paulo: Todavia  2021, p.204-295.
[4] Crises constantes citadas por LIMA, Zeuler, in  Lina Bo Bardi: o que eu queria era ter história. S. Paulo: Cia. das    Letras, 2021, p.187 e 257.
[5] S. Paulo: Instituto Lina Bo e P. M. Bardi, 2002
[6] Disponibile in: https://www.facebook.com/institutobardi/posts/1463565120515508/. Consultato il 26/07/2021.
[7] Disponibile in: https://vitruvius.com.br/revistas/read/arquitextos/01.004/980. Consultato il 30/07/2021
[9] OLIVEIRA, Olivia de, Lina Bo Bardi, sutis substâncias da Arquitetura. S. Paulo: Romano Guerra; Gustavo Gilli, 2006, p.81-130.
[10] MORAES, Fernando, Chatô, o Rei do Brasil. São Paulo: Companhia das Letras, 1994.
[11] LIMA, Zeuler, op. cit., p. 224.
[12] Ibid., p. 146-147.
[13] Disponibile in: HTTPS://pt.Wikipédia.org.wiki.Saul_Steimberg. Consultato il 31/07/2021
[14] Intervista di Paulo Ormindo a PEREIRA, Juliano in Lina Bo Brdi: Bahia, 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p. 258-259.
[15] Tempos de grossura: o design no impasse. São Paulo: Instituto Lina Bo e P. M. Bardi, 1994.
[16] Intervista di Alberto Hoisel all’autore, 15 luglio 2021.
[17] Intervista di Paulo Ormindo a PEREIRA, Juliano in Lina Bo Brdi: Bahia, 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p.260.
[18] OLIVEIRA, Olivia de, op. cit., p. 259-282
[19] Quelle pareti potevano presentare crepe con l'espansione e la contrazione dei telai che non presentavano giunti di dilatazione.
[20] Disponibile in: HTTPS://pt.wikipedia.org.wiki.Romano_Galeffi. Consultato il  31/07/2021
[21] Intervista di Paulo Ormindo a PEREIRA, Juliano in Lina Bo Brdi: Bahia, 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p. 256.
[22]  La caatinga è tipica del Brasile e viene cosi definito il paesaggio pallido dell’interno di alcuni stati, rappresentato dalla vegetazione durante il período delle siccità, quando la maggior parte delle piante perde lê foglie e i tronchi divengono pallidi e secchi. E’ la maggiore foresta secca del Sud America è una delle più ricche del mondo in termini di biodiversità. Il termine caatinga viene dalla lingua tupi-guaraní caa ("foresta") + tinga ("grigio"), ovverosia "foresta grigia". La parola è chiarificatrice in quanto le numerose piante che caratterizzano questa "foresta" si presentano per gran parte dell'anno secche e senza foglie mentre assumono la colorazione verde solamente in inverno, nell'epoca delle piogge. N.d.T.
[24] FERRAZ, Marcelo (org). Lina Bo Bardi, Igreja Espírito Santo do Cerrado..S. Paulo, Edições SESC; IPHAN, 2015
[25] I pareri di Paulo Ormindo de Azevedo sulle opere dell’Unhão,  sono datati 10/10/1962, 05/12/1962 e 06/02/1963, e se trovano nell’Archivio dell’IPHAN-Bahia.
[26] Lina por escrito. São Paulo: Cosac Naify. 2009
[27] Ibid
[28] Lettera del Direttore generale dell’ IPHAN, Rodrigo Melo Franco de Andrade, al Superintendente dell’ IPHAN a Bahia, Godofredo Filho, del  6/03/1963. Il documento appartiene all’Archivio dell’ IPHAN-Bahia.
[29] Carranca é una scultura con forma umana o animale, fatta di legno e utilizzata alla prua delle barche che navigano per il fiume São Francisco. Avevano il compito di allontanare i cattivi spiriti, e proteggevano i pescatori contro i naufragi, liberandoli dalle tempeste e attraendo molto pesce. Per questo motivo Luís da Câmara Cascudo nel Dicionário do Folclore Brasileiro le defini "as gárgulas brasileiras".  N.d.T.
[30] Fifò è una sorta di lume o candeliere improvvisato che illuminava le notti in casa nei villaggi dell’interno fino agli anni ’60 e anche ‘70. Tipico delle zone interne dove non era ancora arrivata la luce elettrica, e ancora oggi in uso in quelle zone rurali ove non è arrivata ancora l’elettricità. Si prepara con una latta e un buco attraverso cui passava la stoppa di cotone imbevuta nel cherosene. N.d.T.
[31] Il caxixi è uno strumento musicale idiofono a percussione indiretta di origine africana poi diffusosi in Brasile, dove in particolare viene utilizzato per accompagnare il suono del berimbau nella capoeira. Per il suo suono vivace, il caxixi veniva originariamente usato per richiamare la presenza degli spiriti buoni e per spaventare e mandare lontano quelli malvagi. Consiste in un piccolo cestino di vimini intrecciato che si tiene sorretto con una mano. All'interno vi sono semi o conchiglie che col movimento generano il suono. N.d.T.
[32] PERROTTA- BOSCH, F., op.cit, p. 155.
[33] Intervista di Paulo Ormindo a PEREIRA, Juliano in Lina Bo Brdi: Bahia, 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p. 264.
[34] In Mirante das Artes (6). São Paulo, dic., genn. e feb. del 1967.
[35] Intervista a Sante Scaldaferri in PEREIRA, Juliano, Lina Bo Bardi: Bahia 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p. 284.  
[36] Intervista a Sante Scaldaferri in PEREIRA, Juliano, Lina Bo Bardi: Bahia 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p. 284.
[37] LIMA, Zeuler, op.cit. p. 272
[38] “Silenzio ossequioso” é la pena che la Chiesa Cattolica applica a religiosi che divergono dalla sua ortodossia, attraverso dichiarazioni e pubblicazioni.
[39] PERROTTA- BOSCH, F. op.cit., p. 419-420.
[41] Frevo è il nome di un ritmo musicele e danza brasiliana che ebbe origine nello stato del Pernambuco. Si basa nella fusione di vari generi  Sose alla fine del secolo XIX ed è caratterizzato da un ritmo estremamente accellerato. Viene eseguito ancora oggi specie durante il Carnevale. Fu dichiarato Patrimônio Immateriale dell’Umanità dall’UNESCO nel 2012. N.d.T.
[42] Pianta tropicale della famiglia delle Moraceae. In Brasile si chiama  jaqueira e viene coltivata per il suo frutto  chiamato jaca, che è il più grande in natura tra i frutti che crescono sugli alberi. N.d.T
[43] OLIVEIRA, Olivia de, op. cit. p. 201-256.
[44] Lina por escrito. São Paulo: Cosac  Naify. 2009.
[45] Nota di Lina Bo Bardi, del 1989, sulla natura del tempo, citata da LIMA, Zeuler, op. cit. p. 364
[47] Un architetto in transito ansioso. In Caramelo 4 (Lina: caderno especial). São Paulo: GFAU, 1992.


--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Paulo Ormindo de Azevedo. Brasiliano di Salvador Bahia. E’ laureato in Architettura presso l'Università Federale di Bahia, UFBA, e con dottorato presso l'Università di Roma, La Sapienza, Professore ordinario presso la UFBA, in pensione, occupa il Seggio n. 2 della ALB-Accademia di Lettere di Bahia. In qualità di consulente dell'UNESCO, ha svolto numerose missioni in America Latina, nei Caraibi e nell'Africa lusofona. È membro del Comitato Scientifico della Red de Patrimonio Histórico-Cultural Iberoamericano ed ex membro dei seguenti Consigli: Nacional de Política Cultural, Consultivo do IPHAN, Arquitetura e Urbanismo do Brasil e Cultura da Bahia. È stato presidente del Departamento da Bahia do Instituto de Arquitetos do Brasil e realizzatore dell’ Inventário de Proteção do Acervo Cultural da Bahia (7 v.). Giornalista, con una rubrica quindicinale di architettura e urbanistica, è autore di libri, articoli e progetti di restauro e architettura contemporanea. Ha ricevuto i Premi Rodrigo M.F. de Andrade e Mário de Andrade, dell' Instituto do Patrimônio Histórico e Artístico Nacional, e Edgar Graef, do Instituto de Arquitetos do Brasil.
 

 
 Traduzione dal portoghese di Antonella Rita Roscilli
 
 
© SARAPEGBE.                                                          
E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione
-------------------------------------------------------------------------------


TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

O descobrimento do Brasil por Lina Bo Bardi
por
Paulo Ormindo de Azevedo


                                                               
Lina Bo Bardi, Glauber Rocha, Sante Scaldaferri, Geraldo Del Rey, Paulo Gil Soares, e a équipe do filme brasileiro "Deus e o Diabo na Terra do Sol" em Monte Santo, Bahia, 1963. Arquivo Pessoal de Sante Scaldaferri.
 
No início de 1958, a arquiteta italiana Lina Bo Bardi veio à Bahia para fazer tirocínio docente em Teoria e Filosofia da Arquitetura para prestar concurso para a Faculdade de Arquitetura da Universidade de São Paulo, FAU-USP, em que estava inscrita[1]. Lina havia perdido seu diploma e outros documentos com o bombardeio de Milão pelos Aliados, na II Guerra Mundial. A Bahia vivia o boom do petróleo e um grande movimento cultural, que seria institucionalizado pelo reitor Edgar Santos da nova Universidade Federal da Bahia, UFBA. Edgar Santos fundou os Seminários de Música, coordenado pelo alemão Joachin Koellreutter, a Escola de Dança dirigida pela polonesa Yanka Rudzka, e a Escola de Teatro movida por Martin Gonçalves, onde nasceu o cinema novo baiano[2]. Esses grupos se apresentavam também no sul do país e era a coqueluche nacional da época. Isto deve ter pesado na escolha de Dona Lina, como era chamada, de fazer essa experiência na Bahia.

Sua vinda a Salvador foi articulada por Odorico Tavares, Diretor dos Diários Associados na Bahia, de Assis Chateaubriand, a quem ela e o marido, Pietro Maria Bardi, estavam ligados no projeto Museu de Arte de São Paulo, MASP. Ela realizou duas aulas magistrais no curso de arquitetura da Escola de Belas Artes da UFBA, com grande audiência de artistas e intelectuais, entre os quais Martim Gonçalves e os jovens cineastas Glauber Rocha e Paulo Gil Soares, pois já era bem conhecida pelos seus artigos provocadores na revista Habitat e pelo sucesso da sua residência, Casa de Vidro, no Morumbi, em São Paulo.

Para o concurso estavam inscritos, além de Dona Lina, Eduardo Corona, José Vicente Vicari, Luís Saia e Miguel Badra Jr., mas só a candidatura dela não foi aceita, sob a alegação de não ter apresentado o diploma de arquiteta, apesar de ter anexado cópia de seu registro no Conselho Regional de Arquitetura e Engenharia de São Paulo, CREA-SP. Dona Lina recorreu à Justiça e o concurso foi temporariamente suspenso e anulado em 1962[3]. Na verdade, a suspensão era porque Lina Bo Bardi e Luiz Saia eram nomes de esquerda, que poderiam perturbar a paz da faculdade da moda, no bairro chique de Higienópolis.

Depois daquela apresentação, o professor Diógenes Rebouças, provavelmente a pedido de Odorico Tavares, de quem era amigo, solicitou à direção da Escola de Belas Artes que ela fosse contratada como sua assistente na disciplina Teoria e Filosofia da Arquitetura, no segundo semestre do mesmo ano. Ele dava a disciplina a contragosto e passou integralmente o curso a ela, sem assistir a uma só de suas aulas. Odorico Tavares não escondia o desejo de criar na Bahia uma réplica do MASP, para a promoção dos artistas plásticos locais e da sua própria coleção. Lina vivia uma crise no seu relacionamento com o marido e sua vinda para a Bahia era também uma forma de sair da sombra do MASP, muito identificado com ele e Assis Chateaubriand, e o desejo de afirmação profissional[4]. Nessa época seu cartão de visitas rezava apenas Lina Bo.

Tive o privilégio de ser um de seus alunos naquele curso. Lina passou por uma grande transformação cultural nos anos em que viveu na Bahia. Até então suas obras eram muito influenciadas pelos modernistas, em especial por Mies van der Rohe, que por sua vez se espelhava na escola idealista alemã de Kant, Hegel e Schiling, com sua estética minimalista, formas geométricas puras e verdade estrutural e dos materiais. Em sua tese Contribuição Propedêutica ao Ensino da Teoria da Arquitetura[5] para a FAU-USP e nas suas aulas, ela exaltava a obra de Mies van der Rohe.  Esta influência é evidente no projeto para o Museu à Beira do Oceano[6], não construído, na praia de Itararé em São Vicente, de 1951, na sua Casa de Vidro[7], e no novo MASP, cujos estudos iniciais são de 1957[8]. No design, esta influência pode ser observada na famosa poltrona Bardi’s Bowl em forma de concha hemisférica perfeita, de 1951. 
Dois anos antes de se transferir para a Bahia, Lina havia ido a Barcelona, com Pietro Bardi, e ficou surpresa com a capacidade de Gaudí de conciliar a inovação modernizadora com a tradição e a cultura popular, coisas que eram tabus para os modernistas iconoclastas. Trouxe dezenas de slides que nos mostrava e comentava. A influência da obra de Gaudí se nota na Casa Valéria Cirell (1957) revestida com embrechados de cacos de louças, seixos e conchas e, mais explicitamente, na Casa do Chame-Chame[9] em Salvador (1964) desenvolvida em torno de uma árvore e também revestida de embrechados comuns em jardins do século XIX da Bahia. Casa curiosamente pertencente ao professor e advogado Rubens Nogueira, um dos fundadores do Partido Integralista na Bahia, pró-fascista.

No contato com a cultura popular baiana, ela começou a rever o seu alinhamento aos modernistas, adotando uma visão mais gramsciana e engajada da arte, em oposição ao formalismo canônico modernista. Tendência já esboçada na sua tese para o concurso na FAU-USP, de 1957. Na Itália, Lina havia se ligado ao Partido Comunista na luta contra a ditadura fascista, o que não a impediu de se casar com Pietro Maria Bardi, um rico marchand amigo de Mussolini, e o acompanhar no sua escapada para a América do Sul levando um tesouro de arte italiana, depois da queda do fascismo.

Em São Paulo, Dona Lina vivia numa bolha altamente burguesa de imigrantes italianos ricos, mas rudes, e dos Diários Associados, de Assis Chateaubriand, que teve mais poder no Brasil, que o magnata da imprensa americana William Randolph Hearst, objeto do filme Cidadão Kane, de Orson Welles. Lina, bela e elegantíssima, desfilava nos bailes beneficentes e de carnaval com vestidos e jóias caríssimas, como um colar de águas marinhas enormes, desenhado por ela própria. Com o mesmo charme, ela posava para revistas de arquitetura, decoração e moda.

Chateaubriand e os Bardi foram muito hostilizados em São Paulo, especialmente pelos grandes jornais locais e pelo Comendador Ciccillo Matarazzo, presidente do Museu de Arte Moderna de São Paulo, MAM, que não queriam a concorrência dos Diários Associados e do MASP, e pelos métodos de Chateaubriand de extorquir empresários locais para comprar quadros na Europa para seu museu[10]. Num debate público, Bardi foi chamado pejorativamente de carcamano. Lina vivia no isolamento de uma colônia italiana, que não apreciava, mas que de alguma forma lhe blindava. 

Em Salvador, ela passou a viver modestamente em um quarto do Hotel da Bahia, com o salário de diretora de um museu estadual, caminhando a pé para exposições e eventos no Campo Grande, Passeio Público e Corredor da Vitória. Dez anos depois de ter chegado da Itália, Lina descobre o Brasil, em contato com a cultura popular baiana e nordestina, e se apaixona. Era a volta ao seu passado e aos duros anos da II Guerra Mundial. Lina foi muito bem recebida pelos artistas da elite baiana, que compartilhavam o projeto de Odorico Tavares de criação de um museu/galeria de arte na Bahia. O grupo era composto pelo escultor Mário Cravo Jr., os pintores Carlos Bastos, Jenner Augusto e Sante Scaldaferri, o tapeceiro Genaro de Carvalho, o desenhista e gravador Carybé e o fotógrafo Pierre Verger. Grupo que depois recebeu o apoio de Jorge Amado, quando ele retornou do exílio e passou a viver em Salvador.

Este grupo de artistas, com atividades complementares, era muito unido e estruturado comercialmente. Tinha um crítico e colecionador de arte, Odorico Tavares, diretor de dois jornais, rádio e televisão dos Diários Associados, uma galeria de arte, a Oxumaré, e um banqueiro português, Antônio Celestino, que financiava a venda de suas obras. Eles marginalizam artistas mais jovens, liderados pelo professor Juarez Paraíso, pois o que queriam com uma réplica do MASP na Bahia era a consagração de suas obras.
Capitaneados por Odorico Tavares e Mário Cravo Jr. vão ao governador Juracy Magalhães pedindo que ele criasse o Museu de Arte Moderna da Bahia, o MAMB. Mário Cravo Jr., tinha muita força, pois seu pai era um líder político no interior da Bahia, muito amigo de Juracy Magalhães, desde a ditadura de Vargas, grande fazendeiro e industrial do Café Cravo. 

O MAMB foi criado em julho de 1959. O seu Conselho Diretor era formado por Dona Lavínia Magalhães, primeira dama do Estado e seu presidente, Odorico Tavares, Assis Chateaubriand, Mário Cravo Jr, Jorge Amado e o Reitor da UFBA, Edgar Santos. Mário conseguiu colocar seu cunhado, Renato Ferraz, num posto chave, secretário executivo do Conselho[11]. Em seguida, eles propuseram a Juracy que contratasse Lina Bo Bardi para dirigir o novo museu. Na sua apresentação a Juracy Magalhães, ela teria dito: “Tenho a grande honra de conhecer, não só o Governador do Estado da Bahia, como especialmente o bravo tenente da Revolução de 30”. Com isto, ela o conquistou. Nesta primeira fase, Odorico, Mário e Renato ajudaram muito Dona Lina.  

Nas aulas, Lina discutia criticamente as condições históricas e implicações sociais dos movimentos artísticos na Europa e no Brasil e a relação entre arte, design e arquitetura. A crítica de arte e o design foram suas primeiras atividades na Itália, trabalhando no estúdio de Gio Ponti e na revista Domus e criando depois com o colega Bruno Zevi a revista A - Cultura della Vita[12]. Em São Paulo ela reproduz essas atividades, fundando com o marido a revista Habitat e com Giancarlo Palanti, Verônica Piacentini Cirell e seu marido o Studio de Arte e Arquitetura Parma, onde ela e Giancarlo Palanti projetavam e produziram cadeiras de compensado e couro, comercializadas na modalidade “faça você mesmo”.
Com sua paixão pelo design, ela fundou e dirigiu o Curso de Desenho Industrial do Instituto de Arte Contemporânea, IAC (1951/53), um braço do MASP, que reunia os principais designers, arquitetos e paisagistas brasileiros. Em Salvador, ela repete a trajetória profissional italiana e paulista. Sua atividade crítica continuaria com uma coluna dominical no jornal Diário de Notícias, dos Diários Associados, e o design na confecção do mobiliário artesanal do MAMB e, mais tarde, do Museu do Unhão.

Lina recebeu a incumbência de criar um museu que não tinha acervo, uma sede exígua e um orçamento reduzido, porém estrategicamente localizada no centro da cidade. Neste momento ela aplica, pela primeira vez, conceitos que aprendeu no Brasil de arranjo e improvisação. Não no sentido vulgar do termo, como ausência de planejamento, que ela criticava, senão como ocorre na música, uma variante ou criação espontânea durante a execução de uma peça musical, como no chorinho, no samba-de-breque e no teatro. Tendo como sede o foyer do Teatro Castro Alves, TCA, que não foi afetado pelo incêndio suspeito ocorrido um ano antes, ela faz o arranjo de um auditório na rampa de acesso à sua plateia, que havia sido apenas chamuscada.

As aulas de Dona Lina eram teatrais, com exibição de slides coloridos, raros na época, caricaturas, debates e provocações. Fui o aluno que mais dialogou com ela. Ela mostrava caricaturas sarcásticas dos costumes, da arquitetura e do design de Saul Steinberg, um exilado judeu romeno, que fazia o curso de arquitetura do Politécnico de Milão, para onde ela se transferiu depois de formada. Steinberg se transformaria num dos maiores caricaturistas do século XX, trabalhando para revistas como New Yorker, Life ,Time e Harper’s Bazaar, quando se exilou nos EUA com o avanço do fascismo italiano[13].
Lembro-me bem de uma de suas caricaturas, que mostrava a obra dos engenheiros com decoração caprichada, como a Torre Eiffel, e dos arquitetos imitando navios e máquinas, como propunham os futuristas e Le Corbusier, com sua máquina de morar. Lina era tão amiga dele que promoveu sua vinda com a esposa a São Paulo para uma exposição no MASP, em 1952, quando os hospedou e os ciceroneou em São Paulo e no Rio de Janeiro. 

Como trabalhos caseiros, Lina nos mandava comentar textos distribuídos por ela e levantar e fichar cadeiras, mesas e armários, para nos familiarizarmos com suas dimensões e relações espaciais. Devo a ela a observação sistemática da arquitetura em sua escala maior, da volumetria e dos espaços internos; média, das escadas e mobiliário; e micro, dos detalhes[14]. Ela estava desencantada com os rumos consumistas que o design havia tomado. Espinafrava os carrões americanos da época, zoomórficos, como o Cadillac rabo de peixe e o Chevrolet com asa traseira de morcego.

Para ela, bom mesmo era o jeep de guerra americano, inteiramente despojado. O arredondado, do pós-guerra, era a prova da decadência do design. Sobre o que ela pensava que deveria ser o design na atualidade, ela escreveu em 1980 o artigo Tempos de grossura: o design no impasse, que deu título a uma antologia de textos de diversos autores sobre o assunto, publicada postumamente em 1994[15].           
A sua principal intervenção no TCA foi a cobertura e fechamento da rampa de acesso à sua platéia, transformando-a em um auditório com filas de cadeiras com estrutura de caibros serrados e assentos e encostos de couro cru. Para sua inauguração, Bardi veio a Salvador. Esta seria sua única visita, em cinco anos, à Bahia e à esposa. Como o museu não tinha acervo, ela fazia exposições didáticas com grandes painéis de recortes de revistas e livros de arte complementados com comentários à mão livre e ilustrados com alguns quadros da coleções particulares. Bardi mandou algumas peças do MASP para essas exposições. Não estavam brigados, apenas separados.

Morando num quarto de hotel, ela se aproximou do escritório de desenho arquitetônico de Ronald Lago. Depois de alguns meses de trabalho, cansado de refazer reiteradamente os mesmos desenhos exigidos por ela, Ronald telefonou para os estudantes de arquitetura amigos, Alberto Hoisel, Guarany Araripe e Carlos Campos, que tinham estúdio do mesmo gênero, perguntando se eles estariam dispostos a desenhar os projetos de Dona Lina. No estúdio deles, ela desenvolveria seus projetos enquanto morou em Salvador[16].

Estando Bardi numa turnê infindável do acervo do MASP pela Europa e EUA, e os Diários Associados pressionando o MASP a desocupar os dois andares de sua sede na Rua 7 de Abril, em São Paulo, Lina procurou o Secretário de Obras da cidade, o estruturalista João Carlos Figueiredo Ferraz, para encontrar uma saída. A solução consensual era a área do antigo Belvedere Trianon, na Avenida Paulista, demolido em 1951, onde havia sido realizada a Primeira Bienal de Artes de São Paulo, local lindíssimo, com uma vista para o centro da cidade através do Vale do Anhangabaú e do outro lado a mata do Parque Siqueira Campos. Para o local havia sido feito um concurso privado, ganho por Affonso Eduardo Reidy, mas não executado, e um projeto da própria prefeitura. Dona Lina elabora, então, um anteprojeto para a sede do MASP naquele local, cuja estrutura ousada entusiasmou o estruturalista e secretário municipal, mas que confessou não ter recurso para realizá-lo.

Quando Bardi volta do exterior, diz que aquilo era um sonho de mulher. O desaforo seria a gota d’água. Lina parte para a Bahia e Bardi transfere o acervo do MASP para a sede da Fundação Armando Álvares Penteado, FAAP, ainda em construção. O prefeito e candidato à Presidência da República, Adhemar de Barros, querendo o apoio dos Diários Associados, abre licitação em abril de 1959 para construção do MASP no Trianon, mas sem projeto definido. Com desentendimentos com a FAAP e o acervo do MASP sofrendo os efeitos das obras, Bardi resolve apoiar o anteprojeto de Lina, que seria aprovado em janeiro de 1960 e em julho do mesmo ano concretado o arranque de seus quatro pilares. Pouco depois, com a vitória de Jânio Quadros para presidente, as obras foram paralisadas. 
 
Nessa altura, Dona Lina estava na Bahia dirigindo MAMB e não queria voltar para São Paulo. Essa paralisação foi providencial. O projeto executivo do MASP foi cuidadosamente desenvolvido durante três anos no estúdio dos jovens arquitetos baianos, com consultoria em acústica, iluminação e instalações elétricas e hidráulicas do engenheiro e arquiteto Olavo Fonseca[17]. Os 74 m. de vão livre de seus dois pórticos de concreto protendido, calculados por João Carlos Figueiredo Ferraz, se devia não só a preservar o belvedere livre de qualquer ocupação, como evitar sobrecargas nos dois túneis da Av. Nove de Julho que passavam em baixo. O recém-formado Arq. Alberto Hoisel, do estúdio PROURB, foi pelo menos duas vezes a São Paulo para compatibilizar o projeto arquitetônico com o estrutural e de ar-condicionado desenvolvidos ali. As obras só seriam reiniciadas em 1965, quando Dona Lina já havia voltado para São Paulo.

O projeto original era uma caixa cega, como era a concepção museológica da época, suspensa por dois gigantescos pórticos[18]. Dona Lina ao subir na primeira laje do museu em contrução, a oito metros de altura da Av. Paulista, e se deslumbrar com a paisagem, resolve eliminar as paredes externas de tijolos de concreto celular e substituí-las por painéis de vidro em caixilhos maleáveis para absorver as oscilações do pórtico, inaugurando um novo conceito de museu de arte integrado à paisagem urbana e sem divisórias internas[19].

Ela já havia proposto uma solução semelhante no Museu à Beira do Oceano, em São Vicente, e sentido o efeito positivo da integração de um museu de arte com a vida urbana, quando o MAMB havia funcionado no foyer envidraçado do TCA. Mudaria também a bela escada helicoidal de dez metros de diâmetro, que deveria ligar o térreo aos dois pavimentos superiores do MASP por razões estruturais. Estas eram improvisações e arranjos durante a execução, como ocorre em algumas peças musicais.

Dona Lina não pode continuar ensinando no Curso de Arquitetura da Escola de Belas Artes da UFBA pela pressão exercida contra ela por dois professores conservadores, o filósofo italiano Romano Galeffi[20], professor de estética, ex-aluno e fanático por Benedetto Croce, que temia que ela lhe roubasse a vaga no concurso para livre docente que pretendia se inscrever e o professor de história da arquitetura, Eng. Américo Simas Filho, que não gostava de mulher contestando os bons costumes[21]. O diretor da Escola, pintor Mendonça Filho, apoiava a prorrogação do contrato de Lina, mas Rebouças, amigo de Romano e de Memeco, preferiu não se envolver na briga.

Diante da rejeição da Escola de Belas Artes, Lina estreitou relações com a Escola de Teatro, de Martim Gonçalves, e fez a montagem da Ópera dos Três Tostões, de Bertold Brecht, no palco calcinado do TCA. Para esta peça, além dos cenários, Dona Lina improvisou uma arquibancada desmontável de tábuas, como a dos circos. Neste mesmo palco, ela faria, seis meses depois, a arquitetura cênica da peça Calígula, de Albert Camus. Estava nascendo o que ela chamaria, mais tarde, de teatro e arquitetura pobre. 

Na Escola de Teatro ela se aproxima dos jovens cineastas Glauber Rocha e Paulo Gil Soares interessados em registrar a cultura popular do interior da Bahia. Com eles e com Mário Cravo Jr. ela visitou o sertão de todo o Nordeste e acompanhou a filmagem de Deus e o Diabo na Terra do Sol, de Glauber Rocha, na caatinga de Monte Santo.

Para mostrar à elite intelectual pequeno-burguesa do Centro-Sul a força e a diversidade da cultura do sertão da Bahia, como Euclides da Cunha havia feito meio século antes, realizou a exposição “Bahia no Ibirapuera”, em 1959, durante a V Bienal de São Paulo. Ampliaria esta exposição, quatro anos mais tarde, com a exposição “Nordeste”, no recém-inaugurado Solar do Unhão. Em 1969, amplia ainda mais esta visão com a exposição “A mão do povo Brasileiro”, no novo MASP.

Ao vivenciar intensamente esse Brasil profundo, Lina revisaria sua forma de ver a arquitetura e o design no subdesenvolvimento assumindo a experiência do teatro e da arquitetura pobre como uma ideologia. A expressão mais emblemática desse design pobre, que ela fez questão de divulgar, é a caquética Cadeira à beira da estrada, de 1962, um tripé de varas do mato atadas por cordas de sisal[22], em flagrante contraste com a Bardi’s Bowl. Seu equivalente na arquitetura é a franciscana Igreja do Espírito Santo do Cerrado, em Uberlândia, Minas Gerais, construída passo a passo pela própria comunidade, entre 1976 e 1982[23]

Visando a libertação das vidas secas do Nordete, ela idealizou o Museu-Escola de Arte Popular da Bahia. Convenceu o governador Juracy Magalhães a desapropriar o abandonado conjunto agroindustrial do século XVIII, Solar do Unhão, tombado pelo IPHAN, mas ameaçado de ser atropelado pela Av. de Contorno ou incendiado pelas pequenas oficinas e fabriquetas que o ocupavam. Este foi outro projeto desenvolvido pelos jovens arquitetos baianos do estúdio PROURB. A obra foi conduzida a toque de caixa, por 150 operários, entre final de 1962 e início de 1963, porque o governador Juracy Magalhães queria inaugurá-la antes do término de seu governo em abril.

A esta altura eu era arquiteto do IPHAN e fui designado para acompanhar as obras do solar. Eu pedia reuniões com seus técnicos e mais estudos sobre a história do monumento e seus anexos, muito deles originais, mas Dona Lina, no afã de inaugurar a obra, não dava resposta e mandava seguir as obras demolindo anexos sem audiência prévia do IPHAN, para criação de uma praça sobre o mar[24].
Formada, em 1939, na Faculdade de Arquitetura da Universidade de Roma, La Sapienza, Lina foi aluna de Gustavo Giovannoni, que dirigiu aquela escola entre 1927 e 1935. Giovannoni, ministro de Mussolini e principal redator da Carta de Atenas de 1931, defendia o Restauro Científico, concebido como repristinação com técnicas modernas, que Lina criticava por não contemplar as demandas da sociedade e a criatividade do restaurador: Portanto, se a gente acreditar que tudo que é velho deve ser conservado, a cidade vira um museu de cacarecos. Em um trabalho de restauração arquitetônica  é preciso criar e fazer uma seleção rigorosa do passado. O resultado é o que chamamos de presente histórico[25].

Lina foi uma precursora, no início da década de 1960, de intervenções contemporâneas em monumentos históricos. Sua grande contribuição no Solar do Unhão foi a escada helicoidal de madeira, que se inspirava na fórmula de Gaudí desenho de vanguarda com técnica tradicional, no caso a carpintaria das prensas de mandioca, dos carros de bois e das jangadas do Nordeste. Sobre esta e outras escadas, ela diria: As escadas sempre fascinaram o homem. As grandes escadas das cidades, as escadas dos tronos, dos templos [...] são um elemento fascinante, e eu sempre fui, como arquiteta, fascinada pelas ideias de uma escada. Nunca tomei uma escada como um elemento prático, para subir de um nível a outro[26].

                                                         
                                                                        Escada do MAMB - Salvador Bahia

Mas sua escultórica e bela escada não era compatível com as concepções do Restauro Científico então vigentes no IPHAN. No auge de seu prestígio profissional e político junto ao governador, ela não iria acatar pedidos de um seu ex-aluno, ainda que respaldado pelo IPHAN nacional. Isto gerou tensão entre o IPHAN e a arquiteta. A carta branca dada por Dr. Lucio Costa a ela, foi como “chover no molhado”, depois dos fatos consumados. Era a forma do IPHAN se reconciliar com a famosa arquiteta[27]. A restauração do Unhão foi obra exclusivamente de Dona Lina, o IPHAN não teve qualquer ingerência.

Em 1961, os militares ficaram furiosos com Dona Lina quando ela colocou no espaço externo do TCA uma grande escultura de Mário Cravo Jr. representando Antônio Conselheiro com os braços para cima clamando aos céus contra a chacina de 5.000 de seus seguidores pelo Exército Brasileiro, em Canudos. Como desforra, eles construíram o Monumento aos Heróis de Canudos, no espaço externo do Forte de São Pedro, vizinho ao museu, e requisitaram o foyer do TCA, sede do MAMB, para a formatura solene do Centro de Preparação dos Oficiais da Reserva, CPOR. Lina apelou para o governador Juracy Magalhães que conseguiu dissuadir seus colegas de farda do intuito, mas ficou o rancor.

Reinaugurado em meados de 1963, o Solar do Unhão devia abrigar o MAMB e o novo Museu de Arte Popular. Mas Dona Lina não desativou a exposição de arte do foyer do TCA por sua grande acessibilidade e visibilidade. O Museu de Arte Popular teve vida curta, praticamente uma única exposição, a referida “Nordeste”. Seu acervo era de peças reunidas por ela no sertão da Bahia, incluindo algumas carrancas de embarcações do Rio São Francisco, e peças adquiridas em feiras populares do Ceará por Lívio Xavier, diretor do Museu de Arte da Universidade Federal Cearense. Eram artefatos de valor mais etnográfico que artístico, que ela chamava de pré-artesanato, como redes de dormir, pilões, gamelas, prensas de mandioca, gaiolas, fifós, brinquedos de latas, caxixis, cestos e papéis de seda rendados que serviam como estêncil para decorar bolos com canela em pó.

Lina evitava o termo folclore, que ao pé da letra significa saber popular, porque na época a palavra tinha conotação pejorativa de objetos e ritos adulterados pela indústria do turismo. Seu projeto tinha objetivos educacionais e desenvolvimentistas. Ela queria criar junto ao museu o Centro de Estudos do Pré-Artesanato e sua Conversão em Desenho Industrial, consoante com a criação da Superintendência de Desenvolvimento do Nordeste, SUDENE[28]. Mas tudo foi abortado pelo golpe militar de março de 1964.
O grupo de artistas liderado por Odorico Tavares e Mário Cravo Jr., que Dona Lina chamava de “igrejinha”, não aceitava que ela estivesse se envolvendo cada vez mais com arte popular, teatro e cinema em detrimento do projeto de um museu/galeria de arte moderna. Iniciam uma campanha pelo controle do MAMB, que explodiria com a inauguração do Museu de Arte Popular[29]. Este é o quadro das hostilidades que ela enfrentou da elite cultural baiana descrita no seu famoso artigo “Cinco anos entre os brancos“[30].

Quando do golpe de 1964, os militares, com o apoio do novo governador Lomanto Júnior, enviam ofício a ela solicitando novamente o foyer do TCA, ainda ocupado pelo MAMB, para montarem a Exposição da Subversão. Sem o apoio do governador, dos artistas baianos, ela mandaria seu principal assistente, Sante Scaldaferri, esvaziar o foyer do TCA. Mas ele não só retirou o acervo do MAMB como auxiliou os militares a armarem a Exposição da Subversão. Dona Lina sabia que não poderia continuar a dirigir os dois museus e renunciou, mas antes demite Sante Scaldaferri[31].

Os militares removem a escultura de Antônio Conselheiro e ocuparam o foyer do TCA com uma exposição ridícula, com publicações do Centro Popular de Cultura, folhetos da campanha de alfabetização de Paulo Freire no Recife, mimeógrafos, garruchas, espingardas e fuzis. Mário Cravo Jr assumiu a direção do MAMB, já instalado no Solar do Unhão, desmonta a exposição permanente do Museu de Arte Popular e dois anos depois designa seu cunhado, Renato Ferraz, como seu sucessor. Mais tarde eles negariam qualquer disputa com Dona Lina. Sante Scaldaferri diria que ela é que foi ingrata com eles[32].
Ao sair da Bahia, Lina se exilou na Itália temendo ser presa por suas posições esquerdistas e conflitos com os militares. Quando voltou não sofreu nenhum constrangimento, provavelmente por interferência de seu amigo Gen.Juracy Magalhães, um dos líderes do golpe de 1964 e já agora Embaixador do Brasil nos EUA. Voltou para a Casa de Vidro em São Paulo, que estava vazia, porque Bardi se encontrava na Itália preparando um livro.

Em carta de 18 de agosto de 1964, Bardi a aconselhou: Se eu puder lhe dar um conselho, não faça política [...] A cultura é livre, Lina, não é engajada. O mundo tem que ser transformado aos poucos, não aos empurrões[33]. Lina se afastou do ativismo político/cultural, cumpriu um “silêncio obsequioso” e uma quarentena profissional de 13 anos, embora tenha acompanhado a construção da nova sede do MASP, condições provavelmente negociadas com o Gen. Juracy Magalhães para não ser deportada para a Itália[34].

Mas, aparentemente, Lina não renunciou a sua atividade política. Em 1970, no período mais duro da ditadura militar no Brasil, ela foi denunciada por um colega de esquerda, provavelmente sob tortura, por ter homiziado em sua casa, em 1968, uma reunião da cúpula dos grupos armados Aliança Libertadora Nacional, ALN, e Vanguarda Popular Revolucionária, VPR, da qual participou, entre outros, Carlos Marighella, ex-deputado federal comunista constituinte, guerrilheiro, fundador da ALN, que seria morto pela repressão no ano seguinte. Ela fugiu para a Itália, onde passou sete meses na condição de foragida devido ao mandado de prisão da Polícia Federal expedido contra ela.

Ao se apresentou no 2º Exército acompanhada de um advogado, em 9 de dezembro de 1970, ela deu uma explicação pouco convincente do episódio, alegando que atendeu apenas a um pedido de uma ex-aluna de Bardi no MASP, mas não sabia quem eram as pessoas e não participou da reunião, começada às 22;00 horas da noite, porque ficou num outro ambiente terminando os detalhes do projeto do MASP, que deveria entregar às 8:00 horas da manhã seguinte[35]. Explicação que os militares dificilmente aceitariam, se ela não tivesse um padrinho muito forte. Mais uma vez, deve ter sido o Gen. Juracy Magalhães quem a salvou. Respondeu a um longo processo, mas não foi presa, torturada ou deportada. Só voltou a aparecer em público, não mais como agitadora cultural, apenas como arquiteta, quando a ditadura começava a fazer água.

Lina voltou algumas vezes a Salvador, a partir de 1986, na administração do prefeito Mário Kertész, para realizar um plano para seu Centro Histórico e alguns projetos específicos, mas com sua nova equipe paulista. Para sua recepção houve uma solenidade no Hotel de Bahia, onde ela morou durante cinco anos, quando recebeu a Comenda Dois de Julho. Nenhum dos artistas que romperam com ela estava presente, inclusive seu colega arquiteto Diógenes Rebouças, que formalmente a convidou para dar aulas em sua disciplina na Escola de Belas Artes.

Fui cumprimentá-la como seu ex-aluno e apresentar minha esposa, a arquiteta Esterzilda Berenstein de Azevedo, admiradora como eu de sua obra. Ela respondeu com um largo sorriso. Estava cercada pelos recém-empossados administradores municipais, amigos baianos e novos colaboradores paulistas. Já não era a senhora elegante nos seus tailleurs talhados por alfaiates e a agitadora cultural que conheci nos anos 60. Só seus olhos mantinham o mesmo brilho.

Tive a honra de elaborar o parecer sobre o tombamento pelo IPHAN da sua Casa de Vidro, atual sede do Instituto Lina Bo e Pietro Maria Bardi, Processo 1511-T-03, que foi lido e aprovado por unanimidade, em 9 de fevereiro de 2007, na bela Igreja de São Pedro dos Clérigos, no Recife. A casa com seu jardim, acervo de arte erudita e popular e novos anexos foi inscrita no Livro do Tombo de Belas Artes e no Livro do Tombo Arqueológico, Etnográfico e Paisagístico[36]. Por coincidência, na mesma reunião do IPHAN foi aprovado o registro do Frevo como Patrimônio Imaterial do Brasil. Lá de cima, ela deve ter vibrado.
Resumindo, os projetos de Lina não eram fechados, praticamente todos foram modificados durante sua execução. O da Casa do Chame-Chame foi alterado inúmeras vezes em função do desenvolvimento da obra e de uma jaqueira que acabou morrendo pelo envenenamento do solo pelo cimento. A pele dessa casa foi trabalhada artesanalmente com cacos de louça e conchas pelos pedreiros e serventes. O auditório provisório do TCA, a arquibancada e cenários de peças teatrais foram também improvisações. As fachadas e a escada do MASP foram mudadas durante a construção. O Teatro Oficina é outro arranjo, um teatro total numa casa estrita, que se extravasava no espaço público.

Salvo as restaurações que fez - Solar do Unhão, Teatro Politheama de Jundiaí (1985) e Palácio da Indústria (1990), em São Paulo - toda a arquitetura realizada por ela, durante e depois da estada na Bahia, não se enquadra em nenhuma das intervenções repristinatórias, pseudoacadêmicas. É arquitetura nova tendo como método o arranjo e a improvisação em função das preexistências, das aspirações da comunidade, e da valorização da mão de obra local.

Sua mais importante obra pós-baiana, o SESC Pompéia (1982) de São Paulo é outro arranjo genial, um galpão vulgar de uma fábrica de tonéis, transformado durante sua intervenção em um parque público coberto cortado por um rio e complementado por torres de concreto com quadras esportivas ventiladas por buracos irregulares. Uma arquitetura sem pretensão formal, mas simples e bela como um jeep ou uma bicicleta[37].

Lina não era apenas uma projetista, era um mestre de obras que acompanhava a execução de todos os suas obras, fazendo alterações no projeto, discutindo com os operários e aproveitando a habilidade artesanal deles. Ela criticava os colegas que não faziam o mesmo. “O arquiteto que projeta um edifício não convive com o pedreiro, o carpinteiro ou o ferreiro [...] O operário executor (da obra) é aviltado pela falta de satisfação ética do próprio trabalho”[38].

Outra característica de sua obra é a relação íntima da arquitetura com o design. Ela projetou mobiliários diferenciados para todas as suas obras. O famoso cavalete de cristal do MASP, formado por uma placa de vidro temperado sustentada por um bloco de concreto, não era um design gratuito, estava ligado à ideia de um museu sem paredes e sem divisões temáticas e temporais. “O tempo não é linear, é um emaranhado maravilhoso de onde, a qualquer momento, pontos podem ser escolhidos e soluções inventadas sem começo ou fim”, dizia ela[39].

Lina Bo Bardi foi um gênio, e como tal, geniosa e polêmica. Até o final da vida ela se dizia stalinista. Sobre seu temperamento, um de seus biógrafos, Zeuler R. Lima, disse que ele era pouco amistoso, recluso e mordaz[40]. Quem melhor caracterizou suas idiossincrasias foi seu colega e amigo Bruno Zevi: “Lina foi uma herética com vestes aristocráticas, uma esfarrapada elegante, uma subversiva em ambientes luxuosos”[41]. Era esta diversidade que a tornava uma personagem sempre surpreendente e fascinante.
O ano passado, 29 anos depois de sua morte, a Bienal de Veneza, em sua 17ª Mostra Internacional de Arquitetura, reconheceu a grandeza de sua obra toda feita no Brasil, onde ela dizia ter renascido por escolha, homenageando-a com o Grande Prêmio Leão de Ouro.

Saravá Dona Lina Bo Bardi !
 



Notas
 
[1] Sua tese, Contribuição Propedêutica para o Ensino da Arquitetura, seria publicada postumamente pelo Instituto Lina Bo e P.M. Bardi, em 1994.
[2] RISÉRIO, Antônio. Avant garde na Bahia. São Paulo: Instituto Lina Bo e P.M. Bardi, 1995. 
[3] PERROTTA-BOSCH, Francesco. Lina, uma biografia . S.Paulo: Todavia  2021, p.204-295.
[4] Crises constantes citadas por LIMA, Zeuler, in  Lina Bo Bardi: o que eu queria era ter história. S. Paulo: Cia. das Letras, 2021, p.187 e 257.
[5] S. Paulo: Instituto Lina Bo e P. M. Bardi, 2002
[6] Disponível em  https://www.facebook.com/institutobardi/posts/1463565120515508/. Acessado em 26/07/2021.
[7] Disponível em https://vitruvius.com.br/revistas/read/arquitextos/01.004/980. Acessado em 30/07/2021.
[8]Disponível em http://www.blogcaicara.com/2019/03/projeto-do-museu-beira-do-ocean-em-sao.html . Acessado em 30/07/2021.
[9] OLIVEIRA, Olivia de, Lina Bo Bardi, sutis substâncias da Arquitetura. S. Paulo: Romano Guerra; Gustavo Gilli, 2006, p.81-130.
[10] MORAES, Fernando, Chatô, o Rei do Brasil. São Paulo: Companhia das Letras, 1994.
[11] LIMA, Zeuler, op. cit., p. 224.
[12] Ibid., p. 146-147.
[13] Disponível em HTTPS://pt.Wikipédia.org.wiki.Saul_Steimberg. Acessado em 31/07/2021
[14] Entrevista de Paulo Ormindo a PEREIRA, Juliano in Lina Bo Brdi: Bahia, 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p. 258-259.
[15] Tempos de grossura: o design no impasse. São Paulo: Instituto Lina Bo e P. M. Bardi, 1994.
[16] - Entrevista de Alberto Hoisel ao autor, em 15 de julho de 2021.
[17] Entrevista de Paulo Ormindo a PEREIRA, Juliano in Lina Bo Brdi: Bahia, 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p.260.
[18]  OLIVEIRA, Olivia de, op. cit., p. 259-282
[19]  Aquelas paredes poderiam apresentar fissuras com a dilatação e contração dos pórticos, que não possuíam juntas de dilatação
[20] Disponível em HTTPS://pt.wikipedia.org.wiki.Romano_Galeffi. Acessado em 31/07/2021
[21] Entrevista de Paulo Ormindo a PEREIRA, Juliano in Lina Bo Brdi: Bahia, 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p. 256.
[22] Disponível em https://www.facebook.com/institutobardi/posts/a-cadeira-beira-de-estrada-%C3%A9-um-projeto-de-lina-bo-bardi-que-junta-materiais-sim/419542304917800/. Acessado em 24/07/2021
[23] FERRAZ, Marcelo (org). Lina Bo Bardi, Igreja Espírito Santo do Cerrado..S. Paulo, Edições SESC; IPHAN, 2015
[24] Os pareceres de Paulo Ormindo de Azevedo sobre as obras do Unhão,  são datados de 10/10/1962, 05/12/1962 e 06/02/1963, e se encontram no Arquivo do IPHAN-Bahia.
[25] Lina por escrito. São Paulo: Cosac Naify. 2009
[26] Ibid.
[27] Carta do Diretor Geral do IPHAN, Rodrigo Melo Franco de Andrade, ao Superintendente do IPHAN na Bahia, Godofredo Filho, de  06/03/1963. Documento pertencente ao arquivo do IPHAN-Bahia
[28] PERROTTA- BOSCH, F., op.cit, p. 155.
[29] Entrevista de Paulo Ormindo a PEREIRA, Juliano in Lina Bo Brdi: Bahia, 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p. 264.
[30] In Mirante das Artes (6). São Paulo, dez., jan. e fev. de 1967.
[31] [31] Entrevista de Sante Scaldaferri in PEREIRA, Juliano, Lina Bo Bardi: Bahia 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p. 284.
 [32] Entrevista de Sante Scaldaferri in PEREIRA, Juliano, Lina Bo Bardi: Bahia 1958-1964. Uberlândia: EDUFU, 2008, p. 284.
[33] LIMA, Zeuler, op.cit. p. 272
[34] “Silêncio obsequioso” é a pena que a Igreja Católica aplica a religiosos que divergem de sua ortodoxia, através de declarações ou publicações.
[35] PERROTTA- BOSCH, F. op.cit., p. 419-420.
[36] Disponível em http://portal.iphan.gov.br/uploads/atas/2007__01__52a_reunio_ordinria__09_de_fevereiro.pdf . Acessado em 22/07/2021.
[37]  OLIVEIRA, Olivia de, op. cit. p. 201-256.
[38] Lina por escrito. São Paulo: Cosac  Naify. 2009.
[39] Nota de Lina Bo Bardi, de 1989, sobre a natureza do tempo citada por LIMA, Zeuler, op. cit. p. 364
[40] Disponível em https://www.correio24horas.com.br/noticia/nid/quem-e-lina-bo-bardi-estrela-da-arquitetura-que-mario-frias-nao-conhece/. Acessado em 30/07/2021
[41] Un architetto in transito ansioso. In Caramelo 4 (Lina: caderno especial). São Paulo: GFAU, 1992.
 

© SARAPEGBE.                                                          
E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione
Paulo Ormindo de Azevedo. Brasileiro de Salvador Bahia. E’ arquiteto pela Universidade Federal da Bahia, UFBA, doutor pela Universidade de Roma, La Sapienza, Professor Titular da UFBA,aposentado, e ocupa a Cadeira 2 da Academia de Letras da Bahia. Como consultor da UNESCO realizou numerosas missões na América Latina, Caribe e África Lusófona. É membro do Comitê Científico da Red de Patrimonio Histórico-Cultural Iberoamericano e  antigo membro dos conselhos: Nacional de Política Cultural, Consultivo do IPHAN, Arquitetura e Urbanismo do Brasil e Cultura da Bahia. Foi presidente do Departamento da Bahia do Instituto de Arquitetos do Brasil e realizador do Inventário de Proteção do Acervo Cultural da Bahia (7 v.). É jornalista com coluna quinzenal sobre arquitetura e urbanismo e autor de livros, artigos e projetos de restauração e arquitetura contemporânea. Recebeu os prêmios Rodrigo M.F. de Andrade e Mário de Andrade, do Instituto do Patrimônio Histórico e Artístico Nacional, e Edgar Graef, do Instituto de Arquitetos do Brasil.